La green generation salva il pianeta

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Chiude con una serie di piccoli consigli green Max salva il pianeta di Tim Allman, disegnato da Nick Shepherd (Il battello a vapore, € 14,50). Ecologista attivista il primo, disegnatore il secondo. Entrambi inglesi.
Nelle ultime pagine del libro si chiede al target di riferimento, 9 anni, di compiere un salto comportamentale, educativo e tutto sommato di civiltà visto che saranno queste prossime generazioni a trovarsi nei “guai”. Almeno, a dirla con il linguaggio semplice del protagonista della storia: Max è un ragazzino un po’ schiappa un po’ neo-ecologista che, un po’ per caso come confessa nelle note biografiche l’autore, dopo aver visto una manifestazione ecologista prima tenta di convincere i genitori a non prendere più la macchina per spostarsi, quindi inventa un concorso per piantare il Bosco della Speranza proprio dietro la sua scuola, in barba al temibile preside McPanza.
Le trovate della coppia Allman-Shepherd per risolvere i problemi del mondo non vogliono certo essere einsteiniane, e forse più che basare tutto sul conflitto molti studiosi si stanno orientando sulla collaborazione e il riequilibrio dei rapporti – a partire dall’antropocentrismo nei confronti delle altre specie – lo stesso, le situazioni raccontate da Allman-Shepherd rischiano di rappresentare piuttosto bene lo scollamento tra “grandi” e “piccoli” sul tema del cambiamento climatico, basta guardare alle piazze e ai movimenti dei Fridays For Future che hanno avuto inizio qualche anno fa con Greta Thunberg e nel mondo hanno coinvolto soprattutto i giovani, al momento tra l’altro la generazione più duramente colpita dalla pandemia. Proprio negli anni in cui, infatti, la protesta ambientale si faceva più intensa, il coronavirus è intervenuto a dissipare la piazza, di fatto disgregando il messaggio di speranza collettiva lanciato dagli adolescenti di mezzo mondo, in favore di un più pacato e adulto ritorno alla realtà, senza scuola e niente vaccino per quella generazione di cui, a un certo punto, occorrerà riprendere a parlare, in chiave di quali conseguenze psicologiche post-pandemia: interruzione didattica e sportiva, traslazione online dei rapporti praticamente totale (dopo anni di prediche degli adulti sul pericolo di “stare troppo davanti ai giochi”).
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Alcuni ravvisano il rischio che a furia di parlare di ambiente e natura in modo compulsivo si finisca giusto per intasare le nostre già brevi, e sempre più connesse, esistenze.
Lo stesso leggere nelle note finali di Max: “compra meno cose e abbi cura di ciò che hai” o “più spostamenti a piedi e in bici” oltre a “mangia meno carne” è pur qualcosa: anche se per la scelta della semplificazione, gli autori non si soffermano sugli allevamenti intensivi, che spesso sono causa di deforestazione ed erosione del territorio, oltre allo spreco d’acqua (qui).
Su questo gli editori compiono il loro importante ruolo da filtro. Bisogna continuare a pubblicare e raccontare l’ambiente, fare quel cambio culturale che, solo, ci può permettere di non estinguerci tra 10 anni, proprio come sostiene il piccolo protagonista di Max salva il pianeta. Ecco, magari non saranno 10 anni ma riguardo il climate change gli scienziati sono allineati, persino i governi dopo il rientro degli Usa negli Accordi di Parigi del 2015 (contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2°C oltre i livelli pre-industriali, limitare l’incremento a 1,5 °C): è importante per noi singoli cittadini cercare di trasformare l’inattività e l’impotenza di alcune frasi che spesso diciamo: «Tanto che posso fare» in movimento e scelte, economiche e politiche.
I bambini e i ragazzi questo lo sanno, ben più dei grandi. Se ne ricorderanno domani al momento di votare e acquistare. Lo sanno i politici e le aziende. Il vuoto che gli stiamo lasciando loro, invece, non sappiamo ancora come agirà nell’etica, dunque nella società del futuro. Magari lo vedremo prima su qualche serie, o nel prossimo libro della green generation.