Islanda – blogdiary 3


Forse ci dormiva una ragazza come tante, in una delle Cave di Hella, grotte a pochi piedi sottoterra, usate fin dai tempi dei Celti, si presume, come rifugio e cantina e casa: ci sono i fori al muro dove chi abitava qui dentro appendeva cose, il piano (ora con i funghi che crescono) pietra dove veniva poggiato il cibo appena cotto sul fuoco, al centro di uno dei locali, 3 perlopiù, lo scavo fatto a mano, con scalpelli, asce o chissà cos’altro, manufatti d’osso di grandi animali. Tutto è mistero alle Cave di Hella, odore di vino dove adesso vengono invecchiati pregiati whiskey locali, l’iscrizione il nome della ragazza in celtico, è impressionante pensare a una vita primitiva dove qui ci si proteggeva però, dagli animali feroci, gli altri uomini i peggiori.

In una delle cave addirittura una croce scolpita nella roccia, 480 a.C., 1913 al ritrovamento, nessuno lo sa eppure il sacro, come lo chiama Heidegger, il sacer è qui tra caverne buie illuminate a candele e silenzio.
Dopo l’inizio eleusino, diretto al Lava Center dove ad accogliermi trovo Bardur, che mi parla in italiano, da ragazzo ha studiato ad Assisi, mi informa che proprio ieri c’è stato un terremoto più a nord, 5.1 di magnitudo, i ghiacciai si stanno ritirando, dove Bardur andava appena 20 anni fa, zona di riproduzione delle pulcinelle di mare, ebbene adesso di Fratercule ve ne sono ben poche, e il ghiacciaio è scomparso, merito del global warming, il surriscaldamento globale sta impattando sulle nevi perenni, che prima contenevano le eruzioni ora non più, si produrrà più gas allora, più CO2, un circolo vizioso di cui presto ci accorgeremo. Con Halla Margrét, geologa del centro, guardiamo all’evolversi delle eruzioni, non c’è una media che possa rappresentare la lava, il magma che si muove ed esplode: due sono le misurazioni, uno è il volume l’altro è il tephra ovvero quanto l’eruzione è esplosiva.

Sotto la terra dei ghiacci si muovono due faglie, Reykjavik è praticamente sulla placca americana, poco più a ovest invece c’è quella europea. Non a caso in Islanda sono 30 i vulcani attivi. Si dovrebbe proiettare il documentario del Lava Center in tutte le scuole del mondo, a testimoniare la portata e la potenza lascia attoniti, increduli di fronte a tanta potenza, ferocemente ignara dell’uomo, della nostra fragilità su questo pianeta che crediamo di possedere.
A pranzo, una zuppa di carne speziata al Gamla fjosid lungo l’area che porta alle pendici dell’Eyjafjallajökull ghiacciaio che, nel 2010, con la sua eruzione bloccò per giorni il traffico aereo mondiale. La Skogafoss è una cascata notevole con un bel salto ma troppi turisti, si sfila veloce passando sotto la bocca di lupo del camminamento con gli spruzzi dell’acqua che bagnano indumenti e viso, una bella sferzata di fresco, con temperature medie di giorno al sole di 18-20°C, la sera si scende agli 11°C. Salto la seconda cascata, e viro verso il mare.

Finora non lo avevo incontrato e lo faccio nel migliore dei modi, la “spiaggia nera” di Reynisfjara è un luogo dall’intensità incredibile. Vento che soffia e sposta, sul plateau campi d’erba e gabbiani tridattili (come mi insegnerà il figlio appassionato di ornitologia di un caro amico).
Davanti, la distesa blu del mare davanti la Groenlandia. Scogli che si ergono come pinnacoli dalle onde fortissime, infide, tant’è che in passato qualche turista è stato risucchiato dalle correnti di onde anomale, ora l’accesso alla spiaggia è vietato.

Dall’alto si ammira la potenza ruggente, le acque spumose, paiono cavalli imbizzarriti, in alto il faro vuoto guarda il mare e dietro le distese bianche di ciò che resta dei ghiacciai.
Reynisfjara è le scogliere di Dover e metallo islandico, pietra vulcanica, stratificata, resistente e occhi di mostri marini che emergono dalla morfologia delle pietre antiche, scogli lanciati dai Titani affiorano in superficie dalla distesa infinita, blu, e chissà quante creature a noi sconosciute conterrà il “sotto” fondo del mare?

Questa terra porta a interrogare le divinità pagane e sacre, il tuono e le nubi grigie che mi seguono mentre vado in direzione del FossHotel a Núpar, distante mezz’ora o poco più dall’attacco al trekking di domani. Freysnes. Domani. Domani si attaccano i giganti di ghiaccio.