Mentre negli Stati Uniti imperversa la lotteria del toto-nomi candidati allo scontro di novembre con “theDonald” supportato dal popolo Maga (come quelli della serie di Animali fantastici della Rowling), il mondo grida al caldo. Senza contare che il surriscaldamento climatico è un effetto dell’inquinamento umano, le industrie che sparano fumo dalle ciminiere, le città sono sempre più “isole di calore” dove a fronte del caldo aumenta l’uso di aria condizionata (e connesse bronchiti e relativi antibiotici, le farmaceutiche ringraziano).
Che il consumo – elettrico, di suolo – derivasse in consumismo lo si sa da molti anni. Eppure rende sospettosamente curiosi il riproporsi di alcuni testi che, negli anni 70 del Novecento, ponevano alcune questioni che credevamo superate insieme a razzismo, bullismo, xenofobia, rigurgiti nazi-fascisti e terrapiattisti, oltre a quelli che vorrebbero le donne a casa, e i migranti rispediti al di là del muro… quale poi?
Due pubblicazioni hanno attirato la mia curiosità ultimamente: la prima è l’edizione critica ed estesa de La società industriale e il suo futuro (D Editore, 17,90 €, traduzione e cura di Emannuele J. Pilia e Mattia Pinna) di Theodore John Kaczynski aka “Unabomber”, l’altro è la riproposizione a 50 anni dall’uscita de Lo stato atomico di Robert Junck (per la collana Lupicattivi Voci di ecologia integrale di Castelvecchi, € 20,00 traduzione di Nicola Paoli, prefazione di Daniela Padoan).
Per alcuni un pazzo criminale, da altri considerato invece quantomeno un martire della società che sarebbe divenuta del tecno-controllo Kaczynski è, e rimane, una delle figure più controverse del secolo scorso: recapitava pacchi bomba a quelli che a suo avviso – era stato un bambino problematico, diventerà studente ai corsi di matematica ad Harvard, e poi cavia degli esperimenti psicologici della CIA – erano obiettivi sensibili da far deflagrare il mondo, per Unabomber il suo modo di stare al mondo passava da un assunto: “Non ci facciamo illusioni sulla possibilità di creare una nuova società ideale, il nostro obiettivo è solo quello di distruggere quello esistente”: la demolizione del reale.
Eppure, se c’è una cosa che colpisce della vita di Unabomber è il suo ritiro dal mondo tra i boschi del Montana, e ancora di più i circoli dinamitardi che si costituiranno, i cosiddetti Freedom Club. Il mondo va incendiato, lo sosteneva Cecco Angiolieri, e così fanno i Maga di Trump, assalto alle istituzioni in una girandola eversiva tesa ad abbattere le élite: il manifesto di Unabomber (chiamato così dall’FBI che nominò l’operazione con il codice “UNiversity and Airlain BOMber” ndr) verrà pubblicato – con le sue 232 tesi – il 19 settembre del 1995 dal Washington Post. C’è un enorme lascito di quel manifesto che può far comprendere dove, per esempio, si siano persi i rapporti fra il popolo americano e la politica (di qui l’attacco di questo articolo parla delle prossime elezioni americane di novembre 2024), di più Kaczynski si professava anti-mercato, forse persino anti-global, dimostrava il “marcio della Danimarca” della libera concorrenza, il mercato non è in grado di auto-regolamentarsi e il più forte uccide il più debole (leggete la storiella a pag.185 che inizia con “È l’autunno del 2025. Il sistema tecnologico-industriale è ormai collassato un anno fa, ma tu e i tuoi amici ve la siete cavata bene.” e finisce con “BANG. Sei morto” ndr). Ciò che stupisce – di nuovo (!) – è la capacità di prevedere i movimenti della pancia del popolo mondiale, i brontolii e le sommosse, le guerre fratricide, le leggi evoluzioniste nel loro dark side.
Il discorso per Lo stato atomico di Junck si inquadra invece nella dinamica della transizione energetica. E, anche, in questi giorni, nella rielezione di Ursula Von der Leyen al Parlamento europeo, grazie al supporto dei Verdi.
La tesi di fondo di Junck, la prima edizione del testo è anche qui incredibilmente del 1977, prevedeva che dopo Hiroshima e Nagasaki il nucleare sarebbe servito non solo per la guerra ma anche per la pace, tanto da parlare (ora come allora!) di “nucleare verde”, energia pulita grazie all’atomico del titolo, appunto: è incredibile anche in questo caso la capacità oracolare dell’autore, saggista, saggista, attivista pacifista e antinuclearista convinto, di anticipare i grandi dilemmi della contemporaneità: oggi che si parla di risorse rinnovabili, di transizione giusta, e dall’altro lato di ritorno al petrolio (vedi l’America First di Trump, o anche in Italia, nonostante gli scienziati oramai siano unanimi nel riconoscere che l’Antropocene è causato dall’attività antropica).
Ecologia e “stato atomico” non possono co-esistere, sostiene Junck, l’ossimoro del “nucleare per l’ambiente” ai tempi di Zaporižžja, dopo Černobyl’, suona allora come monito e oracolo, da un lato, dall’altro ci mostra – ancora una volta – come alcune grandi questioni della contemporaneità che pensavamo risolte non lo sono affatto (come anche i diritti delle donne, degli omosessuali, dei “diversi”, degli migranti climatici).
Entrambi i testi hanno il merito di far emergere pensieri che, altrimenti, non riusciremmo a contestualizzare. Il tempo non è solo l’eterno presente. Il tempo delle nostre scelte è oggi, capire da dove veniamo, e cosa è successo, ci può aiutare a comprendere cosa succederà, o potrebbe succedere.