Madeira: blogdiary 5

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Tutto cambia. Non soltanto, tutto scorre, e passa. Tutto cambia. Anche i piani dell’ultimo giorno. Stamattina saremmo dovuti andare a fare un giro in barca intorno a Funchal, poi a Fajã dos Padres nel pomeriggio, solo nella sera avremmo dovuto essere ospiti nel ristorante del più importante chef dell’isola. Ma tutto cambia, appunto.
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Appena sveglio, stamattina, il tempo non era male ma già da ieri André, la mia guida qui, mi aveva anticipato sarebbe piovuto. Coniugazioni e condizionali. Così è stato. Nebbia alta in quota, dove saremmo dovuti essere stamattina per il trekking. Nessuna visuale a 10, 7, quando la vista a 5 metri anche si è compromessa, e la pioggia ha cominciato a sferzare l’asfalto, abbiamo fatto l’unica cosa possibile con André, siamo scesi verso il mare.
La prima parte della discesa attraverso gole spettacolari, volti di giganti nella roccia, caverne con la faccia di titani. Un pezzo della SR23, un sentiero montano che fa il periplo dell’isola, rocce e cascate intorno, scendendo il pensiero è andato a Thoreau, il suo Walden-Vita nei boschi: «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, affrontando solo i fatti essenziali della vita, per vedere se non fossi riuscito a imparare quanto essa aveva da insegnarmi e per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto.»
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Dopo il sentiero in discesa verso Paul do Mar, un caffè e due passi per il villaggio di pescatori, strette vie, case minuscole, qui è nato un Vasco de Gama poeta invece che esploratore.
La salita della Vereda dos Zimbreiros è un cammino impegnativo, fichi d’India, e zimbreiros piante endemiche che producono bacche rosse. Punti panoramici e rocce primordiali, vecchie strade usate dagli agricoltori di zona per portare vivande, legname, animali dall’alto al basso dell’isola. Madeira è tutta così, appunto, un saliscendi continuo.
All’uscita del sentiero, Flavio un collega di André ci riporta indietro. A pranzo tardi re-incontriamo Rui, siamo ospiti del Socalco Nature Hotel, un complesso che combina turismo rurale, gastronomia d’eccellenza (è di proprietà del migliore Chef di Madeira, Octávio Freitas). Una vecchia casa del XVII secolo riadattata, a pranzo tra i piatti pesce-pappagallo di nuovo e cous cous, parlando inglese, francese, forse anche un po’ di spagnolo, dall’alto della terrazza si respira il mondo, lo stesso visitando la nuova vigna che, ci racconta Nélia Freitas, sorella dello chef, lo scorso anno ha già prodotto vino, ma anche le camere per gli ospiti qui sono integrate alla roccia, in particolare la Casa da Gruta, un mini appartamento ricavato in una grotta, o la Casa da Cascata, piuttosto facile da tradurre.
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Con André e Rui il discorso va alla sostenibilità, l’importanza delle essenze endemiche, piante locali usate in cucina da chef come Octávio Freitas, ma anche dalle persone comuni che, in un’isola piccola come questa, tentano di raccontarsi raccontando l’ambiente. Troppe volte “sostenibile” viene usata come parola per coprire altro. Socalco, invece, è termine che proviene dai vecchi terrazzamenti, immagini uomini e donne affaticati scavare solchi, incanalare l’acqua (e nel complesso il vecchio acquedotto è in funzione per le acque chiare).

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Più tardi, nel pomeriggio, Isabel ci aspetta alla Quinta das Vinhas, che ha ereditato da generazioni. Vigne ovunque, dall’uva Bastardo alla Malvasia, grappoli e acini che scendono dall’alto secondo la vecchia maniera di fare i vitigni, ma anche la nuova, Isabel che vive a Funchal e fino a qualche tempo fa si occupava solo di management ha deciso di dedicarsi al luogo di famiglia: 30.000 m², prima a canna da zucchero ora convertiti in vigne, e altre erbe, coltivate secondo il principio dell’agricoltura bio-dinamica, specie diverse, tempi diversi. All’inizio Isabel aveva smania di produrre ma poi lo capisci, che la Natura ha i suoi tempi, così ora coltiva, pianta, aspetta il tempo della maturazione, il tempo-uva, ci porta a vedere la sua “library” enologica, gruppi di 5 viticci lignei attaccati alla terra, alcuni marcati nuovi, le nuove generazioni che piano piano andranno a sostituire le vecchie. La casa colonica è del XVII secolo, l’ingresso una volta era dal vecchio portone, nella vecchia cucina mobili antichi, legno di secoli, un lavabo in marmo e un’otre dalla quale anticamente si mesceva l’acqua. Oggi la Quinta ha 24 mini appartamenti, una vista sull’oceano invidiabile, ce ne accorgiamo persino quando improvvisamente, di nuovo, si mette a piovere sulla tavola imbandita a uva e pane e pomodoro, formaggio e marmellata dell’orto bio-dinamico.

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Esempi, produzioni, persone. Uno per volta, dice Isabel, forse riusciremo a cambiare il modo di pensare il mondo.