pèrez-reverte su VitaNòva

Pubblichiamo anche qui l'intervista (su questo spazio, in versione originale e non editata) uscita domenica per VitaNòva su iPad ad Arturo Pèrez-Reverte, incontrato a Torino in occasione dell'uscita dell'ultimo romanzo sul Capitano Alatriste (qui il sito del personaggio inventato da Perez-Reverte) "Il ponte degli assassini" (Marco Tropea ed. – Euro 16,90).

La videointervista
 

L'articolo
Navi, mare in burrasca, volti e uomini forti, donne bellissime. Nei suoi romanzi c’è il mondo, lo “sguardo” su di esso. Tutto, luoghi e persone, ha un limite. Ma cosa è il confine?
"Non esiste un limite o un confine. Quello che caratterizza uno scrittore, o la scrittura in generale, è lo sguardo.
Per ventuno anni ho fatto il reporter. Ho visto la guerra, e la guerra non è uguale se hai dei libri appresso oppure no. Se hai dei libri da leggere mentre sei in guerra, riesci a digerire meglio quello che vedi. Quell’esperienza ha “aumentato” la mia capacità di mettere a fuoco le cose, a vent’anni credevo che esistessero dei limiti in uno sguardo, credevo di riuscire a vedere tutto. Oggi che di anni ne ho sessanta credo invece che non esistano “confini” se sai vedere: la bellezza di una donna, il sorriso di un bambino, la lealtà di un amico. La bellezza permette di conoscere (e riconoscere) emozioni nuove, dona un altro aspetto alle cose. Le rende “nuove”.
Ora sto scrivendo un romanzo d’amore, a descrivere la storia è un uomo di sessantacinque anni, che ripercorre gli ultimi quaranta di vita, peripezie, circostanze, errori,… da giovane se mi avessi chiesto se un giorno sarei stato in grado di farlo, ti avrei detto che sarebbe stato impossibile. È lo sguardo con cui vedi il mondo che fa la differenza negli uomini.
Una volta ero in Eritrea. Camminavo sotto lo schianto del sole con alcuni guerriglieri. L’unica ombra era quella di un sombrero che mi riparava, poco e male, a un certo punto, mentre il caldo arrivava oltre i 40° vedemmo una collina in lontananza. Così, mi dissi, appena fossimo arrivati alla collina mi sarei fermato, mi sarei riposato all’ombra di un albero. Ma invece una volta arrivato alla collina, decisi di andare oltre. E così andai ancora più avanti.
Ecco, questo ti permette lo sguardo. Di arrivare in un posto che fino a quel momento hai visto come naturale “fine” della tua ricerca, e invece ti porta oltre, ti costringe ad andare avanti. È un atteggiamento che ti dà la curiosità, e la cultura intesa non come oggetto da manipolare stupidamente, ma piuttosto cultura come libri letti e assimilati dall’organismo, la cultura che “educa” all’istinto del cacciatore, che mentre cammina e “uccide” mette in tasca il risultato della caccia. Ed è un’attitudine che si educa, che si prende per mano. Lo sguardo che serve come “spiegazione del mondo”.
Quando nel 1976 arrivai a Beirut dissi “Questa è Troia” (era l’inizio della guerra civile libanese ndr). Nel 1975 ero nei Balcani, mi sembrava di essere in un’avventura di Tin-Tin.
Nel 1977, ho visto uomini uccidere, stuprare, saccheggiare, torturare. Erano uomini con cui avevo condiviso il cibo, mi avevano accolto, avevamo camminato insieme, curato. E poi, un giorno, dopo essere entrati in una città avevano iniziato a saccheggiare a violentate donne… ed è lì che ho capito che non potevo rifarmi al concetto di bene e male. Ricordai i classici, allora. Le letture da ragazzo, fu solo quello che mi permise di sopportare quello che vedevo. Le guerre, l’Iliade, Omero,…
Ora scrivo e dietro di me c’è tutto quello che ho visto e vissuto.
Uno scrittore è il suo sguardo.
Esistono scrittori accreditati, che scrivono da tempo, che hanno anche un nome e hanno pubblicato molti libri che però in realtà non hanno nulla da dire, altri invece che scrivono meno bene da un punto di vista “formale”, che sono imperfetti, ma hanno uno “sguardo” sul mondo: Dostoievski, per esempio, che forse è stato il più grande narratore moderno."

