Oltre il rigore del saggio, c'è un non so che di feticistico piacere a sfogliare le pagine di questo elegante libro formato "quadrotto" edito da Sironi Editore (Euro 19,80) scritto con puntuale verve dal professor Gian Piero Piretto.
E non è per la preponderanza estetica delle immagini della nostalgia dell'Ost (lo stile, la cultura e le specificità della Germania dell'Est, le identità da paese socialista); nè tanto, e solamente, per il fatto che per una volta ancora, minima ma essenziale, a parlarci dell'uomo sono i suoi oggetti, il suo "quotidiano" e a ciò rimandano dunque tutte le cognizioni dell'essere umano sul suo intorno: la percezione, la fisolofia degli oggetti che è filosofia del suo fare, e dunque del suo essere. E, ancor di più, la necessità, che viene da quegli oggetti e che racconta un istinto dell'uomo, il cambiamento.
Ciò che unisce al rigore il piacere della lettura, e del semplice tenere in mano il "26esimo oggetto" (feticcio) se vogliamo, è la consapevolezza, degna di nota e contemporaneamente non alta ma alla portata di tutti, di avere per le mani uno scritto che ci parla di STORIE attraverso gli strumenti che quelle storie hanno non solo contribuito a formare (fermare nel tempo, e affermare in quel contesto storico-politico) ma anche oggetti che raccontano chi li ha costruiti, per quale scopo, con quale retropensiero… Insomma, il "quarto regno" degli oggetti che, di fatto, (e scusate il bisticcio di parole) hanno fatto la Storia, nel bene e/o nel male dell'Europa così come ci è arrivata in questo scorcio di inizio terzo millennio, e sul quale siete autorizzati a non dire che è meglio…
Il saggio di Piretto è uno scritto "quadrato" (non solo nella forma dunque) passa in rassegna il kitsch e lo mischia a Majakovskij, andando al cuore del problema russo dell'epoca: "eliminare quella spaccatura tra Cose e persone che era caratteristica della società borghese" cita Piretto, insomma l'uomo non è solo ciò che mangia (Feuerbach) ma, anche e soprattutto, ciò che sceglie.
Corredato da stampe d'epoca, rimandi all'arte russa iconografica e la Red Art, passando attraverso i mirabolanti poster d'avanguardia (il progresso, che meravigliosa macchina di sogni! sembra suggerirci l'autore) i "25 oggetti" di Piretto ci parlano in un dialogo doppio e reciproco che va dagli uomini al mondo e dal mondo ai suoi rapporti oggetto/soggetto, narrano le vicende opportune della "vita privata" che sta dietro quegli oggetti, di noi uomini, privati e pubblici, provati dalle fatiche della vita (ma per fortuna c'è l'acqua di colonia Sipr!) .
E così scopriamo il distributore di acqua gassata e i prodotti a "marchio" Sputnik, la tecnologia di design, che sulle gesta del satellite "compagno di viaggio" (trad. di Sputnik) ci parlano di un regime che dichiarava la sua avversione all'oppio dei popoli (il manifesto "Abbasso le feste religiose") ma che, suo malgrado, strizzava comunque l'occhio all'Occidente rubicondo, dando alle stampe francobolli commemorativi con Babbo Natale (o era una manovra degli anti-comunisti infiltrati nel regime, o il povero stampatore avrà avuto ciò che si meritava visto l'evidente attacco alla Grande Madre Russia…).
Il saggio di Gian Piero Piretto ha il pregio, e le immagini a colori che lo supportano, per chiarire, una volta ancora, e se servisse ancora dimostrarlo, che il consenso si crea con le immagini, e gli oggetti. Che Hollywood oggi fa molto di più della politica americana, in fatto di "american dream".
Così, guardando a Gagarin e alla macchina Pobeda (Vittoria), prima mitica automobile sovietica dotata di riscaldamento (e ce n'era un gran bisogno, evidentemente!) e autoradio (!); passando in rassegna la Trup Lenina e la piazza Rossa, la Vodka (che qui scopriamo essere il diminutivo di voda, acqua), passando per il patto Ribbentrop-Molotov (vi viene in mente niente?) e poi Stalin che "si adopera per ciascuno di noi al Cremlino", dalla "lavoratrice modello con il marchio di qualità" (il Capitalismo non si è inventato niente) finanche alla Grande Guerra Patriottica con tanto di stellette rosse e il faccione serio serio di Leonid Breznev, fino alle prime venditrici di Coca-Cola degli anni Novanta: ormai non più infiltrate… "La vita privata degli oggetti sovietici" dunque parla a ogni, e ciascuno di noi, di un mondo che fu, ormai estinto.
Ai nostalgici piacerà per questo. Agli avversi, per ragioni uguali e contrarie.
Di fatto, al peggio se non vi interessa come lettura, è anche un bell'oggetto, kitsch al punto giusto, da tenere in un angolo del nostro elegante salotto, faremo così (comodamente adagiati sulle nostre poltrone un po' stinte dalla crisi) la nostra bella figura da esteti bravi borghesi della nuova democrazia tecnologica. Che, per dirla con il prof. Piretto, è "passaggio dal byt (quotidianità materiale) al byt'ë, componente legata alla vita dello spirito (…) bit/byte, e poi non dite che non ce l'avevano detto!