mezcla prod

 
Producono documentari che vincono premi. Fanno videoclip di artisti internazionali. Sono veloci, bravi. Un po’ come nel film Giovani, carini e disoccupati. Ma loro sono, piuttosto, precari.
Appartengono a un settore apparentemente perfetto: l’AudioVisivo, in cui tutto appare bello ma (nella migliore delle ipotesi) è solo glitter.
Sono il “dietro la patina”, lo specchio che nessun telespettatore vede. Il dark side dello schermo che nasconde, sotto due dita di cerone, una catena pressochè infinita di devianze: lavoro in nero, sottopaghe, nessun tipo di sicurezza, impossibilità a “firmare” il proprio lavoro e, dunque, vederlo riconosciuto (economicamente ma soprattutto a livello autoriale).
Del resto. Questo è lo showbiz, bellezza!
Ecco a voi il ritratto di un gruppo di giovani indipendenti che non ha ancora smesso di credere nei propri sogni e che, da qualche anno, lavora in uno dei comparti a più alto tasso di rischio e sfruttamento dell’intera Galassia.
Mezcla Prod (qui il sito) è un laboratorio di giovani professionisti. È una produzione indipendente. Un “nome collettivo” che produce documentari, video musicali, ha un sito e una gestione quasi rizomatica del lavoro.
Nella “mezcla” ogni singolo mette il proprio talento in condivisione con gli altri (unica eccezione che conferma la regola: il documentario Lo sguardo rubato 2° al Premio Generazione Reporter 2013 – ideato, scritto e diretto dalla regista Alice Iammartino) si lavora a delega e in base, senza altezza, a un progetto comune. La forza delle alleanze di progetto: «Esiste un nucleo di fondatori, siamo in cinque. Dal momento che il nostro campo di lavoro è l’audiovisivo, ci dividiamo in una sezione Audio, di cui si occupano due persone e una sezione Video composta da tre persone. Per il resto esistono molte propaggini di mezcla, persone su cui abbiamo investito negli ultimi anni e che a loro volta hanno investito nel nostro progetto, laddove con “investimento” non intendiamo il mero significato economico. Siamo fermamente convinti che oggi più che mai sia necessario investire sulle persone, sulle loro peculiarità, sui loro percorsi formativi personali. Ti stupirebbe scoprire quante persone che fanno il nostro lavoro, se messe nella giusta condizione, siano pronte a rinunciare anche a determinate certezze (come il posto fisso per esempio) pur di realizzare un progetto in cui credono. Pur di poter esprimere liberamente la propria creatività senza imposizioni di linguaggio, tempi folli, …».
I tempi della Macchina. Charlie Chaplin ne andrebbe fiero! 
«Il nostro lavoro consiste nel cercare soluzioni “creative” che sopperiscano alla mancanza di mezzi e fondi, spesso determinata dal fatto che ci muoviamo in tanti. Almeno una decina di persone a progetto, pratica ormai in disuso. Però come dicevamo, non siamo disposti a rinunciare a questo tipo di formazione anche perché siamo convinti che le idee più intelligenti e costruttive nascano proprio dalla commistione tre le diverse esperienze, i diversi percorsi di ogni singolo individuo. Il nostro sistema inoltre non racchiude rigidamente le persone in unico ruolo ma da la possibilità di scoprire attitudini sconosciute, oppure applicare le conoscenze acquisite in un determinato campo a un altro.
Ne sono esempio i due musicisti che fanno parte del gruppo che nella lavorazione di un videoclip, sebbene si lavori sulla musica di qualcun altro, portano le loro conoscenze musicali proponendoci anche una visione “matematica” del pezzo su cui andiamo a lavorare. In sintesi proponiamo un sistema di lavoro che sfrutti appieno il potenziale del singolo individuo che mette chi partecipa nella condizione di poter dormir tranquillo la notte, con la coscienza di aver fatto il meglio possibile. Con la serenità dell’aver utilizzato con responsabilità e rispetto il mezzo che abbiamo a disposizione».
Mezcla Prod è una realtà specifica, che nasce in una città-organismo che in molti vedono ormai essere prossima alle fatali logiche delle megalopoli più estreme, le Maximum City (cfr. articolo di Repubblica sul traffico indotto dal prossimo inizio delle scuole qui): «Facciamo base a Roma ma siamo aperti e cerchiamo di arrivare fin dove possiamo. L’organismo è difficile da delineare, forse il termine più adatto a descriverne la forma è proprio MEZCLA, che è il nome che abbiamo scelto di darci. Purtroppo, il corrispettivo italiano “miscela” non rende abbastanza bene il concetto. Diciamo che ogni persona che collabora con noi accetta e condivide il nostro modo di lavorare e a sua volta instaura con altri, rapporti fondati sugli stessi principi: ricerca, qualità, passione per il proprio lavoro, rispetto del lavoro altrui e serenità e onestà nei rapporti. Ogni individuo diventa motivo di stimolo per un altro. Mezcla significa anche questo, impegnarsi il più possibile al non cedere all’immobilismo. È un modo di reagire. Di confrontarsi, di restituire valore al concetto di collettività.
Siamo questo tipo di organismo. O meglio cerchiamo di essere questo. La cosa divertente è proprio il nostro essere in continuo divenire».
Eppure, la “precarietà” è una condizione dell’esistenza: «Probabilmente, nel nostro caso specifico di lavoratori dell’audiovisivo, il senso di precarietà che ci portiamo costantemente addosso, non è tanto dovuto alla presenza o assenza del lavoro, anche, ma piuttosto all’assenza totale di riconoscimento del nostro ruolo sociale. In questo Paese scegliere di fare un mestiere, passaci il termine, “creativo” sembra quasi essere sinonimo di non avere voglia di lavorare né, men che meno, di crescere. Spesso ci chiedono: “Sì, ho capito ma di lavoro dico, cosa fai?” e questo ovviamente ci destabilizza, perché noi conosciamo appieno l’importanza e il potere del mezzo che abbiamo a disposizione – il Quarto Potere dei media ndr – e ne sentiamo addosso tutta la responsabilità. Quindi in questo senso viviamo in una condizione di assoluta precarietà, siamo considerati un surplus, un vezzo della società, viviamo nel terrore che vengano a dirci: “Ok ora smettetela di giocare e mettetevi a fare il pane, che quello sì che ci serve!” (Ma non erano le brioches? ndr) Poi certo, ci sono anche le aspettative, il futuro. Ma il nostro lavoro probabilmente è destinato a scomparire quindi…
Quale il sogno? «Poter fare il nostro mestiere, liberi dai compromessi. Riuscire a riportare un po’ di umanità nei rapporti lavorativi, mettere in discussione le logiche di potere come unico motore dell’universo-mondo. Spezzare la concezione dei rapporti “superiore/subalterno” (che riattualizza il vecchio adagio “schiavi-padroni”). Ma piuttosto pensare in termini di crescita costante di tutti gli individui. E proprio in funzione di questo, poter continuare sempre a investire tempo ed energia nella ricerca».
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