Da Milano Malpensa a Tel Aviv sono 4 ore di volo. 1 ora per uscire dall’aeroporto. Ma arrivati a destinazione scopro due cose. La prima è che piove. La seconda è che sul passaporto non viene applicato il bollino dello stato israeliano, viene piuttosto rilasciata una blue card da portare con sé per l’identificazione. Il che implica uno strano senso di libertà.
La prima impressione arrivato a Tel Aviv è come quella che ho provato a Berlino.
La prima sta a Israele come la seconda sta alla Germania.
Tel Aviv è una città giovane, aperta, viva.
Sull’aereo oggi ho parlato con una ragazza italo-svizzera che sta facendo qui il dottorato in Zoologia. Mi aveva detto che oggi ci sarebbe stata una manifestazione organizzata dall’opposizione, che imputa al governo attuale di operare troppe restrizioni sui diritti civili, oltre a favorire l’ortodossia a scapito del pensiero laico, che così tanto piace alle nuove generazioni.
Appena arrivati, dopo un passaggio all’albergo Center Chick – un boutique hotel centrale, in piazza Dizengoff, a destra il mar Mediterraneo, da qualche parte nella notte, all’altro lato il quartiere multicolore di Jaffa – le strade invase da manifestanti. 80.000 in piazza, la più grande manifestazione (pacifica) da quando si è impiantato il governo di destra di Netanyahu e che, a detta di molti, potrebbe portare il paese indietro di decenni, e decretare la fine della democrazia.
Per le strade iper trafficate del centro migliaia di manifestanti, molti i ragazzi ma anche papà con i bambini in piedi sul portapacchi dietro, la bandiera con la stella di David legata come il mantello di Superman. Tutto si mischia, tutto è il contrario di tutto. Il taxi ci deve lasciare per strada . Non si passa. Così ci si immerge nella folla. Il primo giorno. Appena sbarcati. A respirare la stessa aria della Storia che si compie, ovunque.
A cena andiamo al Porter&Sons, una birreria con una bella atmosfera, banconi in legno, luci gialle, profumo di spezie e stufato, e musica jazz blues. Al rientro ormai è tardi, le ragazze tornano indietro con il kajal sugli occhi a mandorla, si respira aria pulita, svetta ovunque la concezione bauhaus degli edifici a zig zag, il teatro più grande del Paese, l’Habima, facciamo appena in tempo a rientrare in albergo che inizia di nuovo a piovere. Fa caldo. E c’è silenzio a quest’ora, del resto siamo arrivati di sabato, shabbat è il primo giorno di uscita dopo i giorni della preghiera. Domattina si riparte. Si “sale” verso Gerusalemme, la città sacra. Sopra le colline che portano al cielo.