3 libri a – 2 giorni dall’elezione del n#1 Usa

Forse è un caso che la data delle prossime elezioni presidenziali americane avvenga nella notte del prossimo 5 novembre, data storica che per gli appassionati di Storia, e di fumetti, rimanda alla “Congiura delle polveri” tentata da Guy Fawkes, sul quale l’autore Alan Moore costruì il suo V per Vendetta, graphic novel divenuto film (sopra lo spezzone in cui V parla alla nazione) e, negli anni a venire, emblema degli Anonymous. E v’è un rischio sopra tutti, in questi e nei prossimi giorni, evidenziato dagli analisti di tutto il mondo, e in qualche modo evidente ed eclatante allo stesso modo: il rischio che vengano minate le basi stesse della democrazia e che a farne le spese saremo, direttamente, noi. E per capire di chi è la responsabilità? Basta solo guardarci allo specchio… Perché se da un lato inorridiamo per le morti dei bambini, con l’altra mano agiamo l’elezione di politici corruttibili e corrotti, smargiassi e falsi, eversivi quando non dichiaratamente razzisti, xenofobi, che rappresentano un mondo fossile giunto alla fine che, però, proprio in virtù della loro virulenta venefica azione d’esecuzione vociferano di brogli e mistificano la realtà con la bugia, avverando una volta ancora quella modalità di bis-pensiero che Il Grande Fratello di George Orwell aveva già preconizzato alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Se è vero che la politica internazionale si è dissipata in questi anni di populismi e “crisi di sistema”, è altrettanto vero che gli Stati Uniti continuino a rappresentare criterio e misura di ciò che attende l’Occidente da un punto di vista geopolitico e degli stili di vita, nel prossimo futuro: fuoriuscita dall’economia dei combustibili fossili, lotta alla diseguaglianza, vita nelle città, lotta sociale tra fasce di popolazione (nuovi e vecchi poveri), ruolo dell’informazione e dei social media, guerre e Intelligenza Artificiale.

Il libro di Daegan Miller, Quando il ramo si spezza (Black Coffee, collana “This Land”, € 18, trad.it. Sara Bresciani) compie un viaggio alle origini del ‘sogno americano’: sono antischiavisti, utopisti, uomini e donne, fotografi in dissenso con con la costruzione della Union Pacific Railroad che distruggerà non solo territori ma anche la popolazione indiana. Smania di possesso, usurpazione, distruzione del paesaggio, genocidi compiuti in nome della conquista. Le immagini dei coloni (termine quanto mai attuale nel mondo di questi giorni ndr) sfilano – assieme alle immagini d’epoca – lungo le oltre 300 pagine di questo saggio narrativo, Miller ha la buona intuizione di svelare, svellere, il trionfo del capitalismo dispiegato a danno dei territori, gli stessi territori che oggi, in crisi d’identità, rischiano di portare al potere persone indegne di rappresentare l’unica vita che vive: “terre un tempo ricoperte di foreste e ormai ridotte a un oceano di rami spezzati”, siamo noi, nei giorni, che possiamo ancora fare di quei rami una comunità.

Due coast-to-coast – da New York a Portland (Oregon) l’altro da New York a San Diego (California) – e se è vero come sembra che le prossime elezioni presidenziali americane si decideranno in Pennsylvania, il merito del libro di Maria Teresa Cometto e Glauco Maggi, Qui non è Nuova York, 100 giorni nell’America profonda (Neri Pozza, € 20,00) è quello di tracciare alcune delle rotte di scollamento tra politica e gente comune che, negli Stati Uniti, rischia di portare al tracollo un sistema di bilanciamenti e contrappesi lungo secoli.
Lungo 32.000 chilometri, 17 parchi naturali, attraverso El Paso e le frontiere col Messico, là dove con un “muro” vorrebbe arginare il flusso dei migranti (compreso chi scappi dalle guerre e dai disastri annunciati del clima) lungo le rotte meno turistiche che arrivano al Michigan dei laghi, sino all’Alabama dei linciaggi razziali. Una guida scritta da due giornalisti e autori italiani, marito e moglie, cittadini americani dal 2018.

I 150 acri – circa 60 ettari – del titolo del libro di Melinda Moustakis (Blu Atlantide, euro 19,00, trad.it. Ilaria Oddenino e Marco Bianco) sono quelli delle terre sulle quali Marie e Lawrence decidono di andare a vivere, praticamente da sconosciuti, quando si innamorano al Moose Lodge di Anchorage, Alaska, 1956.
Moustakis scrive una storia intima e potente, alla ricerca dello “spirito americano” dell’avventura e della conquista, e della correlata resistenza e adattabilità alle cose della vita: mediante l’utilizzo di una narrazione scarna, che parte dall’individuo – affrancarsi dalla propria miseria umana, trovare il proprio posto nel mondo – l’autrice ha vinto il Flannery O’Connor Award, una storia d’elezione (è proprio il caso di dirlo a 2 giorni dal voto) in grado di farci comprendere come l’uomo sia passeggero sulla Terra, mentre le lande selvagge restano.