a colloquio con… vinicio capossela

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(versione estesa)

In clandestinità. Condizione dei poeti, dei viaggiatori. Vinicio Capossela, nato in Germania, sembra conoscere dell’esule la condizione del viaggio, degli abiti che si porta appresso chi torna, chi parte. Immagini dalla musica, radici brulle che gli arrivano dalla sua regione d’origine, l’Irpinia, terra di Sud, popolo di Sunniti. Dalle Canzoni a manovella all’ultimo album Da solo Capossela è un musicista che racconta le piccole storie, quelle che – sommate – sono la Storia, immagini “fatte” di musica e poesia: «Io trasformo qualcosa che attinge all’immaginario, al vissuto, tutto quello che la nostra dimensione di vita riesce a creare in modo più trasportabile, più abitabile, dalla nostra immaginazione; abitabile nel senso che perde i pesi, le contingenze, che la vita necessita per essere vissuta» racconta al telefono mentre è a Londra, qualche giorno prima di Poiesis
 
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il festival che a maggio, a Fabriano nelle Marche, ha fatto incontrare artisti, poeti, cantautori sul tema
dell’anima faber (guarda il VIDEO – ospite d’onore, il capolavoro di Auguste Rodin le Baiser; artisti del calibro di Adonis, Titos Patrikios ndr). E dove Capossela ha presentato – su un ring! – il suo nuovo libro In clandestinità. Mr Pall incontra Mr Mall (Feltrinelli, Euro 16,00) insieme a Vincenzo Chinaski Costantino.

Poieo in greco vuol dire creare, è la creatività che diviene contaminazione che genera pensiero? Capossela ricorda: «Ho fatto qualche studio di chimica, mi è rimasto il principio del “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Quindi, quando si parla di creazione, credo che non si crei mai niente che non esista già. La “creazione”, in senso poetico come in chimica, è trasformazione. L’opera non è tanto un atto di creatività ma di trasformazione. E poi c’è un’altra legge della chimica mi è rimasta in mente: la legge dei gas, secondo la quale in breve “ogni gas si espande fino a che trova spazio”».

La musica è un legame o un modo per attraversare i tempi con libertà?

«Non credo che sia libero pensiero, ma anzi questa trasformazione richiede un lavoro di contenimento, proprio perché il gas si espande fino a che trova spazio… se dobbiamo trovare il modo di alimentare la macchina, occorre dargli una sorta di limite, che sicuramente schiude e dà forma, ma non solo. I limiti, i confini, si rendono disponibili per effettuare uno scambio, sono mezzi. Il limite è come la moneta, il denaro, che valgono perché permettono di scambiare».

La tua musica sembra muoversi per immagini, anziché solo per parole: quasi una doppia descrizione della realtà, è un'arte del raccontare la storia attraverso le storie?

«Come artista, ciò che tento di fare è elaborare un mondo poetico visivo. Per quello non mi interessano i singoli episodi, o riuscire a fare una canzone o meno. Nel tempo, mi interessa che qualcuno dica: «Ed ecco qua il mondo di Vinicio Capossela!». Quindi la storia è inserita in questo mondo generale, mi piace l’idea di una visione complessiva, in cui sono le singole storie a fare parte del tutto. Io sono legato ai singoli racconti quando sono scritti quasi come facenti parte di una collettività. Penso a Spoon River, o ai racconti di Sherwood Handerson… storie che funzionano insieme, che definiscono una comunità: questa mi sembra la metafora più riuscita. L’individualità, le cose specifiche, isolate nella piccola dimensione acquistano un significato maggiore quando entrano a far parte di un senso corale. Anche nel libro Non si muore tutte le mattine (Feltrinelli) è l’insieme delle singole storie, tra loro interrelate, che “fa” la storia più grande».

Capossela

E nel nuovo, In clandestinità? «E’ un libro in forma di round: due autori che si affrontano sulla pagina come sul ring. Solo che Vincenzo Costantino, Chinaski, è un poeta. I miei invece sono racconti in prosa. Charles Bukowski diceva che “con la prosa si dicono poche cose con tante parole, mentre il poeta con poche parole racconta la verità”. Così in due, forse, riusciremo a farlo…».

Voi siete in due alla ricerca della verità, per Titos Patrikios, poeta greco che incontrerete al festival invece: “La poesia cerca risposte a domande non ancora fatte”…

«La cosa interessante è anche in questo caso che un libro funzioni come “concertato di scrittura”, una sorta di “fuga a due voci”, dove le voci sono diverse, e non solo come nel caso delle storie collettive, ma che lo siano anche fisicamente: persone diverse… sarà interessante scoprire come questo possa muovere nel lettore la sensazione emotiva del seguire il racconto. Al festival Poiesis il palco sarà allestito come un ring…».

Chi è il poeta più musicale, e perché, quale poesia vorresti tradurre in musica?

«Ho provato a tradurre in musica La ballata del vecchio marinaio di Coleridge… poi ho anche provato a fare la stessa cosa con alcune rime di Michelangelo, che come lavoro forse è anche più semplice perché hanno già una loro metrica musicale, un po’ come per i madrigali… sono composizioni che hanno già quella forma che ti permette di cantarle e farne qualcosa in musica. Ed è così quindi che se ne scopre, cantandole, la loro musicalità. Le “Rime” di Michelangelo hanno la stessa “tensione” delle sue opere (pittura, scultura…), e in esse il loro autore viene ancora più umanamente messo a nudo. Altre poesie, invece, non hanno neanche bisogno di essere tradotte in musica perché già lo sono, come Via Scarlatti di Vittorio Sereni».

«Credo comunque che il più alto connubio, sotto questo profilo, lo si sia raggiunto nella canzone in forma di tango degli anni ‘40-‘50 con Annibal Troilo, Osvaldo Pugliese, musicisti che si unirono a veri e propri poeti, come Alberto Castillo o Horacio Ferrer. Ecco, in quel caso, ho sempre sentito una vera “unione” tra verso poetico-musicale e musica. In generale comunque non credo che esistano vere e proprie divisioni, semplicemente la canzone è una “terza forma” che è diversa dalla musica e dalla poesia. Io con le canzoni cerco di dare la scenografia, la colonna sonora,…la canzone è una forma che ricollego, in qualche modo, di più al cinema; è una forma-strumento.

Uno scrittore che è riuscito a unire le tre forme è Louis-Ferdinand Céline, e non solo perché usava quasi le parole come se le mettesse in musica, ma anche perché nelle sue opere ci sono continui rimandi a riferimenti musicali di estrazione popolare». 

Infine «con le canzoni cerco di dare la scenografia, la colonna sonora» – racconto di quotidiano, a evocare balli, vivere, profumi, pane e vino rosso. Signore e signori, ecco a voi il mondo di Vinicio Capossela!


un video sul festival (vinicio e chinaski da 1'22")