“C’era una volta, c’erano due volte, messe tutte in fila fanno sei, e io sono la numero sette.”, inizia così Antropocene Boom (Edizioni Zona 42, trad. it. Andrea Cassini, euro 15,90) di Alex Irvine: scrittore di sci-fi e universi finzionali, americano, classe 1969.
Forse ha ragione l’autore americano, vincitore di alcuni dei più prestigiosi premi dedicati alla letteratura di genere (Premio Locus, Premio Crawford), autore di graphic novel, videogiochi e fumetti fra i quali la continuity Daredevil Noir e Iron Man.
Forse per uscire dall’Antropocene basterebbe comprendere l’ABc. Che “l’essere umano è mosso da una pulsione inesorabile a distruggere tutto o modificare il non-umano”. Così ci metteremmo l’anima in pace e la smetteremmo, inesorabilmente anche noi, di illuderci che tutto sommato siamo personaggi positivi all’interno della Storia, o di qualche rilievo, come Moses Barnum vorrebbe farci credere se non altro. Lo stesso Moses Barnum che vorrebbe accaparrarsi il protagonismo di questo romanzo-diorama di Irvine.
Non c’è un unico punto di vista che non salti nella storia della “cricca” di Antropocene Boom: Ed il Cercatore, Teeny dos Santos, i figli dei nucleopeptidi o i bambini ribonucleici (che siano termini sgalambriani, in questi giorni in mortem del maestro Battiato?), tutto decade a partire dalle prime pagine, il romanzo di Irvine un foliage narrativo che equivoca appellativi per generalizzazioni – come nel caso di uno dei tanti Imperatore Norton, siamo tutti cloni di cloni di cloni e avevano ragione i Nothing But Thieves – a Monument City lo slang è di casa, così come le tecnologie eccezionali che ormai imperversano nel mondo “AB” così come da noi, del resto realtà e fiction si rincorrono, quale lo specchio quale la narrazione (lo scrittore americano ora vive nel Maine, profondo nord-est degli Stati Uniti).
Nel frattempo, dopo le Terre del Boom e San Francisco, le colline di Oakland diventano nel romanzo ambiente per la ricostruzione, anzi la riprogrammazione nelle regioni di confine di Life-7, là dove “le trasmissioni tendevano a captare degli errori”.
Per entrare nel suo mondo-Alice, Irvine ci fa esercitare a decrittare i codici vonnegutiani del suo stile descrittivo e allo stesso tempo dialogico, in cui gli incastri dell’entità suprema, il pre-narratore onnisciente si mischia al lettore differito, con sagacia meta-linguistica, l’autore americano – che ha anche già sperimentato l’ebbrezza del bestseller con il suo “metaromanzo artefattuale” New York Collapse – edifica e ci restituisce un mondo prismatico e artefatto. Lo scrittore se non altro è sempre artefice, eppure qui i fuochi d’artificio sbocciano a Miami così come sul cappello da cowboy di Geck (scritto proprio così ndr) e il Wild West Show, Double Louie e la Florida.
Il comma 49ers di AB si decifra da solo mentre le pagine snocciolano innalzamenti degli oceani e devastazioni climatiche, e c’è gente che invece di starsene buona buona a Daytona, che farebbe anche rima, tutte le mattine si alza e percorre su e giù il Sentiero di Dio alla ricerca dell’invisibile, i passi che compiano ogni santo giorno e che possono portarci sull’orlo del precipizio così come davanti a un muro da scavalcare, crossroads e provincia americana, periferie dell’Impero e inviti ad andare in città. La metropoli chiama.
Irvine nasconde le proprie posizioni dietro l’artefatto linguistico della fantascienza, dissemina tracce, così semina i disattenti, oltre la Death Valley e il Minnesota, il labirinto è ovunque pare dirci l’autore: Perché non riusciamo a uscire dall’Antropocene e viviamo tutti condannati dietro la colata di cemento di una società fossile? Possibile che tutta la tecnologia del mondo non ci dia una mano a cambiare, e dobbiamo essere ancorati a vecchi stilemi petrolchimici, che si portano sempre appresso questo perenne tanfo, questo “sentore di Boom”?
La Città non vede l’ora di accoglierti, recita il mantra di Monument City firmato Moses B.
Solo che dopo un anno e mezzo di mura domestiche dentro i nostri appartamenti cittadini, quanti di noi stanno pensando ai boschi e le montagne?
