Una wunderkammer, una stanza delle meraviglie – come specifica già il titolo – questo libro/compendio di Aimee Nezhukumatathil, Un mondo di meraviglie (Elogio di lucciole, squali balena e altri prodigi) all’interno della collana “saggi terra” della casa editrice nottetempo (trad.it. Federica Principi, illustrazioni Fumi Minu Nakamura, €18).
E si viene proiettati nel mini-mondo degli esseri viventi, tutti parimenti arcani, celati segreti, che si disvelano dinanzi ai nostri occhi, a patto di accettare la meraviglia del Vivente, la sua sacralità, il fatto che ogni forma di vita celi, dentro di sé, dietro di sé, una scia di “sacro” inaccesso, di magica vitalità.
Il mondo di meraviglie entro il quale ci fa entrare Nezhukumatathil – poetessa, saggista di origini indiane e filippine, nata a Chicago nel 1974 – affronta una sorta di piano di censimento del mondo, senza mai perdere l’incredulità o lo stupore del bambino di sé; al contempo, il libro (tradotto in tutto il mondo, a lungo tra i best seller del New York Times, giudicato uno dei migliori libri del 2020 da testate come Esquire e BuzzFeed) pone in essere una rubricazione mitopoietica più che solo scientifica, l’autrice sente il dovere di indagare, accumulare informazioni al fine della conoscenza, solo per stupirci.
Un atteggiamento prezioso di questi tempi, nei quali i populismi mettono gli esseri umani contro altri esseri umani per mezzo della pericolosa superficialità dei pregiudizi, e le creature selvagge – orsi, lupi – invece che essere compresi quale nicchia ecologica di co-abitazione, diventano facili bersagli da abbattere, in nome di una superiorità che, evidentemente, nonostante il Male del ‘900, non si è ancora estirpato dall’animo umano.
Ed è questo un altro passaggio del testo dell’autrice, che vive negli Stati Uniti e insegna Lettere e Scrittura creativa nel programma MFA dell’Università del Mississippi.
Quella di cui scrive Nezhukumatathil è una “terra di confine” che pretende l’attenzione dell’osservatore e la disposizione all’apertura di quello che, in breve, potremmo definire “stupore” – sentimento in grado di farci provare ed emergere uno dei più puri dei sentimenti: l’amore incondizionato per tutto ciò che è vita pulsante.
Così leggiamo della ritrosia della mimosa pudica, che si chiude al passaggio del passante così del vento; dello squalo balena come mitologia nel paese di origine della madre dell’autrice, animale di folklore e leggende; incrociando tracce della sua propria vita, un trasloco (una gita nel deserto di Cave Creek, Arizona) la poetessa-saggista eredita dalla compilazione una forma ibrida di racconto in grado di legare forme di vita a paesaggi, che nella poetica di Nezhukumatathil non sono mai fine a se stessi, ma come nella migliore tradizione linguistica mettono in relazione – e risonanza – un evento con un luogo, un accadere con il soggetto, così facendo questo libro ci consegna un’altra scorta di pensiero: ovvero, che ovunque noi si vada nel mondo, nel ‘perderci’ troveremo parti di noi; nella doppia correlazione con le forme più disparate di vita (noce di mare, macaco dal berretto indiano, nittibio, murena a nastro, ma anche le domande che i figli mulatti – come specifica l’autrice, schiudendo ancor di più il criterio della varietà nella bellezza, dell’armonia dei regni diversi), come lettrici e lettori non potremo infine che ringraziare questa carrellata di colori, questo libro-universo schiudente, uovo dalle storie d’oro che ci permette di intuire la vastità del mondo, e delle sue meraviglie. E soprattutto evitare il grande inganno dell’essere umano superiore, cosa siamo infatti davanti alla brillante luminosa sostanza di una lucciola, quel piccolo brillante puntino che danza sugli strali erbosi di un mondo, tutto da scoprire?