Esce domani, L’uomo sul ponte. Diario da Hiroshima e Nagasaki e TESI SULL’ETÀ ATOMICA di Günther Anders (Mimesis, collana Anderseniana, trad.it. Renato Solmi, prefazione di Norberto Bobbio, introduzione di Micaela Latini, € 18,00).
In questo suo diario (bellissima l’illustrazione del labirinto, chiave e metafora del mondo contemporaneo) Anders – uno dei capostipiti del movimento antinucleare mondiale – schiude il tempo del nostro tempo, le reiterate istanze, i richiami formali, tutto scomparso in questa epoca senza ritegno. Le nazioni invadono altre nazioni, sembra di essere tornati indietro di secoli, i populismi avanzano, così il ritorno di fiamme, nere, cupe vampe che riempiono i cieli del nostro domani. Non c’è speranza, sembra. Il ruolo delle donne messo in secondo piano per una società sempre più tecnologicamente avanzata. Ma avanzata rispetto a cosa, ci chiede a distanza di anni Anders?
Il tempo atomico, il nostro, il dibattito che non c’è, le prese di posizione a priori. L’orologio che batte l’alert del rischio di guerra nucleare, i paesi del Nord Europa che danno istruzioni ai propri cittadini in caso di fallout, mentre altre guerre striscianti avanzano, imbattute, costanti. Non riusciamo a uscire dal labirinto, ancora una volta, la chiave è tutta qui.
La speranza. Dove risiede allora? Chi è l’uomo sul ponte?
L’uomo che incontra Anders sul ponte è uno dei sopravvissuti a Hiroshima e Nagasaki, tenta di dirci, in questi suoi appunti – umani, atemporali poiché dedicati all’essere umano, senza tempo – che non dovrebbe esserci spazio per distruggere.
Freud sarebbe in disaccordo, ovviamente, il padre della psicanalisi sapeva bene l’impulso di morte congenito alla nostra razza, umana, l’unica che esista.
Nessun ritegno però della nostra specie a tirare in mezzo anche le altre, nella distruzione. Nemmeno siamo in grado di “lavarci i panni in casa” parlando di estinzione, la parola-monito. Come l’uomo sul ponte. Senza mano, senza più volto, perché gli occhi li ha lasciati a quel 6-9 agosto del 1945, quando l’abbaglio e lo stridore hanno falciato donne, bambini, alberi, cani, carretti del gelato. Le terribili foto di ciò che rimase. Polvere nera sui muri. Questa è una persona.
Sono appunti, tabelle, pensieri.
Il libro di Anders è un appello, senza pretesa di attenzione, ci mancherebbe, il mercato della disattenzione. L’uomo sul ponte è un rimando all’intelligenza che gli umani non sanno usare, troppo presi dalla falangi e dal “fascismo eterno” come lo chiamava Umberto Eco. Che non è in una bandiera, o in una fiaccola, piuttosto nel comportamento di sopraffazione che, allo stesso tempo, rivolge l’arma persino contro sé stessi: “Il 6 agosto 1945 è il giorno zero. Poiché quel giorno è stato provato che la Storia universale può anche non continuare”, così scrive il grande filosofo scrittore. Solo che non c’è più nessuno ad ascoltarlo. Per questo dovremmo leggerlo tutte, e tutti, perché una lezione si può anche imparare a memoria, per non dimenticare più. Cosa? La responsabilità che abbiamo, la libertà di vivere – viventi fra le milioni di vite – finché possibile, su questo pianeta. Abbiamo dato per scontati troppi diritti, ci dice a distanza di decenni Günther Anders, forse è tornato il tempo di tornare a lottare per affermare la vita, non la morte.