Islanda – blogdiary 1


Midgard, la terra degli uomini all’arrivo è marrone azzurro e odore di pulito. Una landa piana, orizzonte boschivo, erba e acqua, strade lunghe, diritte, pascoli per i cavalli del Nord, il mare del Nord, l’aria, gli animali, gli animi forse, anche, del Nord. Come sto al Nord, io, non sto da nessun’altra parte.
E’ una sensazione che proviene dal silenzio, dalla mancanza di ostacoli, i verticali urbani, l’ingombro dello spazio di fronte che genera muri.
Ecco qui nel grande Nord, qualche centinaio di chilometri dalla Groenlandia: 4 ore di volo da Milano Malpensa, corri indietro nel tempo, “vivi nel passato” come mi ha detto mia figlia quando l’ho sentita, l’Islanda è 2 ore indietro rispetto all’Italia, tutto questo semplicemente scompare.
E così, come mi era già successo in Norvegia, lungo le strade del periplo centro-meridionale, mentre attraverso i territori che dall’aeroporto di Keflavik mi porta a Eyrarbakki, non metto neanche la radio in macchina, guido piano, qui si va tra i 30 (in centro urbano) e gli 80-90 delle strade a scorrimento veloce.

Lungo le statali i pianori scuri sembrano soffiare geyser, probabilmente sono industrie che scaricano vapori, lo stesso l’impressione qui è che tutto si faccia lentamente, il check out dall’aeroporto, il noleggio dell’auto ibrida, i sorpassi, sfilano ai lati delle strade le tipiche case basse del nord Europa, colorate, coi tetti a spiovente. Strade che sembrano uscite dalle route americane, solo più piccole, forse.
Alloggio in un ostello a due passi dall’oceano, lo Stay at Bakki Hostel & Apartments.
Camere pulite, odore di onde del grande mare che ci circonda, anche se non ce ne rendiamo conto, sempre più presi dal ritmo urbano, veloce, superficiale. L’Islanda ti restituisce il tempo, l’orizzonte e la voglia di vedere cosa di nuovo ti porterà domani. Tutto è in movimento, anche tu, persino.

A cena mangio al Rauða Húsið in un localino lungo la statale, parquet a terra, radio vintage, luci gialle dalle abat-jour, accanto a me una ragazza e un ragazzo francesi, al tavolino poco avanti un gruppo di giapponesi, molto coperti, fa 13°C in effetti, la sera, nonostante sia appena l’inizio di settembre. Assaggio il pane fatto in casa con il burro che non è come quello italiano, questo è più spumoso, una crema quasi con il retrogusto d’erba, un ricciolo che si scioglie in bocca assieme alla birra Viking alla spina, zuppa di aragosta e nut steak, mangio vegetariano anche se di verdure quassù non ce ne sono molte.
Quando rientro è quasi buio, persino qui alla fine del mondo. Passeggiando mi trovo così vicino all’ostello che incrocio lo sguardo di una ragazza, bellissima, che si sta spogliando proprio davanti a una delle finestre. Non lo faccio apposta, anche se forse avrei dovuto, vedo appena le spalle, lei si copre, forse sorride, mi piace pensare. Me ne vado subito per non fare la figura del guardone. E mi soffermo a fotografare un quadro di Hopper, proprio qui accanto, vicino alla camera 302 dove dormo. Domattina, sveglia alle 7.50, poi si va in direzione Golden Circle.