Dopo l’esordio con Ruthie Fear (di cui avevamo scritto qui) Maxim Loskutoff torna al romanzo con una storia controversa e dai contorni sfumati, che inizia nel Montana nell’estate del 1976 quando Duane Oshun decide di partire senza meta dopo il divorzio.
Old King secondo romanzo di Loskutoff (Edizioni Black Coffee, trad.it. Francesco Cristaudo, € 18) segue la storia di Duane, mentre il suo mondo interiore si frantuma, così accade al mondo naturale attorno a lui, i boschi, il mondo naturale sovrastato dalla contemporaneità che avanza.
Mentre si sgretolano tutte le sue convinzioni l’uomo si rifugia nel bosco, è qui che incontrerà Ted Kaczynski Unabomber, il matematico eremita che per anni colpirà con le sue bombe-pacco cittadini inermi in nome di un ambientalismo oracolare quanto violento.
Montana, Utah, Canada, Idaho, i territori che compongono Old King sono luoghi di vite che si intrecciano, così lungo i sentieri nei boschi e le statali dove le seghe buttano giù alberi al confine dei mondi, tracce, segni nei corpi dei personaggi: Duane, così come Jackie la sua ex moglie, ma le stesse Bitterroot Mountains diventano uno dei molti personaggi, in declino, di tutta la storia.
Loskutoff è bravo a innescare continui sub-plot per mostrarci i vari punti di vista con i quali si può guardare il mondo; descrivendo l’essenziale, in modo preciso e mai sopito, una verve ‘naturalistica’ che ci impone di osservare il lento disfacimento della contemporaneità con gli occhi e la misura del Tutto mentre accade – “Tre coyote morti erano appesi alla grondaia di un fienile diroccato alla periferia di Lincoln” – ci sono pancake, miniere a cielo aperto, ristoranti lungo le statali, pick-up alle pompe di benzina disseminate nel vasto american dream che sopravviverà anche al prossimo Trump di turno, pare dirci l’autore mentre scorrono le (quasi 300) pagine di Old King: ma chi è questo vecchio re, Duane, Unabomber, il mondo?
Tra estati calde, depositi di legna a Missoula, Salt Lake, Blackfoot Valley, a est del Missouri tra i paesaggi eternati dall’epica americana – Huckleberry Finn – “il verde della foresta lasciò posto all’aspro ruggito delle macchine”, è una vicenda senza scampo quella che racconta questo autore del Montana, lì dove le strade si biforcano e incrociano con le foreste, lì si innesta l’east rider delle vite smisurate in frantumi, è la metà degli anni Settanta e ci sono già tutte le premesse per ciò che avverrà di lì a poco: la Natura offesa, l’inquinamento industriale contamina i fiumi, piogge acide interiori si riverberano sugli aspri territori montani, è l’epopea “first” degli Stati Uniti che continuano a produrre, consumare, crescere (come nel vecchio adagio ‘vivi consuma crepa’) e fra non molto usciranno dagli Accordi sul clima di Parigi: e Unabomber farà saltare in aria il meccanismo di un mondo che si sta autodistruggendo.
Il fango, gli alci, il mondo scomparirà sotto una coltre di fumi e ingranaggi, l’olio percolerà dalla superficie raggiungendo l’underland – il sottoterra – fino a contaminare le falde freatiche e, ancora più giù, il sostrato di un’intera società, la nostra, nella quale l’unica risposta alla violenza delle macchine sulla natura, l’habitat, non può essere altra violenza (emblematico il racconto del pacco-bomba che esplode nella stiva dell’aereo ndr), Loskutoff ci pone di fronte a domande che decreteranno il modo in cui accadrà il prossimo futuro, il personaggio di Mason nella sua delirante forma di resistenza alla svolta turbo-capitalista: “Come sapere quando è il momento di lanciare bombe?…quando anche gli ultimi lupi del continente saranno intrappolati e ingabbiati, in cattività (come gli ultimi condor, non molto tempo fa), sarà quello il momento di lanciare le bombe? O sarà troppo tardi?”.
Tutta la seconda parte del romanzo slitta poi verso il quotidiano di Ted, mentre ascolta i giornali radio che parlano della sua battaglia personale contro la modernità – “”Appendevano i coyote al fienile come trofei, tormentavano le anatre a Monture Creek e devastavano la foresta sui loro quad” – i cattivi vanno fermati a tutti i costi. Fino a che punto ci dovremo spingere per fermare chi vuole distruggere il mondo naturale che ci ospita? Questa la domanda che resta fra i cespugli di prugnolo e la nebbia a mezz’aria sopra i terreni, la foresta nasconde segreti imperscrutabili, per questo forse ne abbiamo paura, mentre del tempo che passa, e quello degli umani sul pianeta Terra, non resta che il residuo dei giorni con i quali dovremo (prima o poi) fare i conti, prima che sia troppo tardi.