Esce oggi Sulle ali del mondo. Audubon di Fabien Grolleau e Jérémie Royer (trad.it. Stefano A. Cresti, Collana Tipitondi, Tunué, Euro 17,50).
Mississippi, 1820, uno stormo di brante fende il sentiero invisibile tra le nubi in arrivo. Uomini in balia delle onde. In piedi, in bilico sull’imbarcazione, un uomo magro dallo sguardo tenace, però, pensa solo a salvare i preziosi disegni che tiene rilegati dentro una cartellina legata con uno spago: è Jean-Jacques Audubon, l’uomo che all’inizio del XIX secolo si dedicò a dipingere e classificare tutti gli uccelli d’America.
Audubon il graphic novel racconta la storia di questo pittore ornitologo, un avventuriero, pioniere all’alba di quell’America – terra di libertà e occasioni – che la moderna letteratura ci avrebbe consegnato.
Con disegni eleganti e una sceneggiatura essenziale e precisa, che restituisce intatta tutta la magia, il racconto per immagini traccia le gesta e il sogno di quest’uomo nato francese e morto americano che per tutta la vita inseguì il suo (folle) progetto, una vita dedicata che ci porta a conoscere uno dei padri dell’ecologia moderna, al quale è ispirato il nome della più importante organizzazione americana di difesa dell’ambiente, la Audubon Society (A Bright Future for the Birds and Planet).
Il Kentucky si apre davanti ai nostri occhi, il fiume dimezza la pagina, scalfisce l’orizzonte che separa la terra e il cielo, Audubon un novello Beethoven davanti alla più grande creazione del mondo. Il fumetto ci accompagna ai sicomori cavi dove le rondini fanno il nido e così, al passare delle stagioni, Audubon annota – “Ebbi però premura di tappare il pertugio con foglie, rami e detriti” – ed è così che di pagina in pagina, leggendo le mirabolanti avventure annotative di questo uomo tra le nature del mondo, passiamo gli argini del tempo, e dopo estate viene autunno e il sicomoro si svuota di vite, caos, voli e la neve copre i rami. Sono immagini poetiche e potenti quelle che usano Grolleau-Royer, Audubon che pure spara a un picchio dal becco avorio che percuote il tronco, la smania dell’uomo di conchiudere entro la propria classificatoria mentalità le meraviglie del mondo. Perché Audubon è in effetti sguardo sul sacro della Natura, il mistero glorioso di una Creazione incessante, al di fuori della nostra comprensione, per questo i personaggi di questo graphic novel riempiono la pagina, così come l’ornitologo annota, con benedizione d’arte, e compila il suo personale, sterminato archivio degli uccelli vissuti.
C’è tempo – multiplo, volatile, tempo-pigaro dalla testa bianca, tempo in quattro quarti – e foresta, lo “sconosciuto del mondo” da camminare, perdersi, condividere. Audubon risulta così metafora e ossessione, solitudine e missione, un uomo tutto dedicato a un unico grande progetto, l’illusione dell’uomo di poter lasciare – persino un piccolo granello, una pagina annotata, brevi schizzi dell’inconsciuto mondo – un segno.
Ed è così che mentre l’ornitologo continua con le sue peripezie, finisce persino in carcere, scopriamo cos’è che in fondo ci salva dal quotidiano. Il futuro nel piumaggio di un pigliamosche, e Audubon un novello Icaro, agli occhi della moglie “Ma preferisco saperti assente, libero e lontano… che non in gabbia” – il sole filtrerà fra i rami della foresta, il pulviscolo e un serpente che attacchi il nido dei mimi rossicci, mentre un orso sbuca dal folto, ferito all’occhio, zanne e artigli, Audubon ci mette di fronte al pericolo, e a una Natura non soggiogabile, non necessariamente buona ma ferina e selvatica.
Un richiamo alla nostra società contemporanea, che pensa di aver messo da parte il mondo naturale, aver schiacciato con il cemento la forza tellurica che attende, con il suo tempo sincronico, secoli, ére, l’estinzione del Sole tra 4,5 miliardi di anni, e si ritrova invece alle prese con eruzioni e ghiacciai, temperature in ascesa ovunque, la bellezza dei bisonti in lotta per la vita contro i lupi delle terre selvagge.
Audubon il graphic novel ha la potenza dell’immaginifico, più che solo dell’immagine, i disegni botanici si alternano alle annotazioni con il lapis del nostro “Sopra le foglie appassite vedo arrampicarsi, di fretta, tanti begli scarabei, si fanno piccoli piccoli per sfuggire all’occhio vigile di quella grossa lucertola”, è un mondo d’assalto e senza mediazione, quello che tratteggia questa storia, anche di Scienza e rigore “Un uccello è un essere vivente, non semplice materia inerte” una lezione che dovremmo imparare a memoria, una visione del Tutto entro il quale siamo immersi. Aria, molecole, terra, corpi.
La vita sfugge da una ghiandaia, il becco a uncino d’un falco pellegrino. Tutto racconta la passione che genera, l’utilizzo che poi gli autori fanno del tempo, il moto circolare.
Cadono i tronchi, e l’avventuroso ornitologo si trova di fronte la nuova Eva, un’indiana d’America, quando ancora il colonialismo non li aveva uccisi prima e segregati, poi, di fatto scalzando i nativi dalla loro terra. Guarirà dalla febbre, l’esploratore, con i rimedi sciamanici che la nostra contemporaneità torna a scoprire, per malcelata inopinata ignoranza di fronte ai misteri (ai virus) del mondo. L’animale totemico uscirà così dal mondo onirico, dal delirio dell’avventuroso francese, fino alla comprensione della filialità universale “Io non ho una madre” dirà infatti il piccolo Audubon in uno dei ricordi “Sono il figlio della foresta”.
Sino a che, anni dopo, sulle sponde di New Orleans, e con la barba lunga, smagrito e ammalato, i fenicotteri rosa sorvoleranno i cieli e l’eroe del nuovo mondo conoscerà, di nuovo, la strada di casa. Di lì, la Gran Bretagna, di porto in porto, Liverpool, Manchester, Edimburgo, Londra. A portare in giro le scoperte scientifiche, e un’aquila dal collo bianco sui canyon del Missouri conoscerà gli ultimi anni dedicati da monsieur Audubon alla scoperta del mistero del cielo, un’unica lunga linea sottile del tempo, al tempo dei dinosauri. I voli imprevedibili dell’immaginazione degli uomini che solo sanno l’incontro con la meraviglia del pianeta blu a spasso nell’Universo.