fast4ward puntata 8: (prospettiva) offlaga disco pax – prima parte

Offlagadiscopax

Domani ODP Live@Reggio Emilia c/o C.S.O.Lab.AQ16

(versione integrale ma "alterata", 1a parte – domani la 2a e ultima parte…intera era troppo lunga!)
Con
gli
Offlaga Disco Pax, gruppo new
wave
di Reggio Emilia, ci si incontra grazie a MySpace, dopo una mail. E poi dicono che la tecnologia non
riduce le distanze… Nell’anniversario dei 20 anni dal Muro di Berlino, gli
Offlaga
Disco Pax
r-esistono (vai sul MySpace)!
Max
Collini (voce), Enrico Fontanelli e Daniele Carretti (basso condiviso; tastiere
il primo, chitarre il secondo) sono una band di quelle che non dimentichi:
testi recitati su una base electro dal vago sapore DDR. Molti scomodano i
paragoni con l’
electroclash e il synthpop, e un’area musicale di provenienza che li mette con
Cocteau Twins e Depeche Mode, passando per l’
Emilia paranoica dei CCCP.
Niente di ingenuamente nostalgico nei
suoni degli
ODP, quanto piuttosto il
senso – per niente auto-commiserativo – di chi ha capito prima di altri la
“crisi” del capitalismo.
Una
terminologia sonora riconoscibile che, come lo spassosissimo film
Goodbye
Lenin
, ricorda vecchie glorie per rendere meno
amaro il presente, passando in rassegna i prodotti a rotazione di un’epoca
Tecnologica in cui nessuno è salvo, mercato compreso. Uno (spettro) si aggira
per l’Europa
: quale?
«Molto probabilmente Internet,
entrato così tanto nelle vite di tutti che ormai sembra necessario passare
tempo su Facebook».
Il virtuale ha vinto sul reale, rispondono i ragazzi
Offlaga «il tempo è una variabile, ma ora sembra che se non hai il cellulare
sul quale ricevere la mail, quando arrivi a casa devi correre a vedere la
posta, assistiamo a un tempo uniformato». Provocatoriamente aggiungono «eppure
a parte il pc, qualcuno con cui parlare dovremmo trovarlo, anche se si spendono
soldi a stare con gli amici, l’incontro diretto è più umano…se devi viaggiare,
alla Rete è preferibile il treno!». Era Tecnologica ed era mediatica,
per Carretti «se prima la scelta era tra la piazza e il salotto, oggi si
assiste alla graduale sostituzione tra il salotto e la piazza virtuale, succede
che Internet ha sostituito la tv, garantendo programmi e musica per tutti. Così
per incontrare i tuoi amici, non esci più, preferisci stare davanti a te stesso
su una tastiera», e continua Fontanelli «qualcuno si sta accorgendo di quanto
Matrix e Philip Dick siano perfetti per descrivere la staticità di tutto quello
che ci sta attorno? Ormai non ci è rimasto altro che la “locomozione da
lavoro”, ci si muove giusto per trovare occupazione, insomma i nuovi flussi
migratori…».
Matrix può avere anticipato o
ispirato addirittura la realtà «ha creato riferimenti di un immaginario
costretto a progredire, la evil-ution
(alterazione di evolution ndr): e invece, forse, “progresso” non significa
aumentare di anno in anno la capacità di megapixel…».


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Linguaggio e musica, risponde
Collini «credo che la responsabilità del linguaggio sia maggiore di quello che
viene percepito. In qualche modo il nostro linguaggio non è necessariamente
voluto, abbiamo scelto di cantare in italiano per contenere le contaminazioni e
le derive anglofone: nel nostro vocabolario l’inglese è bandito, a meno che non
esista possibilità di tradurre: è una scelta molto punk, dove l’elemento vocale
serve a dare aria alle parole, che siano cantate o parlate non importa, a noi
preme che la nostra musica sia riconoscibile fin dal primo ascolto, è per
questo che i nostri testi sono parlati, è questa che li rende, più che punk,
popolari».Commenta i
termini: “mercato”, “indipendente”, “underground”. Per Fontanelli «Potrebbe
essere una frase di senso compiuto letta di seguito, un concetto intero», ma
aggiunge Collini «a Reggio c’era un luogo, il Mercato coperto della via Emilia,
proprio nel centro della città, che architettonicamente era interessante, oggi
le bancarelle non ci sono più, e le cose che si vendono sono cianfrusaglie. Ma
quello è un tipo di mercato che non mi dispiace».

