Il tempo e il frastuono

Sono i grandi temi di cui trattano due libri usciti da poco: “Qui solo per poco” della colombiana María Ospina Pizano (Edicola edizioni, trad.it. Amaranta Sbardella, € 18,00) e “Il grande frastuono” dell’israeliano Roy Chen (Casa editrice Giuntina, trad.it. Silvia Pin, €20).

“Qui solo per poco” si apre con il Dialogo delle cagne, Pizano – che insegna cultura latinoamericana e scrittura creativa all’Università di Wesleyan e si è dedicata agli studi sulla relazione tra memoria, violenza e natura nella cultura colombiana contemporanea – non fa sconti alle parole.
L’autrice non si cruccia per il doppio significato eventuale del suo titolo. Cagne è femminile di cane, e di questo tratta in effetti il romanzo, che si apre con Kati, una bastardina che viene abbandonata dal suo umano, colui che dovrebbe condurla nel mondo, assieme, accanto. La riflessione di Pizano si fa empatica, per nulla rassicurante, apre a un atteggiamento che noi umani sappiamo mettere in atto molto bene. L’abbandono. Alias la fuga, alias non riesco più a stare, e così tra cassette di arepas – focacce di mais – e i passi dell’animale che incontra il mondo, siamo tra le zampe e le vie di Bogotà, Colombia, è oggi è qui.
Kati infine incontra Mona, nel suo lento girovagare, Mona che sbuffa e si ribella ai legacci. Due destini per certi versi contrari, o contrariati chissà. Kati docile, Mona indocile. Entrambe affamate, lasciate per strada, entrambe corpo e morsi, libere e cacciate via da alcuni, carezzate da altri.
Sembra di leggere tra le righe di “Qui solo per poco” il gioco al massacro dell’umanità che caccia via gli estranei, dopo che l’antichità invece deputava a chi fosse venuto da fuori onori e tributi. Ulisse che sbarcasse sulle coste. Chissà quale destino avrebbero raccontato i nuovi arrivati. Notizie dal mondo. Ma oggi che ne abbiamo troppe, e poco tempo, la cosa più facile è liberarsi degli appena venuti. Ricacciarli indietro. Da dove arrivano. E qui le similitudini si fanno emergenti.
Come due fantasmi-cane, che annusano, guardano, ascoltano i merli sugli alberi, i vortici di uccelli rilevati all’aeroporto di Washington, ed è qui che la prosa di Pizano si fa più intensa e si sposta dall’asse delle narrazioni umane a un piano più autentico, perché del vivente: “Ha davanti a sé intere settimane prima di raggiungere il suo bosco nella nebbia. Chissà quanto la angustia quella notte inutile. O quanto la scalfisce il passaggio del tempo, che per lei potrebbe essere un semplice gomitolo di altezze e stelle che mai noi potremmo capire”.

Pizano – che con “Qui solo per poco” ha vinto il Premio Sor Juana Inés de la Cruz (2023) e il Premio Nacional de Novela in Colombia (2024) – lega e trasforma il mondo del suo libro in linguaggio interspecifico, così lungo il corso delle parole diveniamo fulmine e tempesta, una tangara in volo, mare, castelli di sabbia costruiti dai figli degli uomini su una spiaggia, e poi ci sono la Bibbia, le formiche (di cui pure Calvino suggeriva di scrivere, il mondo piccolo e puntiforme attorno, e sotto le suole delle nostre scarpe, invisibile agli arroganti, nascosto agli occhi di chi come l’essere umano vada avanti imperterrito senza curarsi dell’equilibrio fragile delle cose). Così un libro su due cagne diviene una formula base per raccordare il mondo animale con il regno vegetale, la terra dove piccole larve si intrufolano creando spazio e aria, ossigeno per il nuovo mondo che verrà, e la sensazione che tutto quello che Pizano vuole da noi, lettori ideali, sia donarci un senso di molteplicità e salvezza, quasi, sì, persino, salvezza nella moltitudine silenziosa che agisce nostro malgrado. Due destini piccoli, due lasciate per strada, ci fanno conoscere il mondo, così, molto di più di quanto lo faremmo da soli, narcisisticamente attaccati alla propria esistenza miope, che non tiene conto di niente altro e nessuno se non sé stessi. Un grande insegnamento per chiunque abiti la nostra Era – social, selfie, io, io, io nei miei migliori 15 secondi – anche un verme può subire un esilio, anche la lista degli animali, e le Farc, anche le spine dei porcospini, diventano parte del racconto più grande che, Pizano sa e ci dice, è molto più vasto, e interagente, e dissipato, e molteplice, di quanto noi si sia in grado di vedere. Ed è un noi sovraesteso, che ci comprende tutt1 (tutti gli uno dell’unico grande Uno che altri non è che il pianeta Terra).

“Il grande frastuono” di cui scrive Roy Chen, invece,  è il tempo multiplo e complesso che sottostimiamo, troppo inclini a capire una cosa per volta, sennò ci confondiamo, troppo fatto di molte sostanze, il tempo, per essere considerato in base-ore uomo. Non in senso marxiano, di ore lavoro, ore impegno, ore imputate alla realizzazione della performance giornaliera, no.
Chen trascrive (è il caso di dire, con uno stile vigoroso e duttile) le vite di Gabriela, Noa e Tzipora, tre donne che non sono pizie, ma oracoli, ognuna a suo modo.
Il tempo si incanala a ogni pagina, si fa sottile, passando dal violoncello di Gabriela, che compie quarant’anni, alla pacifica oasi di solitudine di Tzipora, alle voci da dentro che ci spingono a credere, compiere gesti, attimi, scomporre le nostre vite al solo fine della volontà della sopravvivenza. Che si creda o no in senso fideistico, tema caro a tutte le religioni monoteiste, Chen – nato a Tel Aviv nel 1980, scrittore, traduttore e drammaturgo, la cui famiglia di origine paterna arrivò in Palestina nel 1492 a seguito dell’espulsione dalla Spagna, la famiglia materna dal Marocco nel XX secolo – inquadra e scalfisce le tradizioni del suo popolo alla prova della Storia in questo nostro presente, tentando la via dell’ironia: “E’ pronta a scommettere che negli altri stati i bambini non hanno come compagni di banco Gesù, Thor o Odisseo” (un escamotage riuscito, un po’ come aveva già fatto qualche anno fa, con il suo irriverente romanzo, Il lamento del prepuzio, Shalom Auslander – il cui cognome tradotto sta per “straniero”: quando si dice il destino nel nome ndr).

E poi ci sono i cibi, l’antica tradizione culinaria ebraica, i calici di vino rosso che tinge il vetro, le teglie di gefilte fish in frigo, le occasioni per festeggiare e le api che sussurrano alle profetesse, tutto è femminile nel mondo nuovo che verrà, la guerra la fanno gli uomini, le donne mettono a posto il caos e ordinano il frastuono della vita, finché ancora il Tempo stavolta con la maiuscola “il grande scultore” si setta e coordina con l’intelligenza, la capacità oracolare delle tre donne, che in fondo sono una, per dirci la verità piena che non conosciamo. Un segreto che si cela sotto i battiti, dentro al pozzo fondo della grancassa dei corpi, tra il costato e il cuore, pulsazione probabilmente vicina ai 180 bpm. Non si capisce la Vita se non si comprende l’intelligenza emotiva che gira il mondo, individuo per individuo, ciascuno diverso eppure quanto eguale.
Roy Chen sarà al salone del Libro a Torino il 16, 17 e 18 maggio e poi a Milano il 19 e 20 maggio al Teatro Parenti.