oylem goylem

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Moni Ovadia al Piccolo di Milano è stato una bella scoperta. Oylem Goylem è uno spettacolo che proprio ieri ha compiuto quindici anni. Tre ore per raccontare lo stereotipo dell’ebreo errante che, come il denaro, per gli ebrei  è figura mitica e mistica: avari, scaltrissimi mercanti o accorti economi. Con cinismo e cattiveria ed enorme autoironia, Ovadia in due atti colpisce agli angoli più evidenti, e meno, dell’ideal-tipo "ebreo" scherzando sull’avarizia e la cultura del popolo prescelto: "Ma non te ne potevi scegliere un altro?" dice uno dei personaggi raccontati da Ovadia al suo Dio. Una narrazione che non lesina battute e non risparmia le vicende atroci degli ebrei, dalla Shoah agli esuli polacchi, senza autoindulgenza e con piglio storico, quello dei racconti degli uomini e delle donne vissuti.
Ascoltando  Moni Ovadia si capisce da dove Vinicio Capossela abbia preso il suo racconto zingaro e paradossale. La tagliente e impietosa lucidità di un ebreo che narra piccole vicende quotidiane, Ovadia incarna il "cantore di ombre": le idee, i miti, le storielle più spassose, attraverso il linguaggio yiddish – la lingua contaminata, fatta delle parole di mezzo mondo. Storie, insomma, con la vivace musica klezmer della Stage Orchestra.
Due momenti emozionanti: la canzone degli ebrei esuli, intensa come i canti qawwali del sufismo, potente come il salmodiare liturgico del muezzin. E poi "Ma il mio pensiero va al popolo palestinese, un popolo dimenticato da tutti, senza terra. I cui ragazzi non hanno futuro. Il mio pensiero in questi giorni va a loro" ha detto Ovadia. L’ebreo errante è un uomo forte del mondo che conosce.

Milano intanto è bianca. Ascolto One Way Out, Allman Brothers Band. Tra poco si esce all’aria di neve. Ripartire dallo sguardo. Perchè le tragedie si ripetono tutti i giorni sotto i nostri occhi, e Ovadia lo sa bene, sta a noi non lasciarle accadere. Senza giustificazioni. A nessun angolo della terra.

« Mai
dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della
mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. »
(Tratto da La notte di Elie Wiesel edizione italiana La Giuntina, Firenze, pp. 39-40)