Cos’è il passato, e cosa il Tempo?
"Ho visto bruciare biblioteche e vite. Ho visto bruciare cose, ho visto uomini potenti in ginocchio chiedere pietà, donne bellissime prostituirsi in tempi di guerra per un pacchetto di sigarette.
Tutto questo mi ha fatto vedere la caducità del mondo.
Il futuro. Non mi interessa, è un esercizio estetico, intellettuale. Nel futuro prossimo rimarremo soli con la nostra memoria. Il futuro è un azzardo. Il passato è certezza. Ma io vivo nel presente. Il passato è come le vitamine, una sorta di consolazione, la fantascienza non mi ha mai entusiasmato, Dune l’ho letto ma non mi ha dato molto… Mentre invece trovo che Tacito sia ancora utile, persino per avere un orientamento politico. In effetti, uno dei problemi di quello che chiamiamo oggi “Occidente” è proprio la cultura, e cosa occorre farne della cultura?
Come esperienza personale, la cultura mi è servita. Ricordo una volta ero su un aereo. Durante il tragitto Cipro-Beirut l’aereo venne colpito, intorno a me c’era gente che strepitava e così mi sono detto che in fondo la cultura è tutta lì, serve per non gridare quando un aereo sta precipitando. Mentre cadevamo pensavo “Sto cadendo contornato da stupidi!” perché quando prendi il Titanic lo devi sapere che affonderai, devi sapere che ci sono gli iceberg. La cultura ti permette di accettare le “regole del gioco” (ti permette di accettare che un aereo può cadere, ed è vita."

Nel suo libro “Il pittore di battaglie” un fotografo di guerra si ritira a vivere dentro un faro, lì si mette a dipingere la sua personale Guernica, rievocando gli orrori della guerra e l’amore. Quale è la sua personale Guernica?
"I romanzi sono storie, sono racconti di vite. Nei miei romanzi uso dei cliché che mi rappresentano in qualche modo: l’eroe stanco, rassegnato alle implacabili regole dell’Universo, l’amore per una donna… che parli di un fotografo del Ventesimo secolo o di uno spadaccino del Diciassettesimo secolo racconto, sempre, la stessa storia.
Io dipingo la “mia” Guernica per sopportare il mondo, come analgesico, a differenza di Picasso non voglio denunciare niente. Non credo nella Repubblica, né al re, né alla Chiesa.
Non credo di cambiare il mondo, né la letteratura, scrivo perché farlo mi aiuta ad accettare le regole imprescindibili del mondo. Creo personaggi che in qualche modo potrei essere io, mi metto in differenti condizioni per mettermi alla prova, per vedere come reagirei a quelle situazioni. Così facendo riesco a superare i miei timori.
Ma sebbene i miei libri siano romanzi storici, complessi, il lettore attento sa che sto parlando di lui, si riconosce nel personaggio del Club Dumas, in Alatriste, nel pittore di battaglie… non saprei dire se i miei romanzi sono belli o brutti, so solo che il mio sguardo aiuta chi legge ad affrontare il mondo, in qualche modo gli sono utili."

Verso quali "luoghi" sta andando la letteratura?
"La letteratura sarà sostituita, è come lo yogurt, ha già una data di scadenza. Ma non c’è da stupirsi, è già accaduto altre volte, nel corso dei secoli quando la tecnica ha dato altri strumenti di pubblicazione e realizzazione.
La tecnologia permetterà di creare storie audio-visive, per un pubblico meno colto, forse di più basso livello, ma le élite di lettori continueranno a esserci.
La letteratura diventerà un genere di consumo di massa e le grandi librerie falliranno.
Tutto questo non riguarda quelli della mia generazione, io oggi ho sessanta anni, mi manca “l’ultima remata” e sono arrivato, approderò, il mio ciclo è chiuso.
Se avessi trent’anni oggi e volessi fare lo scrittore non credo narrerei storie, passerei subito alla scrittura per l’audio-visivo, il cinema o Internet. Scriverei libri come se fossero film, immagini per la televisione.
Mia figlia è un’archeologa sottomarina, ha ventotto anni, è colta, bella, legge(va) molto. A casa mia ha trentamila volumi, nella sua casa circa cinquemila. Eppure, oggi, non legge più su carta ma direttamente da pc, o comunque usa la tecnologia, anche per le sue ricerche, che sono mirate e specifiche. Questo mi fa intendere che l’epoca dei libri è al termine, perché anche una donna giovane e di cultura elevata, sta sostituendo nel suo quotidiano quella “forma” di lettura con la tecnologia.
Al giovane che comunque volesse scrivere oggi consiglierei di leggere i classici latini e greci, fonti meravigliose di ispirazione di cui riempire il proprio “zaino culturale” e i grandi scrittori europei: Mann, Flaubert, Stendhal, Plutarco, Svetonio, Tito Livio, Omero,… e di formare la sua intelligenza e applicarla per approdare al “nuovo mondo” che rappresenta la tecnologia, nuovo mondo perché tutto da scoprire (come quando Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili).
Chi sbarcherà in questo mondo nuovo senza materiale non riuscirà, chi invece saprà arrivare alla tecnologia con quel prezioso carico otterrà una superiorità di scrittura, perché avrà letto e contemporaneamente saprà applicare, ciò che ha imparato, ai vari media.
“Creare” per me significa scoprire il mondo. È bene però che questa modalità finisca con l’avvento delle nuove tecnologie. Non significa che finirà, solo che si trasformerà in qualcosa d’altro.
Credo sia un bene morire, invecchiare, terminare. Altrimenti ci convertiremmo in fossili cristallizzati che creano difficoltà ai mondi prossimi, che devono ancora venire. Bisogna “terminare”, insieme al proprio ciclo, e lasciare la propria eredità come individui."

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(N.B. si legge da in alto a sinistra verso destra, poi continua a capo)

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