Il parkour come stile di vita: un’intervista all’atleta italiano Davide Garzetti

Dalla sua nascita in Francia, con David Belle e Sébastien Foucan, il parkour (spesso abbreviato in pk) ha conosciuto un’evoluzione stilistica e mediatica.
Davide Garzetti è un atleta professionista italiano che da anni dedica tempo e disciplina a l’art du déplacement – altro nome con cui è conosciuto il parkour – “arte” nata con l’intento di recuperare al corpo dei traceur (così si chiamano gli atleti) gli spazi urbani, e un modo di pensare che sovverte il concetto stesso di ostacolo, e di “muri”.

Nell’art du deplacement tutto è orizzontale, non esiste verticale (ostacolo): in che senso e che tipo di “filosofia|modo di vedere la città (e per estensione il mondo)” è il parkour?
Nel parkour tutto ciò che prima poteva essere inteso come un ostacolo viene visto in maniera completamente diversa,  diventa qualcosa da sfruttare per creare quella che è un po’ la nostra arte, il nostro movimento. Questa tendenza ad affrontare gli ostacoli e di sfruttare qualunque cosa abbiamo intorno ci porta a cambiare modo di vedere tutto ciò che ci circonda. tutto quello che prima era una semplice ringhiera un muretto un appiglio non è più soltanto quello, diventa parte del nostro percorso, diventa qualcosa che noi possiamo sfruttare per fare tutto ciò che vogliamo.
Il Parkour ti insegna a guardare tutto con occhi diversi, ti insegna superare gli ostacoli, non soltanto fisici ma anche mentali, perché dietro a questo sport c’è una fortissima componente mentale che ci aiuta a superare le nostre paure nostre nostri limiti.

Viviamo l’era della crisi climatica: il pk in questo può essere considerata un’attività perfetta, si sta all’aria aperta e si ha un’impronta ecologica minima, perché tutto si fa con niente se non il proprio corpo: dobbiamo imparare a ri-usarlo secondo te anche in chiave ambientale, cioé di nostra relazione con il contesto (può essere una delle modalità con cui entrare più in contatto con il proprio habitat e salvaguardarlo)?
Per fare parkour non hai bisogno di niente se non del tuo corpo, quindi può essere considerato uno sport a impatto zero. In più, delle cose che insegna il parkour è il rispetto per il luogo di allenamento, considerando che noi ci alleniamo ovunque, il concetto diventa generale, perché se rispettiamo ciò che ci circonda e ce ne curiamo poi possiamo anche sfruttarlo a nostro favore durante l’allenamento.

“Superare gli ostacoli” anche in senso metaforico: ci racconti del progetto pk per non vedenti?
Uno dei punti fondamentali del parkour è proprio quello di superare gli ostacoli sia fisici che mentali. Per dimostrare che il Parkour, a differenza di quanto si possa pensare, è in realtà accessibile a tutti, ovviamente con il giusto approccio e con i giusti obiettivi da porsi in base alle proprie possibilità, abbiamo deciso creare un progetto che insegna alle persone con disabilità visive, e non solo, a prendere confidenza con il proprio corpo, ad approcciarsi a sfide e a movimenti che fanno tutti i giorni e a problematiche che potrebbero presentasi.
Partiamo dalla base  quindi l’equilibrio, la conoscenza del proprio corpo, la conoscenza dell’ostacolo che ti trovi davanti,  il modo giusto in cui superarlo e tanto altro, capovolte, verticali, volteggi e addirittura salti di precisione. L’obiettivo è quello di dare una maggiore sicurezza e consapevolezza alle persone con disabilità, di modo che possano affrontare la vita quotidiana di tutti i giorni superando ogni genere di ostacolo.

