MusaMadre Festival


“Si ama la Sardegna – si legge su un murales a Orgosolo – rispettandone la terra e la cultura”. Unendo i territori e chi li abita, cammina e fortifica, attraverso gli spunti dell’intorno, il grande mare entro il quale siamo tutte|i immerse|i. Proveniamo da uno stesso luogo, noi il medesimo – imperfetto – genere umano alla ricerca di un posto da chiamare, casa heimat che non è (necessariamente) un luogo fisico, le quattro mura sopra la testa (c’è solo il cielo), e non certo nel significato della ‘Patria’ dei nostalgici quanto, piuttosto, quel vago senso di impermanente perfezione che ritroviamo nel volto di chi amiamo, per esempio, un cigno in un lago e noi bambine|i, quell’albero speciale in cima alla collina, il profumo di castagne davanti al camino, quella volta in cui siamo state|i bene e ci siamo sentite|i capite|i e abbiamo respirato quell’aria che, appunto, ci ha fatto sentire “a casa”.
Il Tempo del resto è ‘il grande scultore’ scriveva Marguerite Yourcenar, così millenni più tardi un antico borgo medievale in provincia di Sassari si ripopola, le mura (un tempo divisive) si fortificano di vitalità e progetti. Ci penserà poi il tempo, sempre, il vento dei secoli, a transitare il passaggio “leggero” dei viventi sulla terra, in questo caso le rocce affioranti nell’isola dei S’ard che nell’antica lingua significa ‘danzatori e lettori delle stelle’. Rimando a un altro titolo, il racconto idronomo e nuragico di Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri (Sellerio): un’eco dal riverbero ambientale, diremmo oggi, la necessità di abbattere la carbon footprint, l’impronta ecologica dell’umanità meccanica, la tecnologia che avvince tutto il resto, la Natura soggiogata e invece… come in montagna, camminare leggeri nel fardello e nel modo di interagire con l’intorno, co-abitare e con rispetto fare silenzio – “fare” – come la radice dell’etimo poesia. Fare ed errare, nel suo doppio significato di andare e sbagliare.
IMPERFEZIONE è il tema-chiave del MusaMadre festival (suoni | corpi | visioni) iniziato il 24 luglio e fino a giovedì 8 agosto: 40 appuntamenti nell’estate del borgo di Rebeccu, frazione medievale di Bonorva, Sassari. Ne parliamo con Valeria Orani, direttrice del festival – “una delle figure più intraprendenti del teatro italiano” – fondatrice di Umanism NYC società che si occupa di mettere in relazione il mercato americano con la Cultura Italiana Contemporanea, inoltre con l’Italian and American Playwrights Project Orani ha ideato e curato un progetto non-for-profit dedicato alla promozione della drammaturgia italiana contemporanea in collaborazione con Frank Hentschker, direttore del Martin E. Segal Theatre Center del Graduate Center della CUNY (City University of New York).

Il tempo in un borgo medievale abbandonato è un concetto con un’intensità diversa, lei come lo definirebbe: profondo, lungo, residuale?
«Il tempo in un borgo medievale abbandonato può essere definito “profondo”. Questo termine cattura l’essenza della stratificazione storica e delle sensazioni che emergono quando si visita un luogo che porta i segni del passato in modo così tangibile. La profondità del tempo si percepisce attraverso le rovine, le architetture invecchiate e la natura che lentamente riconquista lo spazio un tempo abitato. Ogni pietra e ogni struttura raccontano storie di vite trascorse, eventi lontani e cambiamenti secolari. Una percezione del tempo non lineare né superficiale, che è piuttosto un immergersi nelle epoche passate, sentendo il peso e la continuità della storia in un modo che trascende il presente. Altrettanto però definirei questo tempo “naturale”. Scandito dal ritmo delle luci e delle ombre, dal vento, dalla pioggia o dal sole accecante. Qualcosa che ci riposiziona come esseri umani al pari degli altri esseri viventi, resilienti del tempo, sia esso il passare delle ore e dei giorni o l’insieme dei fenomeni meteorologici. Una dimensione che è l’esatto contrario di ciò che siamo abituati a vivere nelle nostre quotidianità urbane, che vedono tutto adattarsi alle nostre esigenze di esseri umani e che molto spesso ci vedono affannosamente rincorrere il tempo per riuscire a riempire ogni singolo istante delle nostre esistenze. Questo tempo “profondo” è molto rassicurante».

