a colloquio con…brian eno

(versione doppia ed estesa, con recensione)

si ringrazia per la traduzione Davide Bocelli 

Brian_Eno_Profile_Long_Now_Foundation_2006

Il vento è ciò che chiamiamo progresso, diceva Walter Benjamin. Ci sono persone che anticipano i tempi, altre che costruiscono il Futuro. Brian Eno – polistrumentista, scultore, pittore, videoartista inglese – negli anni è stato quasi multiple name. La sua è musica casuale, densa, di «suono puro», sintesi dell’interazione uomo/ambiente che, attraverso meccanismi, si ri-forma. Nello spazio, nel tempo.

Il percorso di Eno è un insieme di collaborazioni/condivisione: dai Roxy Music di Bryan Ferry a John Cale; da Robert Fripp a David Bowie; dai Talking Heads alle colonne sonore; dagli U2 ai Coldplay, fino al Sistema generativo di musiche per gli ambienti di Spore, il «co-creative game» di Will Wright.

Brian Eno è uno degli uomini che, nell’epoca del dominio dei network ad alto turnover (il Web) e della tecnologia in accelerazione, ha fatto del Futuro il suo tempo.

Nel 1996, ha co-fondato la Long Now Foundation – di seguito LNF ndr – insieme a Daniel Hillis (inventore dei supercomputer Connection Machine), Kevin Kelly (editore esecutivo di Wired, autore di Out of Control) e Stewart Brand (autore de Il lungo presente Mattioli 1885, € 16,00) scrittore che, per primo, nel 01974 utilizzò i termini “personal computer” e “computer hackers” (nel libro Two Cybernetic Frontier ndr).

Dal sito, longnow.org: «La LNF vuole promuovere creativamente la responsabilità nel quadro dei prossimi 10.000 anni. Per sottolineare questo orizzonte, il gruppo scrive gli anni utilizzando cinque cifre invece di quattro: 02009 invece di 2009».

Incontriamo Eno a Roma in occasione di Presentism, l’istallazione audiovisiva realizzata per Futuroma, la rassegna che celebra il centenario della pubblicazione del primo manifesto futurista. Futuri e futurismi, dunque, perché chi anticipa il presente costruirà il futuro. Nella hall dell’albergo, prendiamo tè liscio davanti al camino «La prima volta che ho pensato al be here and long now vivevo a New York, una città che ha una filosofia small here and short now, dove le persone spendono 2 milioni di dollari per il design di interni del loro appartamento mentre fuori dalla porta di casa ci sono rifiuti e homeless people. Ma siccome vivono dentro quelle quattro mura, ogni altra cosa è fuori dalla loro responsabilità, non li interessa. Questo è lo small here: quando dici «abito qui» e intendi lo spazio che puoi controllare».

Brian_eno

 

«Normalmente, in Europa quando diciamo Vivo qui intendiamo in questo «quartiere», abbiamo rapporti con le persone. Lo short now di N.Y. prevede invece abitanti temporanei della città: tutti passano attraverso lo spazio urbano, non lo vivono: (un nonluogo ndr) dove sei arrivato da appena tre mesi e dal quale dopo tre mesi riparti. Così, le persone non sentono un legame col proprio tempo. Questi due problemi, il localismo nel tempo e nello spazio, sono problemi di civiltà che infettano la civilizzazione. Quando abbiamo iniziato con la LNF volevamo incoraggiare la gente a pensare in modo più lungo: tutto nella nostra società, o quasi, ci incoraggia a pensare in termini brevi. Noi vogliamo controbilanciare».

Una funzione della tecnologia è stabilire legami inter-generazionali, così il Long now diviene Long Us: «Daniel Hillis ha un modo di dire, La chiami tecnologia quando ancora non funziona! Questa invece (indica la teiera fumante ndr) non lo è più… Tecnologia è ciò che ha ancora dei problemi». Problema in divenire e Storia, performance singola e tempi «tutte le tecnologie sono state ideate per ragioni storiche: il recording è stato inventato per catturare le performance, poi è stato inventato il modo di registrare il teatro/le immagini su pellicola. Quando c’è una tecnologia la gente riesce a fare cose che non aveva mai fatto prima: in questo senso, hai un’arte nuova (che si è chiamata Cinema, e musica registrata). Con i cellulari, i social network,… oggi abbiamo modi multipli di creare comunità umane. Credo che i nostri bambini ne sappiano molto più di noi, ed è naturale. Nascono in questo Tempo. Ci sarà un’enorme differenza fra comunità nate prima della Rete e (community) post-networking».

Nei media digitali, esiste il doppio problema compatibilità dei linguaggi/conservazione dei dati: «Se vuoi conservare qualcosa, la cosa migliore è che ti assicuri che si auto-conservi: un grande successo si conserva da solo. Non ti devi preoccupare, molta gente conserverà l’informazione per te! Potrò così fare sharing o comprare canzoni di Elvis: tutto ciò che è hit, di qualunque tipo, si auto-replica. Come la Bibbia: non c’è bisogno di creare una società per proteggerla, così come non c’è bisogno di salvare Elvis. Poi c’è la strategia opposta, rendere qualcosa così raro e prezioso che qualcuno vorrà proteggerlo per sempre. La prima è la strategia di Elvis, la seconda è la strategia Da Vinci: la Monna Lisa ha una bi-strategia in questo senso. I media digitali tendono alla strategia di Elvis. L’arte alla s.Da Vinci, anzi alla Raffaello strategy, o Rembrandt s.»… Tutto è movimento, ogni cosa è replicabile. Anche se «uno dei più grandi problemi con i software è che le possibilità si moltiplicano più densamente della rapidità d’apprendimento».

Hai detto «all’accumulo (del Web) preferisco la selezione libera». Dove è oggi la creatività? «è ovunque, e sempre buona. Ma non produce sempre buoni risultati: l’attuale crisi finanziaria è un grande esempio di creatività che ha avuto un pessimo risultato. E mi piacerebbe ci fosse meno creatività nella progettazione di armi. In Inghilterra il 40% degli scienziati lavora nel settore della Difesa: una grande Industria che produce denaro».

Se l’errore è un’intenzione nascosta, nel libro Il lungo presente si parla di hill climbing: un sistema con una logica a breve produce «errori a cascata»; un’ottica di lungo termine, invece, permette all’errore di permeare il Sistema. Cos’è l’errore, e quale è il tuo errore più bello degli ultimi due giorni?

«Questa è una domanda interessante. Non ho fatto errori, sono stato perfetto nell’eseguire tutto quello che dovevo (ha troppi impegni, sente che il suo Sistema è troppo adeguato/sbilanciato su interessi minori: si sta distraendo dalla sua arte, si inizia a irrigidire ndr). Credo di averne fatti così tanti da non ricordarmeli, tipo non mangiare a colazione. Sono andato a teatro ad assistere a uno spettacolo in siciliano. Non ho capito niente, ma è stato fantastico…».

In un altro punto del libro, si parla di The Clock Of The Long Now, ovvero il pensiero a breve termine ci sta uccidendo… Laurie Anderson in un suo album, si chiede Il tempo è lungo o largo? Ti giro invece la domanda fatta a William Gibson, quando un Sistema (quello che in base alle strutture inter-tecnologiche può essere definito Legacy system) è alla fine? «Dovremmo parlare per molto più di un’ora», risponde. Ma il tempo del tè insieme è finito. Mr. Eno ha ragione, temi così complessi richiedono momenti di riflessione lunghi. Long Now!