Siamo azzerati, stanchi. Psicologicamente fragili. Dimessi, ossessionati, salvati, reificati.
E’ un anno che la pandemia ha interrotto il cliché del quotidiano. E ci ha instradato sulla via del doppio binario. Salute e paura.
C’è uno spettro che si aggira per le strade, non è il virus, è l’incapacità di progettare, vivere, decidere. Siamo tutti interrotti. E poi c’è un grumo dentro di noi che invece resiste, oltre l’ostilità del mercato dei giorni. L’abiura della vita.
Noi indifesi, i puri, al bando gli indifferenti avrebbero detto Gramsci e Moravia.
Narrare del fuori, allora. Occorre uscire fuori. Non più il sé, ma il “noi”. Cambiare pronome alle storie. Perché quando raccontiamo storie narriamo di miti. La leggenda di un tempo coniugato alla speranza. E la speranza è fatta di suoni e immagini, illusioni e verità: “Si era fissato in quelle parole spiccanti, lucide e nere sullo smalto di due targhette inchiodate nello schienale di fronte: Kalt… Varm (…) Erano due parole che si adattavano bene al rumore delle ruote (…) E il rumore delle ruote era dolce e caldo, quantunque formato dall’incontrarsi dell’acciaio con l’acciaio, e portava lontano la mente, svuotava la testa”. Questo è il drive. Questo il momento.
Questo l’incipit, il drive, l’innesco de I superflui di Dante Arfelli (1921-1995), scrittore romagnolo – provincia di Forlì-Cesena – che nel 1949 vinse il premio Venezia (antenato del premio Campiello) proprio per questo folgorante esordio onomatopeico, misurato, immaginifico e stolto. E torna, I superflui (titolo magnifico poiché tutti siamo in fondo superflui, tutti inutili sulla Terra che pure ci ospita, noi che ci beiamo d’esser necessari, e invece lo svelamento di Arfelli a distanza di anni è ancora tutto lì, in tralice e postilla: l’impermanenza) ed esce questo romanzo con un editore appena nato, le Edizioni readerforblind.
Si sa in tempi d’oltraggio al futuro, chi si lancia o è pazzo o è coraggioso. Spesso entrambi.
Di voci libere ed editori nuovi v’è bisogno, come di sangue in circolo in un mondo sempre più chiuso e in crisi di democrazia (come emerge dall’ultimo rapporto di Freedom House qui).
Voci irredente, come quella di Arfelli che nei superflui ci mette gli ultimi, gli sconfitti, gente come Lidia e Luigi l’anarchico, Alberto che studia ma perché (sembra di sentire l’eco della voce di uno studente universitario di oggi, appena uscito dalla dad), una generazione intera che sta lì sospesa, il dopoguerra e il vuoto pneumatico dei giorni, tutti in attesa che qualcosa accada, un deus ex machina inesistente, un abbandono, una crisi, che bari quantomeno sul giro al banco e contrapponga cambiamento al destino cinico e baro.
Il futuro, questo sconosciuto, ci interroga Arfelli a distanza di un secolo. Un secolo, 100 anni e i sogni distrutti del progresso. 100 anni e in mezzo la disruption ambientale. Un secolo, 36.500 giorni, 2 conflitti mondiali, infinite altre guerre “minori”, la libertà in fiamme, rivoluzioni naufragate e abbandonate: è la cura dei giorni, il dialogico, l’esigenza di rinnovare il modo in cui ci confrontiamo, la sfida con se stessi e il mondo.
“Se non si balla non è la mia rivoluzione”, ci dice Arfelli mentre i suoi personaggi disincantano, disincarnano, la guerra è arrivata la guerra che preme la guerra la guerra che scuote. E il linguaggio della vita è asciutto e semantico, I superflui è una riscoperta e una sfida alla nostra borghesia acquisita, questo soffio di scrittura prezioso, che lascia l’io, le necessità psico-verticali, e approda al tutto orizzontale del mondo, finalmente il fuori: “Nessuno aveva più badato al geranio per tutto l’inverno. Un giorno, dal cortile dove l’aveva rubato, la vecchia l’aveva portato di sopra, nascondendo il vaso sotto lo scialle”, personaggi minori che fanno cose minori eppure spiegano le esistenze molto meglio delle finte autosuggestioni con cui ci siamo, forse per troppo tempo, distratti. Il tempo della pandemia un tempo di svelamento. Come Arfelli che narra i dissipati, personaggi che si aggirano nell’Italia del dopoguerra, una ricostruzione è possibile, sembra dirci l’autore, che con questo libro arrivò a essere pubblicato perfino in America, dallo stesso editore di Hemingway: e I superflui arriverà a vendere quasi 1 milione di copie.
La resistenza alla “polmonite”, i soldi che mancano a Luca, Lidia con la febbre, il dottore che la visita.
Metafora ci ciò che ci tiene vivi. La disillusione che accorcia il nostro orizzonte. E però cosa ne sarà di noi domani?
E’ uno schiaffo e una resa dei conti questo libro. Con Faccetta nera e tutti i fascismi, lo stesso con le imposizioni dei vincenti, un romanzo che è strappo alla regola, alberi che sfilano di fronte agli occhi.
Alziamo i veli, ci dice Arfelli scomparendo egli stesso, con un atto d’improvvido situazionismo, una resa incondizionata, lo smacco al successo, il ritiro: l’autore de I superflui si ritirerà infatti sino al 1975 a pensare, studiare, riflettere, migliorare in fondo: scegliere bene le parole con cui rappresentare storie.
La mitopoietica del superamento del sé, mai fermarsi – ché i beati li lasciamo in cielo! – sulla terra uomini e donne al limite di buona volontà fatti di espedienti e nient’altro, personaggi fuori dagli algoritmi di superficie con i quali siamo soliti liquidare ciò che ci sta intorno, dandolo in pasto a facili risoluzioni che lasciano il tempo che trovano, Arfelli andrà alla ricerca – piuttosto impossibile – di un lessico nuovo col quale affrontare il tempo che occorre, domani. Come dovremo fare noi. Poiché non è il passato, è il futuro che chiama il presente.
Siamo i superflui noi, alla vita sulla Terra. Eppure che bello pensare ai balli di piazza, le gonne lunghe delle ragazze, i lampioni accesi, il cuore che batte, ancora. Quale meraviglia, se pur la vita cosa sia in fondo se non un lieve bisbiglio prima d’arrendersi alla vana speranza. Torneremo. Solo non più dentro, chiusi nell’arroganza dell’antropocentrismo, ma aperti al mondo lì fuori.
La prossima uscita delle Edizioni readerforblind è prevista per il 23 aprile 2021 con il libro di Guido Cavani, Zebio Còtal con la prefazione di Omar Di Monopoli.