Montagna e cambiamento climatico – un’intervista al Presidente del CAI


© Foto Emanuele Sanità Paolo D’Intino pg al Congresso di Roma

Un progetto per la salvaguardia del permafrost, che oggi si alza di 150-200 metri per ogni grado in più sul pianeta e che sulle montagne, sopra i 3000 metri, ha come conseguenza il pericolo di rotture della roccia; un convegno dal titolo piuttosto emblematico, La montagna nell’era del cambiamento climatico che interessa (già) le comunità montane e tutto il mondo “alto”; e ancora, quale il ruolo della tutela, protezione e salvaguardia nel più ampio quadro del rapporto essere umano|nature, al plurale.
Intervistiamo Antonio Montani, Presidente generale del CAI-Club alpino italiano dopo la notizia del progetto che ha preso vita nel rifugio Capanna Margherita sulla vetta della punta Gnifetti sul Monte Rosa – a quota 4.554 metri – rifugio alpino più alto d’Europa (uno degli osservatori fissi più alti al mondo), che vedrà collaborare il CAI con il Dipartimento ABC-Architecture Built environment and Construction engineering del Politecnico di Milano, dove verranno raccolti i primi dati di quello che sta avvenendo a valle.

Esecuzione in parete foro sotto balconata – Foto Archivio Polimi

CAI e montagna sono legati: cosa ricorda della montagna del passato, cosa è oggi, quale vettore può diventare per il futuro: insomma come si è evoluto questo concetto?
«La montagna del passato era il luogo della fruizione ludica per la gente di città e quello del duro sacrificio per chi in quota doveva viverci e lavorare. Due mondi lontanissimi, che faticavano a comunicare. Ma per me, figlio di una guida alpina di Verbania, tra quei due mondi non c’è mai stata contrapposizione: la montagna è stata una compagna di vita fin dalla “conquista” del Pizzo Marona, per la quale all’età di sei anni fui gratificato da mio padre con l’iscrizione al CAI. Forse per questo ancora oggi mi batto per la collaborazione tra la città e le terre alte, tra le sezioni CAI di pianura e quelle di montagna, custodi di questo straordinario bene comune che è diventato, suo malgrado, un ambiente sentinella. Quanto più saremo in grado di collaborare per cogliere i segnali di sofferenza che ci arrivano dalle vette sul fronte del clima, dello sfruttamento sconsiderato delle risorse e dello spopolamento, tanto più contribuiremo a invertire una rotta pericolosa per l’intero pianeta».

Installazione pannelli fotovoltaici per centraline Foto Archivio Polimi

Quali sono i 3 insegnamenti che dovremmo riportare nei nostri giorni, le 3 parole-chiave che tutti noi dovremmo capire dalla montagna?
«Rispondo a questa domanda con i temi dei tre tavoli su cui abbiamo lavorato nel congresso nazionale appena concluso a Roma: capitale naturale, frequentazione responsabile ed economia territoriale. Il Club alpino italiano in questi due giorni di riflessioni e dibattiti ha messo a terra cosa ci chiede concretamente la montagna nell’era del cambiamento climatico. In primo luogo un impegno attivo nella tutela dell’ambiente e dei servizi ecosistemici. Serve poi assumere comportamenti consapevoli e nuovi stili di vita, ad esempio privilegiando i mezzi pubblici per raggiungere gli ambienti montani e soggiornando con grande attenzione alle problematiche dei consumi idrici ed energetici. Da parte nostra promuoviamo anche la trasformazione dei rifugi CAI in macchine sostenibili e certificate e i bivacchi in strutture a consumo di suolo zero, come nel caso del prototipo in alluminio riciclato e vetro, presentato al congresso dalla Struttura Operativa Rifugi e Opere Alpine. Ma deve esserci sostenibilità anche sul fronte economico, con iniziative che valorizzano l’identità e promuovono flussi turistici leggeri, come nel caso del Sentiero Italia promosso lungo tutto il Paese dal CAI».

Panoramica dalla balconata cresta signal est – Foto Archivio Polimi

Si pensa solo alle rocce ma la montagna è molte altre cose: gli animali che la abitano, i ghiacci, le persone che ci vivono e la attraversano. Quanto è importante proteggere e salvaguardare questo habitat complesso?
«È tutto questo mondo dal delicato equilibrio che il CAI, fin dall’inizio della sua storia, ha saputo non solo praticare, ma anche conoscere e tutelare. Oggi, riconoscendone il ruolo di “capitale naturale” che genera una ricchezza essenziale per la sopravvivenza della stessa umanità, con i nostri 344.000 soci ci poniamo a sua difesa in modo molto pragmatico. A partire dal progetto di rilevamento delle sorgenti che lanceremo in tutto il territorio nazionale, opereremo attraverso la Citizen Science, un modello partecipato che sembra fatto apposta per noi che abbiamo una sezione praticamente in ogni valle e in ogni città».

Foto (c) Andrea Greci – Sul Sentiero Italia Cai sull’Appennino Tosco-Emiliano

Le nuove generazioni erediteranno lo stato del pianeta. Se potesse parlare a tutte/tutti loro cosa direbbe?
«Con i giovani non serve tanto parlare, quanto piuttosto condividere. Fin dal mio insediamento alla presidenza generale del CAI ho invitato i giovani soci a farsi parte attiva di questa nuova fase dell’associazione che, a fronte della crisi climatica in atto, intende assumersi la responsabilità di adottare comportamenti responsabili e coerenti. E la risposta non si è fatta attendere, con decine e decine di ragazzi, entusiasti e competenti, impegnati nelle attività nazionali e all’interno dei Gruppi Giovani nelle proprie sezioni. Al congresso hanno fatto sentire la loro voce, ci hanno parlato di come si possono misurare e compensare le emissioni di CO2 che si producono nelle escursioni tradizionali o come si fa ad organizzare laboratori per riparare il vestiario tecnico. Saranno loro a raccontare ai coetanei come si può cominciare a cambiare il mondo, a partire dal proprio stile di vita».