Oggi giornata super interessante. All’incontro di stamattina vado a piedi. C’è un sole velato, vento forza 9 sul ponte di Langebro (il ponte lungo).
Sono appena arrivato quando qualcuno suona il campanello di una bici e mi chiama, è il fondatore di Havhøst, una ONG che si occupa di rigenerazione degli oceani, biodiversità, cibo, futuro: “Qui coltiviamo cozze, che sono in grado di assorbire inquinamento nell’acqua, lo stesso fanno anche queste alghe, assorbono le plastiche diluite (ormai irrimediabilmente negli oceani di tutto il mondo ndr) – ci troviamo su una griglia di metallo sotto una sopraelevata ciclo-pedonale, a due passi dal ponte – Joachim Hjerl è il fondatore di questa associazione che si occupa di coltivazione rigenerativa degli oceani in Danimarca, ma non solo, sono una delle associazioni più attive: eventi, didattica nelle scuole, per incoraggiare l’uso delle aree blu all’interno e intorno alle città.
Ne parleremo diffusamente di queste ocean farm e del corrispondente lavoro di ocean farmer, che sta prendendo sempre più piede qui nel nord Europa, la cosa stupefacente che mi rimane impressa è (come ieri sera al Bistro Lupa, veg) che ciò che crediamo strano, bizzarro, come per esempio coltivare microalghe, diventare agricoltori del mare, non sia fantascienza, o per dirla à la Miyazaki una qualità del futuro (come nella serie Conan), l’idea qui è coltivare per assorbire, ridurre l’inquinamento e contemporaneamente creare un indotto, un’altra economia possibile: “Che per ora interessa 1700 persone in Danimarca”, dice Joachim, ma che si sta espandendo: la pandemia, la guerra, sempre più si guarda al local, alla prossimità, alla sostenibilità di una crescita “giusta”, “Cerchiamo di contribuire al cambiamento, mostrando che questi modelli sono sostenibili, bisogna solo cambiare mentalità”.
Nel primo pomeriggio ho girato un po’ per questa città baciata dal sole, in questi giorni.
Sono passato dentro un cimitero ebraico dove una gazza si riposava tra gli alberi, nel silenzio.
Fuori bambini che giocano, e l’idea che la vita tutto sommato non debba correre sempre, anzi, anche se le bici sfrecciano sulla via: fino a questo momento su uno dei 2 più importanti assi ciclo-viari della città sono transitate finora 1,6 milioni di biciclette, e siamo a maggio, avanti di questo passo per fine anno avranno superato i 5 milioni. Numeri che raccontano una vita all’aria aperta, e una qualità dell’aria elevata, anche se le macchine ci sono, ma vanno a bio-carburanti.
Ci vediamo poi con Silvia di Green Bike Tour – associazione nata nel 2018 – a Israels Plads che, mi racconta: “Qui c’erano le vecchie mura della città, nel 1853 furono abbattute dopo un’epidemia di colera e da lì Copenhagen si espanse con la famosa urbanistica impostata al Five Finger Plan”.
Silvia è italiana, vive a Copenhagen da oltre 10 anni, è un architetto, lo vedi da come ha studiato i percorsi, dalla passione che trasmette: con lei vediamo molte delle cosiddette buone pratiche che la municipalità ha messo in piedi, ormai da anni, i danesi in questo sono pionieri, come per la catena di 13 ristoranti di CoFoCo–Copenhagen Food Collective che utilizzano il fotovoltaico per alimentarsi, e che ha impostato tutta l’attività sulla lotta allo spreco alimentare, “Che qui in Danimarca è un tema molto sentito”.
Il Quartiere Latino è pieno di negozietti vintage, colori, è qui che si può prendere un dolce o un panino dal più antico panettiere di Copenhagen, Sankt Peders Bageri, fondata nel 1648! Oppure prendere un capo vintage da Veras, nato dall’idea di rigenerare capi, l’economia circolare applicata alla moda (vedi la Global Fashion Agenda), dopo una puntata veloce al Tivoli Garden, secondo parco giochi più antico del mondo (l’altro è sempre qui in Danimarca) nato nel quartiere operaio, per garantire al popolo lo svago, oggi auto-produce il suo intero fabbisogno energetico grazie a pale eoliche off shore nei mari danesi, e dato simpatico al suo intero ospita arnie che danno casa a 300.000 api, questo per favorire i processi di impollinazione e dunque favorire la biodiversità all’interno del parco.
Attraversando Christiania – dal nome del re Cristiano IV che tanto ha significato per l’urbanistica e la nautica danese – da luogo reso famoso per la scelta di una comunità hippie di impiantarsi qui agli inizi degli anni Settanta, uno spicchio di verde dentro la città, per immaginare un “altro” modo di vivere, oggi quel progetto è diventato un fondo che gestisce uno spazio urbano e, soprattutto, la legge ha riconosciuto – proprio a partire da Christiania – il diritto al verde che più o meno equivale a 35 mq per abitante, una vera rivoluzione per il senso di urbanistica contemporanea. Con Silvia poi passiamo davanti la Black Diamond Library, edificata con pietre riflettenti che esposte al sole riflettono sull’edificio le increspature dell’acqua , così tanto da farlo sembrare un opale nero, appunto. C’è spazio ancora per un giro a Christianshavn, altri assi ciclo-pedonali urbani, e poi orti urbani, e progetti di socialità di quartiere.
Dopo 3 ore di pedalata, chiudiamo il giro davanti alle case costruite a partire da vecchi container: “Il vecchio glorioso passato navale della Danimarca che si trasforma, ancora una volta” dice l’architetto-guida, se ti fermi “Vedi dietro il passato, e poi l’uso che se ne è fatto, infine riparti per la tua strada”, una volta ancora, per le strade che qui prevedono che la bicicletta sia il primo mezzo, seguito dai pedoni, poi i trasporti pubblici e, ultime, le macchine, il trasporto privato.
Torno in albergo abbronzato, il viso scaldato dal sole di questa città del nord che vive, cammina, corre, pedala verso il futuro.