Sostenibilità e profitto

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Quanto sarà possibile cambiare le nostre abitudini, dove, come: il modo in cui abitiamo, compriamo.
La rivoluzione green se ci sarà, sarà tutta qui: nel quotidiano.
Deborah Zani, ceo di Rubner Haus, tenta di rispondere alla rete di domande connesse al green, oltre il washing, con il suo libro, Sostenibilità e profitto (il binomio del successo nel prossimo futuro), Mondadori, euro 19,90 – scritto in collaborazione con la giornalista Maria Chiara Voci, ideatrice del progetto Home Health & Hi-Tech format di comunicazione sul tema della salubrità indoor.
Nuovi lavori, guardare all’ambiente complessivo, salute umana, condivisione. Una serie di interviste e riflessioni sulla rete rizomatica che può|dovrebbe attivare una connessione tra la dimensione umana, abitativa, e il pianeta.
In attesa delle policy globali alla prossima Cop26 di Glasgow, Deborah Zani dà vita a un ragionamento dimensionale, e aziendale, sulla vera sfida dei prossimi anni: “Conoscere il nostro pianeta, per proteggerlo”, il pensiero di un’autrice, CEO, dalla visione integrata e profonda.
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Nel libro di parla di una dimensione ulteriore rispetto alla classica triade ESG-Environmental, Social & Governance, schiusa dalla lettera ‘H’: perché l’Healthy è connessa alla produzione del futuro?
«Nelle interviste alle nuove generazioni – non alle giovanissime che paradossalmente vedono già il tema della sostenibilità in maniera più sistemica – è emerso quanto sfocato sia in generale il concetto di sostenibilità, abbandonata spesso e velocemente come scelta, per mancanza di comodità o di tempo o perché impraticabile economicamente. È emersa però una convergenza tra i concetti di sostenibilità e salubrità. Ciò che è sostenibile dovrebbe essere prima ancora salubre e il prodotto sostenibile e salubre è preferibile al prodotto riciclato. Purtroppo, però, vi è anche molta ipocrisia. Per esempio, nel riciclo di bottiglie di plastica, se non vi è distinzione tra plastiche a uso alimentare e non, l’impiego di energia e di prodotti chimici è esoso e il materiale di scarto elevato. La preservazione di uno stato di salute e benessere è già per le attuali generazioni un tema al quale le imprese devono tendere per essere attraenti. Nella produzione del futuro, i temi della salubrità e della sostenibilità saranno strategici per l’azienda nella narrazione del proprio valore così come anche nella comunicazione dei propri investimenti in innovazione».
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Sostenibilità sinora è stata a volte equivocata con green washing, lei propone un sistema socioeconomico adattivo e complessivo, ce lo racconta in 5 parole-chiave?

  1. «Definizione sovra-settoriale di un non financial reporting. Ci sono diversi modelli a livello mondiale di reportistica ma nessuno in particolare spicca sugli altri. Sarebbe invece fondamentale rendere il più oggettivabili possibili le azioni nei tre campi: environmental, social e governance. Così da evitare anche il greenwashing.
  2. Profitto come base per investimenti e innovazione. Spesso la sostenibilità è legata al tema dell’ambiente, ma in realtà è come fossero tre cerchi concentrici: il primo, il più stretto, è l’ambiente, poi c’è il welfare sociale per i collaboratori ma anche per il territorio nel quale mi inserisco e poi c’è il comparto economico della buona gestione finanziaria dell’azienda. Se non ho una buona gestione finanziaria dell’azienda, anche gli altri due elementi non possono essere perseguiti. D’altro canto, welfare e ambiente possono essere, viceversa, delle leve di competitività importanti per generare profitto nel futuro. Quindi la relazione va in entrambe le direzioni.
  3. Interdisciplinarità e professionalizzazione del tema sostenibilità in azienda. Ci sarà necessità di nuove professioni che riescano a capire il tema della sostenibilità a 360°, che partendo dalla produzione – per esempio – riescano a leggere i risvolti ambientali e a integrare il tema del welfare. Così come sarà necessario che gli apici aziendali capiscano e sappiano leggere i parametri della sostenibilità, anzi, spingendomi oltre, direi che dovrebbero essere misurati in base all’impronta sostenibile che riescono e dare alla propria azienda.
  4. La sostenibilità non è un punto di arrivo, è un percorso adattivo da parte di imprenditori illuminati che propongono nuovi standard supportati dalla pubblica amministratore e dal legislatore che deve avere la capacità di comprendere che ci vuole tempo per il cambiamento (no caccia alle streghe)
  5. Condivisione dei saperi e loro accessibilità. Per le PMI italiane, è necessaria la condivisione. Laddove ossia non ci sono i budget di cui sono dotate per esempio le multinazionali – che devono muoversi per prime in maniera seria – i piccoli possono sopperire condividendo e collaborando. In tal senso, molto possono fare le associazioni di categoria per creare punti di incontro, piattaforme di condivisione o finanziare R&S insieme a università e centri di ricerca di modo da essere i primi nel loro settore. Con la collaborazione e la condivisione, è possibile rendere accessibile un prodotto al grande pubblico, perché se il prodotto non è accessibile al pubblico, non c’è alcun profitto per l’azienda».

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Nei sistemi di cui tratta nel libro, un’emergenza (anche in senso di emersione) è quella del cambiare prospettiva, da un mondo-io a un mondo-noi collaborativo, co-operativo. Qual è il linguaggio che dalle verdure dell’orto che hanno innescato le sue riflessioni possiamo portare nella vita consumistica di tutti i giorni, forse anche per tornare a un consumo davvero ‘sostenibile’ (rapporto necessità reale-produzione)?
«Il linguaggio è quello che viene usato nel libro: graduato su diverse complessità e sulle capacità dei settori. Ognuno deve poter leggere il messaggio secondo gli strumenti che ha a disposizione e anche al suo grado di predisposizione al tema. Bisogna rendersi conto delle barriere settoriali. Si pongono spesso obiettivi troppo alti rispetto alle possibilità: a volte la compensazione è preferibile al sovradimensionamento».

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Nel suo lavoro, gli alberi sono importante fonte, di produzione, una delle prossime tappe dell’umanità dovrà necessariamente passare per un’urbanistica attenta all’ambiente, lei pensa che ci si sposterà davvero verso le wood-cities, città-albero, o in ogni caso quale sarà il nuovo rapporto uomo-natura?
«L’impiego del legno nelle costruzioni sicuramente aumenterà con il crescere delle città. Le wood-city non vanno interpretate in maniera troppo totalitaristica. È la tecnologia che deve sostenere l’impiego di materiali naturali e circolari ove possibile. Tornando al compito della pubblica amministrazione sono l’ideazione di spazi verdi, di riconversione di aree, di investimenti intelligenti di smaltimenti e riuso, la micro-mobilità e l’ideazione di nuovi spazi di lavoro ibrido, a poter plasmare le città del futuro».