E’ appena suonato due volte l’allarme ma non riguarda la città, due missili verso sud. Domenica mattina pacifica, ai limiti dello straniante, pochi rumori in giro, il silenzio di una “qualsiasi” domenica mattina anche se sappiamo che così non è. Che si prepari qualcosa, ci si chiede. Ed è questo senso di irrequietezza, forse, che striscia sotto i volti apparentemente distratti dei passanti.
Ragazzine vestite da cosplayer al parco improvvisano coreografie, ragazzini compiono evoluzioni sullo skate, a due passi dalla spiaggia dove persone fanno jogging, prendono il sole, bambine giocano in acqua, il Mar Nero che alcuni vorrebbero per traffici merce, l’annessione di un litorale per implementare l’economia di guerra, che c’è, i signori del conflitto soffiano sul fuoco acceso, mentre in Medio Oriente un altro conflitto impegna i cieli. Droni, missili, le guerre parlano la stessa lingua anche a migliaia di chilometri di distanza.
Gli uccelli invece, loro, volano, gli alberi trattengono un po’ del caldo quasi estivo di Odessa, i barometri segnano 23°C caldo secco, al porto – infotografabile, barriere e sacchi, militari a presidio, per evitare che le spie russe (scoperte qualche giorno fa) inviino segnali e coordinate per l’attacco – il porto lavora: si sentono rumori di gangli e pulegge nella silente pigra tarda mattinata sul Mar Nero, è qui che passa il grano d’Europa, quello per cui i contadini polacchi stanno fermando le derrate solo ucraine, per evitare dumping o favoreggiamenti ai cereali di qui, la guerra tra poveri, un classico della razza umana.
Sotto l’ombra degli alberi lungo la camminata a mare palazzi con le finestre fissate con lo scotch, pavimentazione a cemento armato, vecchi ruderi di metallo convivono con la sinistra apparente spensieratezza dei domenicanti.
Una signora anziana cammina, l’odore dell’aria salmastra si mischia ai barbecue sulla spiaggia, le persone scendono in spiaggia, il senso della vita che vince su tutto.
Odessa una città pacifica, oggi, toccata dal sole che scotta verso mezzogiorno, e lo sguardo delle persone che cercano di dimenticare. La Crimea e il Donbass, Mariupol, Kharkiv, il mare d’Azov. Sono nomi che ricompongono il presente in questa area in guerra a bassa intensità, per il momento. Fino a che suona l’allarme sulla app del telefono, in quel caso i volti si tirano, si cerca con lo sguardo il vicino.
Lungo la passeggiata stamattina ho visto militari in congedo temporaneo, alcuni uomini con le gambe artificiali, chissà come perdute, mine o civili, mi chiedo ed è tutto qui il senso di una guerra: rivedere la realtà, il cielo di ieri (l’attesa di un drone o un missile), sentire il suono della guerra, il suono, prima dello scoppio, prima dell’invasione. Pensare che la guerra arriva prima con i suoi rumori, e poi con i suoi orrori.
Sono molti gli interessi sulle coste, chi ricostruirà i palazzi bombardati? Chi si occuperà della bonifica e della riqualificazione delle aree colpite? Alcuni già compravendono le case lasciate in fretta e furia, disabitate, per questo alcuni ucraini sono rimasti. La Turchia di Erdogan gioca, e giocherà sempre di più, un ruolo cruciale anche qui. Per questo i rapporti si complicano, al moltiplicarsi degli interessi, delle mire. Odessa che deve, quasi, rimanere integra perché città strategica, mi dice Stefano Antichi di Terre des Hommes. Un palazzo è stato buttato giù qualche giorno fa, lo stanno già ricostruendo, e anche questo dà la misura di quanto ci sia bisogno di velocemente ripristinare, cancellare, fare finta che.
Secondo giorno a Odessa e mi chiedo, quando finisce l’allarme, oltre i confini delle città, le periferie oscurate per mancanza di corrente, i campi visti ieri dal bus, trincee improvvisate, come troverò le campagne, la vita dei contadini, l’acqua potabile contaminata dal piombo delle armi riversate sul territorio. Domani giornata piena tra università e fattorie. Per oggi si torna alla finta calma della domenica, senza illusioni, secondo diario da una città porta d’accesso al commercio mondiale.