Lampedusa blogdiary 2


L’uscita con un caicco turco Turkuaz, con le vele e le sartie, il parquet a terra, lo scafo di legno, il pennone dritto sulla prua che spruzza onda di riporto. Inizia così la giornata di oggi, anche se mi sveglio per la prima volta dopo anni alle 9. Di notte c’è stata tempesta qui a Lampedusa, due volte, la prima alle 3 la seconda alle 5,30. In paese dicono che ha dato noia a qualche barca, a me ai Dammusi di Ezio ho sentito solo vento, bonaccia e tempesta, il primo vento del mattino.

Quando saliamo a bordo, Salvatore il marinaio mi racconta dello scorso anno quando uno di loro, un anziano, uno “sperto”, un marinai odi 60 anni è morto, la nave ha imbarcato acqua, forse i motori che regolavano l’afflusso dell’acqua forse la sfortuna, quella di cui parlava Samuel T. Coleridge ne La ballata del vecchio marinaio. Scrivo adesso che è sera, tutto è ondivago, traballo, è la giornata in barca e mi vengono in mente le parole tradotte da Fenoglio.

La giornata invece non ha imbarcato altro che immersioni, immersioni e sole, sole e parole spese mentre guardi il cielo coperto di nuvole, e i faraglioni di Lampedusa. Quando scendiamo a vedere la Madonnina che il sub Roberto Merlo fece depositare a 14 metri sotto il livello del mare, sul fondale, dopo essere stato salvato dai marinai di Lampedusa, la vista che arriva agli occhi, anzi alla maschera, e le pinne, è quella di trovarsi di fronte al sacro. Che non necessariamente è fede, o divino. E’ sacro, è la forza primordiale del mare, pesci di tutti i tipi ci passano sotto. Accanto mentre nuotiamo, Vittoria del Pelagos Diving Center, 26 anni, bolognese di nascita, innamorata dell’isola, ci indica quello che vediamo tra gli scogli, mentre altri sub provano la prima con le bombole: occhiate, dotti, tordi, salpe, durante le immersioni di oggi, alla terza discesa in acqua quella sotto Mare Morto vedremo persino tre pastinache, i trigoni.


Vittoria dopo Lingue ha fatto le prime discese, ha la subacquea nel sangue, dopo aver fatto Lingue ha conosciuto le acque di Lampedusa. Mi racconta della Grotta Santa, un’immersione che si fa a Nord, si scende su un plateau e poi si risale per 8-9 metri, quando riemergi però vedi una cupola larga da cui una fenditura fa entrare i raggi del sole, 5 metri sopra la tua testa c’è roccia e calcare, acqua dolce, la stessa che vedi emergere dalle coste sotto forma di erba di scoglio, è l’aloclino quando si mischia il dolce e il sale della materia del mare, che qui forma le falesie e le cupole con le quali non guarderai più il mare con gli stessi occhi.


Salvatore dopo pranzo si ferma con me a fumare una sigaretta, poi un caffè, mi finisce di raccontare l’amore per le uscite, il dramma dello scorso anno, la nave imbarcata come il Titanic, affondata da poppa, e lui che non poteva fare niente, dire niente, sott’acqua a 15 metri ha solo visto la vita scorrergli sotto gli occhi, il buio, e poi non il naufragio. Ma l’emersione.
Lampedusa ti prende al cuore e gli occhi. E’ un pezzo di terra e canto di sirena. Il pranzo a bordo è semplice e gustoso, le vele spiegate, le discese a mare ripagano dei rumori del turismo selvaggio: dobbiamo stare attenti, e vigilare affinché la plastica – che è soprattutto mentale, è quella dei pensieri – non attecchisca ma che ci insegni a viaggiare rispettosi, in silenzio di fronte alla Natura piena di pesci balestra, la Posidonia sotto le pinne adagiata sul fondo prende il verso delle correnti marine.

Si continua la navigazione, Vittoria accanto mentre cerchiamo di capire cosa siano strani tubi di metallo sott’acqua: Muro Vecchio, Cala Creta, i nomi si alternano, le rotte portano verso il ritorno. Rammenterò le chiacchiere con Salvatore, le storie dei marinai che non esagerano mai, perché sempre di mezzo c’è il dio Nettuno, irascibile e potente, Ulisse e il mito dell’uomo, navigante, per indole e natura.
Nel pomeriggio inoltrato ci dirigiamo verso il Lampedusa Turtle Rescue  ci accoglie Daniela Freggi che è qui da 30 anni, dedicata, un centro spartano che pure ogni anno incontra 35.000 persone, e ha “salvato”, curato con risorse (anche economiche) tutte interne migliaia di tartarughe: ne vediamo 22 nei 4 vasconi, insieme a Daniela ragazzi da ogni parte d’Italia: Vasanello (Viterbo), Pisa, Bologna. Arrivano qui da ovunque pur di curare le Caretta caretta: alcune non hanno più le pinne anteriori, altre hanno ingoiato gli ami.

Lo stesso ogni giorno può arrivare un nuovo esemplare, vediamo la sala operatoria dove i chirurghi ricuciono, tamponano, gusci, colli, zampe di questo esemplare simbolo di tutti i mari, dal Mediterraneo, dove una delle tartarughe del centro – grazie a un marcatore – è stato ritrovato negli Stati Uniti, oltre 8mila chilometri di traversata! Sempre qui vediamo lo scheletro di una tartaruga liuto pescata nel 2016, ora morta, un esemplare di 10 anni morto di embolia che pesava 225 kg (da adulti, 40-50 anni, arrivano a pesare oltre i 900 kg) con 8 chili di plastica nello stomaco!
Stiamo distruggendo l’habitat. Non solo il nostro. E allora che mi domando, vale davvero la pena uccidere la bellezza mentre siamo in vita?

A domani per una sorpresa!
E’ possibile donare il 5 per 1000 all’Associazione Caretta Caretta, C.F. 93023530848.
(sulla strada del ritorno, la bellezza di poter sentire la voce del collega Gualtiero Lugli, abituato alle telecamere, parlare di Lampedusa, e di amori e vento, mentre la blog traveller “Fede” Miceli mi fa ricordare quanto sia importante comunicare, l’uso dei social, la bravura di certe persone di fare il proprio mestiere, navigando, passo dopo passo, nel mondo).