Gli X Ambassadors in Italia con un’unica data live a Milano 27/2: intervista


Gli X Ambassadors tornano in Italia. La band americana sarà per un’unica data live, martedì 27 febbraio, ai Magazzini Generali di Milano (la data è prodotta e organizzata da Vivo Concerti, qui per i biglietti).
Dagli esordi indie passando per il fortunatissimo album VHS (quello della hit Renegades) fino al singolo Boom, che li ha proiettati nell’Olimpo delle divinità pop mondiali, gli X Ambassadors, conosciuti anche come XA, sono una formazione originaria di Ithaca (capoluogo della contea di Tompkins, 400 km da New York) composta dai fratelli Sam e Casey Harris insieme all’amico d’infanzia Noah Feldshuh, a cui si è aggiunto poi il batterista Adam Levin.
Un particolare della canzone Boom: nelle intenzioni vero e proprio inno generale alla rivoluzione personale, la cui cover è stata scritta in braille e Casey Harris, tastierista della band, nato cieco, per la prima volta ha potuto sperimentare ‘visivamente’ una parte fisica del proprio lavoro.

Abbiamo raggiunto gli X Ambassadors per un’intervista esclusiva a pochi giorni dal live ai Magazzini Generali di Milano.
L’Occidente ha sempre trattato poco il tema della diversità, come entra questo tema nella vostra produzione artistica?
Crediamo fermamente nella necessità di lavorare con il maggior numero possibile di persone diverse per i nostri dischi, tour, riprese video e così via, semplicemente perché è “la cosa giusta da fare”. Ma a livello personale, il fatto che mio fratello sia cieco ha messo in primo piano l’inclusività e la diversità. La disabilità visiva di Casey ha fatto sì che, fin dall’inizio, dovessimo operare in modo diverso rispetto alle altre band: siamo sempre stati molto consapevoli delle sue esigenze specifiche e di adattarci di conseguenza, per questo credo che tutti noi abbiamo imparato a essere iper-consapevoli di fare spazio agli altri.


Uno degli aspetti più importanti della contemporaneità è il surriscaldamento globale e l’emergenza climatica, avete mai pensato di realizzare tour a bassa impronta ecologica?
Voglio dire, sì, certo. È qualcosa con cui siamo alle prese costantemente. Durante i nostri tour cerchiamo di riciclare, di usare le nostre bottiglie d’acqua e in passato abbiamo collaborato con aziende come Reverb, che lavorano molto in questo settore, e abbiamo loro rappresentanti a ogni nostro spettacolo, ma questo è il massimo che possiamo fare. L’unica altra opzione sarebbe quella di non fare tour, cosa che non possiamo permetterci di fare. È una posizione molto spiacevole per una band come la nostra. Ma fino a quando qualcuno non inventerà aerei elettrici e i veicoli terrestri elettrici diventeranno onnipresenti, saremo bloccati tra l’incudine e il martello.


Esiste una nuova branca della geografia chiamata “ecobiografia”, alcuni parlano di “paesaggi mentali”, in che modo il luogo in cui cresciamo modella il linguaggio con cui guardiamo e interpretiamo il mondo?
Molto, secondo me. Ho scritto un intero album su come la mia città natale abbia plasmato la mia persona. Sono cresciuto nel centro di New York, in una città universitaria che si chiama Ithaca. È molto isolata e, sebbene sia molto bella e abbia una sua identità unica, la maggior parte del mondo non ha idea del fatto che esista. Sono cresciuto in quello spazio (invisibile) e questo mi è rimasto impresso nella psiche e credo che una parte di me avesse paura che nessuno, alla stessa maniera, avrebbe mai saputo della mia esistenza. Così ho iniziato a scrivere canzoni, ho cercato di farmi sentire il più possibile, essere presente, ho deciso di perseguire una vita e una carriera il più lontano possibile dalla mia città natale. Ora però comprendo quanto sia stato importante crescere dove sono cresciuto e quanto sia stato fortunato ad avere una comunità di persone così affettuose che mi hanno sempre incoraggiato a trovare la mia voce e a raggiungere qualcosa di “grande”.

Si parla spesso di ciò che l’artista deve al suo tempo. Siete più simili a George Orwell, per il quale ogni opera doveva essere “politica”, o siete invece più simili ad Arthur Miller, per il quale era importante che l’arte fosse intrattenimento e bellezza?
Siamo sicuramente un po’ entrambe le cose. Credo che la vita e la politica siano la stessa cosa e il mio lavoro è cercare di dare un senso a questa ‘cosa’ folle che chiamiamo vita, quindi credo che questo mi renda “politico”. Ma credo anche fermamente nella creatività fine a se stessa e che fare arte sia la vocazione più meravigliosamente inutile e assurdamente vitale del mondo. Abbiamo bisogno di cose belle e divertenti nella nostra vita, altrimenti impazziremo tutti.

Dopo la pandemia di Covid-19 molte persone hanno perso il senso del “futuro”, cosa vorresti dire a chi vi ascolta, quale messaggio o parola coniugheresti (anche come augurio, o possibile orizzonte) con il futuro dell’umanità?
Amarsi ferocemente. A mio modesto parere, questa è l’unica via d’uscita.

Gli X Ambassadors saranno live, per l’unica data italiana, il 27 febbraio ai Magazzini Generali di Milano, ad aprire il loro concerto l’artista statunitense Morgan St. Jean, storyteller da 70 milioni di stream su Spotify e 45 milioni di views su Tik Tok del singolo Do It Like a Girl. Tutte le info su www.vivoconcerti.com.