fast4ward puntata 13: fabio abate

Abate

(versione integrale non edulcorata)

Fabio Abate è uno dei progetti musicali della Narciso Records, etichetta discografica di Carmen Consoli. La musica di Abate, cantautore catanese, porta il grande teatro del quotidiano sul palco. Pardon! In scena…
Lo studio di registrazione Due Parole è a Puntalazzo, un piccolo paesino sulla terra scura della montagna, l’Etna. Il silenzio della sera brilla sul mare in lontananza, odore di limoni, frittura di pesce, arancini.
In attesa del suo album (previsto per inizi 2010), Abate aprirà i concerti per il tour di Elettra (Universal) nuovo album della cantantessa: «Sei anni fa ho iniziato a lavorare al mio progetto “figurativo”». Racconta Abate nello studio-giardino. «L’album è composto da undici brani di storie, racconti di personaggi incontrati per strada. Parlo di quello che vedo, in Sicilia soprattutto: gli animali, la montagna, la vita in generale».
Nella musica di Abate c’è l’immagine, il teatro, la fotografia, la contaminazione. «Ho iniziato facendo hard rock con una cover band, poi ho ascoltato Jeff Buckley e David Bowie… Buckley era un artista incredibile, e in qualche modo mi rifaccio al suo modo (struggente), quasi teatrale, di cantare: ricordo la sua versione di Hallelujah di Leonard Cohen nel concerto a Chicago (…) David Bowie invece è un grande performer, in grado di affrontare i concerti, sempre, fuori dalla norma». Così il modo di percepire la musica è totalmente cambiato «da lì ho cominciato a capire che nei suoni c’è un movimento (…) questo mi ha permesso di comporre tempi e ritmi diversi per la mia musica, la ricerca si è spostata sul tentativo di creare suoni in chiave “mediterranea”, mi interessa dare luminosità e forza alla musica che faccio, un po’ come la world music dove l’utilizzo di una fisarmonica arricchisce e contamina». La trasformazione di un'idea in melodia passa attraverso gli occhi «c'è un brano nel disco che parla della figura più moderna della donna, quella che ha carattere, si intitola Maddalena, ed è nato grazie al canto di una civetta», dice Abate «quando l’ho sentita una sera, la civetta era perfetta, andava a tempo: la natura ha un tempo suo».
I suoi testi non parlano mai in prima persona. Continua «in questi anni poi ho collaborato con i Lautari e Alfio Antico (altri progetti Narciso Records ndr) da loro ho imparato tantissimo, a usare più strumenti, soprattutto quelli della tradizione popolare che rischiano di essere dimenticati».


Fabio_abate_1. (foto_PaoloBarone) Fabio_abate_2 (foto_Miriam_MarieMercier
Abate oltre a fare musica, dipinge «è un linguaggio in più, i colori sono vocaboli, mi piace la matericità dell’arte e spesso mi diverto a fare dei pasticci con le mani – il pensiero corre a P.J.Pollock ndr – l’intensità di un colore, gli odori di una tela, le tonalità che riesci a trovare una volta e mai più… dipingere è come scrivere una canzone, è importante fissare tutto». E la visione delle cose è aiutata dal guardare costante «vedo molti film al cinema, spesso vado in giro con una macchina fotografica».
La tecnologia «ha migliorato i metodi con cui fare musica: a me però piace il suono analogico, la mia musica è come un “continuo ritorno” tra brani registrati su supporti analogici e resa digitale».
Tempo e cantautore «il cantautore riesce ad attaccarsi al proprio tempo grazie alle parole che usa, al significato dei vocaboli giusto, che raccontano la sua strada, ma anche la sua dimensione».
L’errore in musica «Neanche Bach o Beethoven sono mai arrivati alla perfezione, così io vado a cercare la mia musica nell'imperfezione».
Gruppi preferiti: «Franz Ferdinand e Radiohead che, ricordo, la prima volta che li vidi a Catania, facevano da gruppo spalla ai REM (!)».
Qualche anno fa Jeff Buckley cantava “I have no fear of this machine” oggi invece «l’artista non è libero, siamo tutti parte di un meccanismo». In Italia «a livello professionale, personale, artistico il mercato è fermo all’easy listening, viene premiata la serialità dei progetti, molti fanno cover invece di cercare una propria strada. A Parigi invece, città che conosco molto bene, i gruppi lavorano fin da giovani ai loro progetti: basta sentire il nuovo disco di Matthieu Chedid, in arte M».
In generale, l’attuale sistema «è tarato sull’immagine, una messa in onda costante sulla quale si trasmette una finta educazione e la si impianta nei giovani, anche la cultura e la musica sono sempre di più veicolati da un unico “luogo”, la TV». Invece «credo che l’educazione e la scuola siano la vera sfida per il domani, bisogna trasferire la conoscenza». La libertà di pensiero è un atteggiamento quotidiano «qui al sud, a volte devi combattere ancora per come sei vestito». E aggiunge «ma se siamo costretti, come esseri umani non siamo liberi, e quindi non siamo noi stessi». Invece, essere “liberi” «vuol dire essere veri».
Per fare questo, il cantautore usa i suoi testi. La musica è messaggio, e strumento «Fabrizio De André cantava per far succedere qualcosa in chi lo ascoltava. Non urlava… per me l’artista è quello! Esprimere quello che puoi – molti riescono, altri meno – ma in fondo credo sia questo: riuscire a far emozionare. Non è facile, per questo il cantautore ha un'arma in più solo perche comunica quello che ha creato».
In particolare sulla Sicilia «ho conosciuto Giovanni, il fratello di Peppino Impastato (lo speaker di Radioaut ucciso dalla mafia ndr), che a Cinisi porta avanti il progetto Casa memoria – un'associazione culturale nata da un’idea forte: credo infatti che di Peppino Impastato, nonostante la “cultura del distacco” tipica della Sicilia, sia rimasto molto della sua lotta contro il sistema».
Il live per Fabio Abate «è la cosa più importante: un artista, quando si mette di fronte al pubblico e riesce a comunicare quello che vuole dire, riesce a resituire l’essenza della sua visione».
«Il mio live ideale è uno spettacolo fiabesco. Ma in generale penso ai miei concerti come pièce teatrali: è un po’ come se, invece che solo suonare, a ogni concerto raccontassi una fiaba a un bambino o a un vecchietto, magari con qualche denuncia, in modo ironico» s’intende!
Il tour più bello «sarà il prossimo: aprirò i concerti di Carmen Consoli per il suo live tour di Elettra». Il lavoro dell’artista è surreale «lavori per così tanto tempo e poi tutto si risolve nei 3 minuti che sali sul palco». Lì «si gioca la tua vita, e non ci si deve arrendere. Puoi anche sbagliare, ma bisogna cercare di sfruttare il poco tempo a disposizione, al meglio, qualsiasi cosa significhi: io sul palco cancello tutto, penso solo a fare il mio mestiere». E chiude «sogno un live a teatro, un concerto scenico», il mestiere del canto.