Il termine “indipendente”,
continua, Fontanelli «occupa uno spazio strano nella terminologia corrente:
anni fa sono rimasto stupito del fatto che alcuni premi per artisti
indipendenti siano andati a gruppi come quelli sponsorizzati dalla Caselli, o
agli Afterhours: in questo senso, effettivamente nel mercato (cosiddetto)
indipendente l’unica differenza è la quota, anzi la fetta di mercato che riesci
a ottenere: la Caselli si lamenta che non c’è sufficiente mercato per i giovani
promettenti, e per questo non li può produrre, poi però sono suoi fenomeni come
i Gazosa o i Negramaro, o Elisa… sono musicisti indipendenti? Il grosso
fraintendimento è che l’unica forma di indipendenza reale, la propria rispetto
anche all’idea degli altri, spesso viene scambiata al costo del denaro. L’unica
dipendenza è quella dalla proprie idee». E aggiunge «Alcune idee possono
rendere bene, anche nel mondo indipendente ci sono realtà che ragionano in modo
imprenditoriale, e poi c’è Stanley Kubrick! Nel mercato capitalistico, i soldi
liberano l’individuo, e sono l’unico modo in cui l’artista può realizzare le
proprie idee. Una cosa poi è la musica indipendente, un’altra la logica del do it yourself, l’etica punk, questo è
l’underground! Che non solo ci piace, è anche una cultura radicata dentro: nel
punk come nell’underground c’è un’individualità irrinunciabile, non sapremmo
mai iniziare a ragionare su una canzone pop…almeno fino a oggi. Questo non vuol
dire essere ciecamente auto-referenziali o essere incapaci di recepire quello
che accade, o le necessità discografiche se vuoi… solo che più importante di
queste logiche, anche abbastanza facili da seguire, è il termine “integrità”, è
l’importanza di avere un’identità! Riconducibile alla nostra volontà di
esprimerci, anche a livello non razionale, e che però chi ci ascolta
percepisce: in un concetto solo, ne ha coscienza».
Nella
vostra musica, le storie piccole formano la Storia: il quotidiano entra nei
testi o sono i testi che provocano il punto di vista. Ovvero, la canzone è usata
come racconto: quanto conta la precisione delle parole? Collini, autore dei
testi, usa la parola, dice «fino a farla diventare un oggetto usato, non tanto
da visualizzare quanto un evento nel quale ci si può riconoscere, oppure
semplicemente mettere da qualche parte, e chi lo prende se ne rende conto: ogni
parola ha la vitalità di un film, ma questo dipende non solo dalle parole che
dici, quanto soprattutto da quelle che prendi: gli Offlaga senza il pubblico
non sarebbero nulla, hanno bisogno del “ricevente”, del pubblico ai concerti».
Il live
«è sempre più difficile, in Italia la musica non viene riconosciuta come
lavoro, e questo è un problema culturale. In Francia o in Germania non è così,
li lo Stato riconosce, anche economicamente, al musicista lo status di
“lavoratore”. Nel nostro Paese, forse riesci a sopravvivere se sei iscritto
alla SIAE e fai un tipo di musica che in qualche modo rientra nel genere
“cantautorato di massa”. Ecco, all’interno di questo mondo, il live è uno dei
pochissimi momenti in cui la musica genera ancora risorse. Qualunque gruppo
oggi si sostiene tramite i live, anche in ambito indipendente».