blogdiary reportage Faroe 2


Oggi è stato un giorno bello, di pecore e vento, lana, isole in mezzo all’oceano, cavalli, agricoltura e biodiversità e, infine, perché no, merende buonissime.
Stamattina dopo colazione infatti sono andato da Sissal Kristiansen, la designer che ha inventato il brand Shisa, che utilizza solo lana delle Faroe, ci incontriamo all’interno del suo negozio Ullvøruhúsiðtavoli di legno e lampade che fanno luce calda anche alle 10 del mattino.

Sissal è da poco stata a Biella, dove a un convegno internazionale ha incontrato altri designer e produttori di lana: dall’Australia alle Shetland, Islanda. Mi racconta che ama il piccolo, non si trova bene nelle grandi città dove tutto è troppo veloce, ama la pace nell’animo, e anche fare maglie per lei significa portare avanti una tradizione e una cultura fatta di tempo consapevole. Utilizza pattern geometrici per realizzare i suoi capi, questi motivi però, mi spiega, vengono reinterpretati e resi contemporanei, del resto – continua – è la cultura e il pensiero di quest’isola, le Faroe più simili alla Norvegia che all’Islanda, se pur molto più vicina anche del Regno Unito.

Sissal qualche tempo fa ha prodotto un documentario sulla “sua” isola della lana, dove ha parlato del concetto di fare abiti con prodotti locali, invitando anche i suoi competitor a parlare di cosa significhi tessere un materiale vivo, come il vello delle pecore.

Più tardi andiamo insieme verso Velbastaður, una strada che si inoltra sulle falesie, dolci colline degradanti sulle quali si inerpicano, docili, le pecore mamme con i loro cuccioli, zampettano, leccano, scornano, ridicoli e vigorosi sui loro zoccoletti pronti a correre e scalciare completamente scoordinati. Ci sarebbe da emozionarsi, se non fossimo europei tutti d’un pezzo.

Sullo sfondo una delle emersioni più belle che abbia visto al mondo, Koltur è un’isoletta al centro dell’arcipelago faroense, sembra uno scoglio, una pinna di squalo, ferma a un’era pregressa all’umanità, una pietra spaccata di un mondo estinto. Lo stesso che diventeremo noi se non limiteremo le emissioni, se non impareremo da persone come Sissal il concetto di sostenibilità: ambientale (integrarsi al contesto e all’habitat, in co-esistenza con gli ‘altri’ esseri viventi), economica (consumare meno e meglio), privilegiando la biodiversità e il tempo lungo.

La designer viene qui ogni volta che può, mi racconta, e c’è di che rifarsi il mindset, l’attrezzatura mentale, perché qui al vento e al sole che filtra lieve tra le nubi tutto si rimette in sesto, e così non c’è bisogno di distrazioni, compere, acquisti di sorta. Bastano le scogliere e il vento, ma senza retorica, persone corrono sui declivi impervi, poche macchine, pietre e imbarcazioni al largo della costa e il mare, oceano, che si infrange sotto di noi, freddo e costante. Fino alla fine del mondo.

Nel pomeriggio, dopo un salto nel piccolo antico villaggio di Kirkjubøur dove ci sono ancora i resti di una fortificazione e una piccola chiesetta, passo sotto al nuovo Eysturoy tunnel un incredibile opera ingegneristica: un tunnel scavato sotto il mare, lungo 10 chilometri, e che permette di passare agevolmente da una parte all’altra dell’isola, senza percorrere tutte le frastagliate coste.

Arriviamo a Æðuvík per andare alla fattoria di Harriet che, con suo marito John, porta avanti l’attività ereditata dalla sua famiglia, una delle più antiche della zona.
Questa “farmer full time” come lei stessa si definisce si occupa di molte cose, tra le quali fermentare i cibi in speciali rimesse di legno e reticolati che lasciano traspirare il cibo: dalla carne alle verdure dell’orto dove si utilizzano solo prodotti naturali (per esempio, mi mostra – a me e ai colleghi americani e tedeschi – i solchi delle nuove patate coperte con terriccio scuro e lana, in modo da isolare i tuberi dal freddo, una tecnica sperimentale che sta provando dallo scorso anno).

Harriet, che da ragazzina se ne voleva andare e invece, crescendo, ha scelto di tornare e deciso di continuare la tradizione dell’azienda di famiglia che, oltre a tre edifici, ha al suo attivo alcuni terreni con affaccio sull’oceano – vetrate aperte e magnifiche quanto semplici costruzioni di legno colorato -, una rimessa per l’allevamento delle pecore e ben 4 cavalli delle Faroe, a rischio di estinzione (ne restano 82 in tutto il mondo ndr), e ora attende un riconoscimento governativo così da implementare il suo progetto di ripopolamento di questi cavalli, più piccoli dei normali, ma più grandi dei pony. Si può leggere di più sul suo sito.

Scott il border collie ci accompagna nel tour, per fortuna di Harriet non è ancora tempo di turisti, che qui vengono per vedere le sue pecore, i suoi metodi innovativi, si può anche soggiornare con formula b’n’b. Il pomeriggio si chiude infatti con una merenda a base di caffè, plumcake al cioccolato e cannella, crema di latte e composta di rabarbaro tutto, rigorosamente, fatto in casa. Mentre due cuccioli zampettano per casa, Harriet gli dà il latte, hanno appena 3 giorni, poi verrà il tempo in cui andranno fuori, per il momento si godono il tepore del pomeriggio tardo, in attesa che il giorno cada e un altro spunti in alto, su nel nord del mondo, dove chi scrive si sente, ogni volta, a casa.