Acrobazie, salti, traiettorie: il pk è individuale ma, come tutte le arti che provengono dalla strada, è anche collettivo, in che senso e che significa essere considerati facenti parte di uno urban style?
Il Parkour è uno sport principalmente individuale, che mette ogni atleta confronto con se stesso, con l’obbiettivo di migliorare per diventare la versione migliore di se. Ma raramente ci si allena da soli.. perché il gruppo e la community giocano un ruolo importante nella crescita dell’atleta.  Perché permette a chiunque di confrontarsi con nuovi stile e nuove sfide proposte dagli altri. Quando ci si allena in gruppo ognuno è sempre pronto ad aiutare gli altri, con consigli e proposte, proprio perché questo sport che è talmente vario e talmente soggettivo, che ogni persona può avere il suo modo di muoversi e di praticare. di conseguenza chiunque può essere d’aiuto per gli altri. Ci sono diversi stili nel parkour ma se due si incontrano per strada è molto probabile che si riconoscano come atleti proporlo per lo stile e per il modo che abbiamo di guardarci intorno. È bello sapere che siamo riconoscibili, da un forte senso di appartenenza alla disciplina per me.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che volesse iniziare un percorso in questa disciplina: ci sono centri in Italia? Quali sono le applicazioni, anche lavorative?
Sicuramente per una persona che al giorno d’oggi vuole iniziare, soprattutto se giovane, il consiglio principale è quello di trovare un luogo dove ci siano dei corsi e dove possa essere seguito da istruttori, almeno inizialmente. al giorno oggi in Italia ci sono diverse palestre quindi di possibilità ce ne sono tante tantissime.
Dal punto di vista lavorativo ci sono diverse opzioni, in italia siamo ancora indietro sotto questo aspetto, per una mancanza di conoscenza e di informazione specifica su cosa è realmente il parkour e su come possa essere sfruttato.
Partiamo dal più scontato lavoro come istruttore in palestra, quindi l’insegnamento. Poi ci sarebbe tutto il discorso legato al mondo dello spettacolo, all’estero gli atleti di parkour vengono spesso utilizzati come stunt-man nel cinema e in tv, in Italia si fa ancora un pò fatica, al momento è più sfruttato per eventi, spettacoli e campagne pubblicitarie.
Io per lo mesi sto spingendo per far conoscere il parkour sia come sport ma anche come opportunità lavorativa, realizzando proprio questo genere di campagne pubblicitarie.

Qualche tempo fa intervistai Sebastian Foucan, uno dei 2 ideatori (l’altro è il francese David Belle), come si è evoluto il pk in questi anni?
Il Parkour è cambiato tanto da quando è nato per il semplice fatto che è uno sport in continua evoluzione e quindi c’è sempre qualcosa di nuovo; è nato come sport non competitivo e inizialmente era nato con l’idea di muoversi in maniera efficiente per spostarsi dal uno a al punto b nel modo più veloce possibile. Essere foti per essere utili era uno dei lotti iniziali. Ora invece c’è molta più creatività molta più libertà, i praticanti si sentono liberi di interpretare il movimento come meglio credono.
Il parkour in se è cresciuto a tal punto che è stato riconosciuto come sport ufficiale dal CONI, attualmente l’obbiettivo è quello di potarlo alle olimpiadi, ma ci sono punti di vista discordanti tra i praticanti e le federazioni quindi l’argomento è più complicato del previsto.

Usi i social, se sì quali, e perché? Come il tuo essere “outdoor” influenza la tua modalità di incontro con gli altri, l’altro nel senso più ampio del termine?
Uso i social, e principalmente Instagram. L’utilizzo dei social all’interno della community di uno sport come questo permette di essere sempre in contatto con tutti gli atleti che, magari, hai conosciuto durante gli eventi che sono sparsi per l’Italia e non solo.  ti permette di mantenere viva la community di condividere quello che fai e di vedere cosa fanno gli altri, permette di organizzare con facilita eventi e raduni, per queste occasioni ci si sposta spesso e volentieri ovunque, e i social permettono di mettersi in contato e di trovare appoggio dai praticanti della zona dove si svolge il raduno.