Un festival diffuso quello di MusaMadre che si terrà a Rebeccu (frazione del comune di Bonorva, in provincia di Sassari, Sardegna) dal 21 agosto al 5 settembre: un progetto culturale e di riappropriazione del territorio ideato e diretto da Valeria Orani (qui l’intervista realizzata per la scorsa edizione).
Tra gli ospiti dell’edizione 2025 alcune tappe del Festival multidisciplinare Sardegna dove debutta in anteprima nazionale lo spettacolo teatrale “Chiuso per festa” di Matteo Porru giovane scrittore, drammaturgo, giornalista, Premio Campiello Giovani nel 2019: appuntamento il 27 luglio p.v. dalle 21:30 al Teatro Botanico di Rebeccu. Sul palco, lo stesso Porru con Marleen Scholten, attrice e regista olandese, tra i fondatori della compagnia internazionale Wunderbaum.
Uno spettacolo-riflessione sulle voci, le trame, i tempi dell’invenzione che si muovono in quel mondo immaginato (tutto personale) delle scrittrici e degli scrittori a contatto con la pagina bianca, metafora di una vita tutta da immaginare e vivere. Abbiamo raggiunto il giovane autore, qui nel suo ruolo prossimo di attore, sollecitando alcune riflessioni sulla necessità di vivere con leggerezza – se possibile – e, proprio, a partire dal volo: Matteo Porru infatti è anche pilota di aerei super leggeri, e il volo rientra sempre nella sua letteratura (qui viene in mente un richiamo al compianto Daniele Del Giudice), il suo ultimo libro Il volo sopra l’oceano è edito da Garzanti.
Calvino nelle Lezioni americane parlava di leggerezza come necessità di togliere peso alle cose: al linguaggio, ai corpi, alle città, all’essere umano… cos’è dunque la leggerezza per te?
«Il modo per ridistribuire il peso alle cose. È un’azione da levare: più si vendita, più si danno le giuste proporzioni, si pondera, si soppesa. Essere leggeri vuol dire bandire i giganti, gli esuberi, gli estremi, dalla testa e dal mondo. Niente di più e tutto questo. Ogni tanto ricordiamo Le lezioni con la mia compagna, ea entrambi è molto cara quest’attitudine alla vita, e ci colpisce che Calvino intende la leggerezza come un atto al futuro. Da qualche tempo, la vedo al futuro anche io».
Le cose dall’alto. Penso a Carl Sagan e a “Pale Blue Dot” la prima immagine della Terra vista dallo spazio profondo. Ecco, vedere le cose dall’alto, nel tuo caso da un aereo, cosa significa?
«Osservare il bello con consapevolezza. La quota regala lo spazio dell’incanto ma anche dell’allerta: è una contemplazione vigile, in cui ammiri il meglio addestrandoti al peggio. Stare in aria è una poesia pratica; il volo non è una magia ei piloti non sono stregoni. Unire le due natura della vita, quella morbida e quella rigida, è forse la più grande lezione che mi porto a terra quando spendo il motore. Ragionare a righe ricordando i quadretti. Inventare i sogni ripetendo i sacrifici».
In che modo essere pilota ti aiuta a mettere a fuoco il mondo?
«Dall’altitudine io ho imparato l’esattezza e l’essenziale nel vedere e nel parlare. Soprattutto nel parlare. Mi viene in mente una frase di Daniele del Giudice in “Staccando l’ombra da terra”, uno dei libri che amo di più: in nessun luogo la parola ti sembrava così importante come in cielo. È in cielo che nasce la parola. Nel volo ci sono tre grandi massime: vola, naviga, comunica. Tieni l’aeroplano, orientati e ricorda a te stesso e agli altri dove sei e dove vai. Ogni tanto lo si dice via radio con una chiamata all’aria: forse il mondo l’ho messo a fuoco chiamando il cielo».
Qual è la tua urgenza maggiore oggi, come figlio del tuo tempo?
«Raccontare il cambiamento. Sedermi sulla riva del mondo e vederlo evolversi, cadere, e puro ripetersi. Inseguire le storie e cercarle nelle teste, per le strade, ovunque, in ogni coriandolo che vola, in ogni nuvola che sale. Capire come si muovono le vite, e dove vanno a finire quando le rendiamo un romanzo, una poesia, una strofa. O una fiaba».