27 gennaio. giorno della memoria

giro da milena magnani, scrittrice che stimo oltre modo, perché in giorni come questi c'è poco da dire, buona riflessione…

Facciamo un gesto di  onestà.  Nel giorno della memoria. Con discrezione, portiamo alla  bocca un confetto di  chewing gum e mastichiamoci un po’ di silenzio.

 

di Milena Magnani

 

Come solito, in prossimità del  27 gennaio, abbondano le celebrazioni per   ricordare l’Olocausto.

Ghirlande
di fiori vengono posate ai piedi delle lapidi, spettacoli, letture,
incontri fra studenti e sopravvissuti, Primo Levi, Aharon Appelfeld, Anna Frank, Elie Wiesel e  quanti altri, per un istante, hanno la meglio sulle vicende toccanti del grande fratello,  sui tormenti del calcio mercato, sul basso profilo delle argomentazioni politiche dei nostri esponenti del governo.

Per
un giorno, ma forse anche per tre, (il giorno prima e il giorno dopo?)
le commemorazioni della Shoah calamitano partecipazione e cordoglio,
sono oggetto di dibattiti e esternazioni  che lasciano trapelare un’Italia ancora capace di  indignarsi di fronte ai vescovi negazionisti, un’Italia civile e   responsabile
che sa destinare un po’ del suo tempo e del suo spazio mediatico alla
rievocazione storica di una delle più grandi tragedie del novecento.

In
questi giorni, tra polemiche e posizioni critiche, storici e
intellettuali di vario genere vengono chiamati a raccontare la portata
della tragedia della persecuzione razziale,
l’abominio della  sciagura
e del sadismo di cui si macchiarono i militari di stanza ai campi di
concentramento nazisti, nonché la disumanizzazione dei Kapò incaricati
di gestire i movimenti intorno alle  baracche e ai crematori di AuschwitzBirkenau e di tanti altri campi ancora.

 

Una sorta di protocollo della rievocazione che fa sì che  in un solo giorno passino nel tritacarne  mediatico tutte le immagini possibili e immaginabili dei deportati, si ascoltino  tutte le possibili  voci dei  sopravvissuti , persino quelli meno graditi,  poiché, con pudore, si affaccia nel gioco del memoriale anche qualche timido rom che tenta di  ricordare  che
c’erano anche i suoi parenti a morire nei forni, si affaccia qualche
rom insieme a qualche Testimone di Geova che mostra il triangolo viola,
e qualche esponente di associazione di omosessuali che ricorda come a
causa del progetto T4 morirono nei campi di sterminio tanti uomini
eccellenti, straordinari cervelli, insieme ad altri   a-sociali, comunisti, oppositori, liberi pensatori,  anarchici scomparsi alla chetichella senza che alcuno ne celebri alcuna esatta e valorizzante memoria.

 

Eppure in questa strana afflizione che ci coglie, credo sia lecito maturare un sospetto o quanto meno farsi una domanda.

Una domanda così elementare  da provare persino  pudore a formularla.

 

La seguente:

 

Ma siamo sicuri che questi atti di memoria indotta e  mediatica  dicano all’oggi, alla nostra coscienza di cittadini del ventunesimo secolo, qualcosa di più di quello che non ci dica il   ricordo della   battaglia di Lepanto? O della battaglia di Solferino?

Siamo sicuri che i milioni di rom e anarchici e ebrei e “diversi” di vario genere morti nei forni di Auschwitz insegnino al nostro presente qualcosa di più di quello che non ci insegna, sempre per fare un esempio,  la rivolta delle filatrici di Mariano?  

Posta così la questione può sembrare provocatoria e invece è purtroppo una faccenda seria.  

 

 

Guardando lo scenario sociale dell’ Italia in cui viviamo, considerando che abbiamo avuto  ben 64 anni per elaborare in chiave di civiltà  la tragedia delle leggi razziali e dell’olocausto, nonché per imparare qualcosa che ci distanzi  da
tutte le follie omicide e guerrafondaie del 900, appare evidente che
qualcosa nella pedagogia nel nostro apprendimento ha fatto cilecca.

 

Non è successo quest’anno nel nostro paese che un gruppo di cittadini ha dato fuoco alle baracche di un  campo rom alla periferia di una grande città? Non è nella nostra piccola Italia che si sono spesi fior di risparmi pubblici  per attuare una  rilevazione
delle impronte digitali alle persone rom esattamente come fecero i
nazionalsocialisti tedeschi dopo la promulgazione delle leggi di
Norimberga? E non è forse ancora da noi che si continua a escludere
sistematicamente su base etnica certe persone dal mercato del lavoro, e
che li si vessa con un sadismo burocratico e amministrativo, che già da
solo è degno delle peggiori versioni delle politiche razziste ?

E infatti chi potrebbe contraddirmi se dico che, certe pratiche in uso nella  nostra piccola Italia,  calzano perfettamente con lo spirito di discriminazione razziale che caratterizzò certi regimi totalitari del 900,  mi
riferisco ad esempio alla beffa ormai consueta di consegnare il
permesso di soggiorno già scaduto a cittadini stranieri che lo
aspettano da anni e che come lo ricevono devono ricominciare il
travaglio angoscioso di riconquistarlo. 

O alla pratica di  ammassare i rifugiati e i profughi  nei Cpt o di destinare centinaia di famiglie rom in campi container  senza l’uso di acqua potabile.

Davvero noi celebriamo la giornata della memoria affinché la storia ci insegni qualcosa?

Ma cos’è successo l’anno scorso, non abbiamo ricordato in modo giusto? E l’anno prima ancora? E per 64 anni addietro?

 

La verità è che la storia delle persecuzioni è una faccenda tremendamente aperta.

 

Una faccenda di tutt’altra pasta che di quella di un  oggetto di memoria.

La storia delle persecuzioni e dell’intolleranza  è ancora pratica della nostra quotidianità.

Per questo lo dico e lo ripeto. Facciamo un gesto di  onestà.  Nel giorno della memoria. Con discrezione, senza fare tanto fracasso, portiamo alla  bocca un confetto di chewing gum e mastichiamo il nostro silenzio.