Di sicuro Kyle Hendricks e Tonya, Reenye e anche il vecchio Bible Truth Experience. La sarabanda dei personaggi di Irvine è caleidoscopio di esistenze, un viaggio onirico dai colori acidi nel genere umano, l’LSD delle apparenze e gli assurdi non-luoghi entro i quali pensiamo di poter essere liberi.
E’ una strana carovana quella del circo Barnum di Antropocene Boom, un laboratorio per la ricerca del segreto limbico dell’essere. Come dire, un romanzo-funzione, c’è poi il sottotesto delle domande nel boom creek di Irvine: il default ambientale, il crash ecologico, che si desume sia avvenuto nel 2030 nel romanzo, lo stesso non intacca la bellezza delle Rocky Mountains.
La natura se ne fotte, fondamentalmente, anche nel libro di Irvine. E anche se ci sono Biglietti d’Oro, e le statali si susseguono copiose, nonostante l’asse terrestre si stia inclinando sempre di più a causa dello scioglimento degli iceberg: “negli anni ’80, l’Antartide ha perso 40 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno. Nell’ultimo decennio, quel numero è salito a una media di 252 miliardi di tonnellate all’anno”.
“I bayou erano pieni di dinosauri adesso, come se il Boom avesse sentito dire da qualche parte che il petrolio derivava dai dinosauri e avesse deciso di sottoporre il processo a ingegneria inversa. Per poco Mei-Mei non inciampò su un ornitorinco che usciva dall’acqua masticando una manciata di canne di palude. Persone una scarpa e armeggiò fra le radici per recuperarla. Quando la tirò fuori, dall’interno della scarpa cadde qualcosa: un rettangolo di plastica cangiante”.
Irvine è un autore necessario, ancor di più oggi, poiché si inserisce in quella sparuta minoranza di autori che si confrontano con le quaestio del nostro tempo: cosa fare della plastica, continuare a comprare shampoo e bagnoschiuma oppure passare ai saponi solidi, che non hanno packaging quindi non inquinano? O ancora, vogliamo davvero che le app, gli smartphone sappiano “sempre” dove siamo, o come intuiva Deridda, la perdita (secca) del segreto implica il passaggio a una società dispotica/distopica?
Se a Monument City anche la morte è stata sconfitta, con la riprogrammazione dei cervelli dei bambini morti a opera del sistema operativo di Boom, che ne sarà del futuro? Ci domanda Irvine. Che storia techno-western vogliamo raccontare a chi verrà dopo di noi, umani abitanti del pianeta Terra nell’anno domini 2021?
La storia delle origini dell’uomo è la storia dell’habitat sul quale ha avuto accesso alla vita, alla morte, la sopravvivenza, solo che negli ultimi decenni abbiamo forse un filo esagerato. L’Antropocene (BOOM!) è scoppiato, e la razza umana che fine farà: soffocheremo prima per la plastica o crederemo prima ai complotti rettiliani di conquista del mondo? Apriremo gli occhi e ri-costruiremo il mondo a partire da nuove parole che implicheranno un rinnovato equilibrio fra tutte le specie o, piuttosto, incapsuleremo ben bene il tempo dentro comodi recipienti sottovuoto e li rivenderemo ai mercanti di microchip sul primo mercato euro-asiatico disponibile, appena siano finite le scorte di pipistrelli da coronavirus?
Antropocene Boom di Alex Irvine è un viaggio coast to coast nel CENTRO GEOGRAFICO DEGLI STATI UNITI CONTIGUI, un’immersione vera e propria nel sub-mondo del futuro, scriteriato, psichedelico, huxleyano persino, lo stesso a dar retta alle storie, giù in fondo alle montagne, se guardiamo bene, lo possiamo vedere, lo spettro di Monument City, e di tutte le città del mondo prima dei litorali inghiottiti, le placche continentali che sbattono l’una sull’altra, la faglia della civiltà sommersa, i nostri aspetti più profondi, al Biglietto d’Oro della nostra anima, prima o poi insomma arriverà l’assegnazione della zona di arrivo che si chiama, futuro?
Con una postfazione dell’autore per i lettori italiani, ove si svela il titolo originale dell’opera Anthropocene Rag di Scott Joplin e, tra le altre chicche, chi si celi dietro l’identità fittizia di Sal Paradise e, anche, quale sia il significato del verbo fluviale “to mark twain”.
*ghost question per il traduttore: cos’è la bottiglia di plic?