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Re-Re. Mentre il mondo piange la morte della Regina Elisabetta II, qui alla fine del mondo una giornata Re.-Re., appunto, ovvero Relax e Reykjavik.
Stamattina appena sveglio, pioggia leggera, cielo plumbeo sulla città. In direzione del porto nuovo. E’ qui che si trova lo Sky Lagoon, il nuovo centro geo-termale di Reykjavik. Una struttura completamente innestata perfettamente nello stile architettonico dell’area: attracchi, container intorno, il centro dista 15′ dal centro, l’edificio a taglio di pietra scura, prato che cresce sulla copertura, profilo basso per chi vuole defaticare i chilometri e la distanza percorsa.
Entri nella zona di svestizione e sei già in un’altra dimensione, più pacifica, e lenta. Così quando entri nella grotta che dà accesso alla laguna, la prima impressione è di spazio, e orizzonte. In effetti mentre ti immergi nell’acqua calda che viene dall’impianto geotermale – niente di nuovo, direbbero gli antichi romani – eppure la sensazione è di sentire, nel senso di “to feel” degli inglesi quanto sia importante che questa terra, l’Ice Land appunto, sia intimamente legata al calore sotterraneo; e che, di più, gli islandesi conoscano bene il significato di ritemprare il corpo, di nuovo mens sana etc etc, e che sfruttino questa dicotomia, superficie|subterraneo, acqua|fuoco, il vapore fuoriesce e si sta immersi di fronte al mare, estranei al quotidiano: basterebbe poco, in effetti, vapore, tempo, accettare la noia contemplativa, l’otium che non è improduttivo quanto piuttosto attenzione.
Dopo il percorso allo Sky Lagoon, il cielo resta in testa così come il sapore del sale marino di queste terre, la cura islandese, scandinava in generale, all’eterna rincorsa di chi gode del privilegio bianco: il work|life balance.
A pranzo sono con Gudmundur (amico dell’amico Armando che a Brescia è prezioso contributo all’assessorato alla Cultura del Comune, e che per me fu fondamentale nel periodo in cui scrivevo la Lonely Planet Lombardia per Expo 2015 ndr) Gudmundur diremmo che fa il “ragioniere capo” al Ministero della Finanza invece, qui a Reykjavik, andiamo a pranzo alla Norræna Húsið, la Casa Nordica, gioiello architettonico di Alvar Aalto, che ospita una biblioteca e un piccolo bistrò.
Qui troviamo una ragazza italiana che studia ingegneria ambientale, è di Torino, un’altra expat, ennesimo esempio che il mondo prossimo venturo sarà di questa generazione che si muove, che lo vogliano o meno i populismi.
A pranzo parliamo di soluzioni ambientali e progetti con Benedikt, che ha lavorato molto tempo in una società che si occupa di de-carbonificare gli output aziendali e la Co2. Il futuro non è roseo, e pure forse occorre provarci. A tutte le latitudini. Concordiamo che la deadline non può essere più lontana del 2030-2035. Io avrò 61 anni.
Finito di mangiare, due passi nel “centro” di questa città nuova, di pietre grigie e navi al porto vecchio, famosi street food dove mi dicono Gudmundur e Benedikt andò a mangiare persino Bill Clinton: un panino con la salsiccia, la coda che si dilunga a serpentone in strada ne è testimonianza palese; infine, un doppio espresso da Mokka Kaffi, dove la macchina da caffè italiana- una storica Cimbali – è attrazione per intellettuali, e l’upper class di questo piccolo centro del Nord Europa, Reykjavik fa più o meno 360mila abitanti: in un claim, una città minimal e easy.
A margine, noto che l’islandese forse, per suono e musicalità, somiglia al catalano, o asturiano. Non so perché, ma questa cosa in parte mi pare fondamentale.