L’edizione di quest’anno è dedicata all’imperfezione, dell’essere umano o del valore assoluto del concetto?
«Il tema di questa quarta edizione è innanzitutto un invito alla riflessione su quanta bellezza e quanto significato esistano, in realtà, in ciò che appare incompleto, non conforme, irregolare.
Da un lato prendiamo atto del fatto che l’imperfezione sia una parte intrinseca dell’esperienza umana, delle emozioni, delle creazioni artistiche e delle interazioni sociali. Dall’altro, invece, proviamo ad esplorare l’imperfezione come un valore filosofico, sfidando l’ideale di perfezione assoluta e abbracciando il caos, la variabilità e l’unicità che caratterizzano la realtà. Anche nella scienza l’imperfezione è una parte essenziale dell’evoluzione della natura e per questa ragione la spasmodica ricerca dell’esatta compiutezza – che permea costantemente le nostre esistenze e che condiziona spesso i nostri rapporti – è da intendersi come un atto totalmente innaturale».
Molti gli artisti – Pievani, Godano, Marras – qual è il ruolo dell’arte oggi, quale l’impegno che si può (e forse, si deve) assumere nella relazione con gli altri? E chi è l’altro, oggi?
«Il ruolo dell’arte è sempre fondamentale e poliedrico, poiché ha la capacità di stimolare riflessioni profonde, creare connessioni tra persone e culture diverse e sfidare le convenzioni sociali. In un’epoca di rapidi cambiamenti e complessità, l’arte può servire come strumento per comprendere il mondo, promuovere il dialogo e ispirare azioni positive. Per innescare questi processi è necessario che l’arte possa offrirsi nella sua essenza più autentica, senza che venga preceduta da quella patina di supponenza profetica che spesso, sbagliando, viene definita intellettualità. Temi come inclusività, diversità, consapevolezza, empatia, connessione, innovazione e critica sociale possono realmente emergere dal dialogo che la fruizione di un’opera può scaturire con gli “altri” che oggi sono tutti, ossia la comunità globale e diversificata, composta prima di tutto dagli stessi artisti. Nel caso di MusaMadre l’attenzione è quella di non dividere la comunità artistica da quelli che sono gli individui e le Comunità Locali e le generazioni future che erediteranno le conseguenze delle azioni odierne. Nell’edizione di quest’anno abbiamo voluto accogliere una pluralità di voci proprio per questa ragione: dall’approccio scientifico del filosofo Pievani alla dimensione riflessiva del cantautore Godano, passando per i temi di identità e memoria nell’arte di Antonio Marras. Ogni singolo ospite è la testimonianza di quanto l’arte possa essere un potente agente di cambiamento e comprensione nel mondo contemporaneo».

C’è un rapporto che non sfugge in MusaMadre, la terra sarda – del resto, in Sardegna “non c’è il mare” come nel titolo del libro di Marcello Fois – che terra è quella che volete rappresentare con il festival, chi la abita?
«La terra sarda di MusaMadre è quella che racconta storie di tradizioni secolari, di comunità resilienti e di paesaggi aspri e selvaggi. È una terra che vive di contrasti, dove la bellezza si intreccia con la durezza della vita quotidiana e dove l’identità culturale è profondamente radicata. Questa terra è abitata da persone che incarnano l’essenza della Sardegna interna: agricoltori, allevatori, artigiani e famiglie che mantengono vive le tradizioni locali. Sono individui che hanno un rapporto intimo e rispettoso con il loro ambiente, che conoscono i segreti della terra e delle sue stagioni, e che lavorano per preservare un patrimonio culturale e naturale unico».
Cosa significa rigenerare un borgo?
«MusaMadre con il progetto di rigenerazione urbana del villaggio di Rebeccu vuole partire proprio dall’incontro con chi abita il territorio e dal suo stile di vita e con chi invece ha lasciato questa terra per i motivi più disparati, o addirittura con chi è discendente di diaspore antiche che hanno sparpagliato il popolo sardo in tutto il Globo. Da un lato il richiamo di ciò che c’è oltre il mare, dall’altro il richiamo alle proprie radici. Rebeccu è il luogo ideale, un luogo “terzo” che racchiude in se tutte le alchimie essenziali per trasformare questi incontri in qualcosa di inaspettato e interessante. Il tema della scorsa edizione è stato “serendipità”, ecco, serendipità penso possa facilmente riassumere cosa intendo. Incontri che fanno riscoprire radici profonde, una fonte di ispirazione per affrontare le sfide contemporanee con saggezza e determinazione. Il festival vuole essere una piattaforma in cui la cultura, l’arte, e le storie di vita quotidiana si incontrano, creando un dialogo tra passato e presente, tra tradizione e innovazione. In questo modo, MusaMadre non solo celebra la terra sarda, ma anche le persone che, con il loro impegno e la loro passione, continuano a darle vita. L’orizzonte di Rebeccu vede la vasta piana di Santa Lucia, un tempo granaio di Roma e dei Giudicati, vede la valle dei vulcani e dei nuraghi, vede la natura del Meilogu. Il mare non è distante ma sicuramente qui non se ne sente la mancanza».

MusaMadre sembra un progetto emerso da molte collaborazioni. Come si può pensare nel 2024 – epoca di guerre, estinzioni, populismi – che non sia la competizione ma la collaborazione a essere la nuova frontiera delle relazioni?
«È necessario crederci. Io abito a New York da dieci anni, sono emigrata dalla Sardegna quasi quarant’anni fa. A un certo punto della mia storia artistica e professionale ho sentito la necessità di soffermarmi sul concetto di identità. Una parola che mi dava quasi fastidio pronunciare, inflazionata e malamente usata come termine divisivo. Nel vocabolario sardo non ho trovato un termine uguale. Il concetto più simile è quello di “anima” che in sardo si dice amina. Mi ha appassionato questa specularità tra amina e anima e questo rispecchiarsi è diventato pratica costante della mia ricerca. Ripartire dall’essenza ci aiuta a superare ostacoli che oggi rendono le nostre vite incompatibili con chi non la pensa come noi, non vota come noi, non è “noi”. La competizione è una realtà con cui ci si deve confrontare, ma non è l’unica. L’antropocene è un’era segnata da questa nostra centralità che sovrasta tutto nell’illusione che tutto dipenda da noi. Ricollocarsi in un insieme forse rallenta l’inevitabile implosione».
Fra i nomi presenti al festival, tra gli altri: Telmo Pievani e Cristiano Godano, Giuliano Battiston, Francesca Coin, Antonio Marras, Matteo Porru e molte|i altre|i ospiti. Programma completo su, https://www.musamadrefestival.it/musamadre-2024