Ne riesco a scrivere solo oggi, che è l’Earth Day, la Giornata della Terra 2024 così possiamo aggiornare le foto che pubblichiamo sui social e sentirci a posto con la coscienza, meglio se rigenerata.
Fanno tutti prodotto.
E’ così che ci laviamo le coscienze. Bianche pulite, che virano al verde, al green. Le aziende pagano, i social rimbalzano contenuti, l’indipendenza appena un accessorio su un file .xls. Un’estensione al più contemplata nei plan, il business, le batterie elettriche, si torna al gasolio e i carburanti fossili, le testate dei missili che hanno una scadenza e per questo devono essere usate, economia della ricostruzione, dopo la guerra, economia di pace cosicché tutti possiamo andare a fare le vacanze.
Sì oggi piove e il clima interiore non è migliore.
Meglio pensare alla musica. Emily Underhill in arte Tusks (qui il sito dell’artista) è appena uscita con il suo terzo album, Gold One (Little Independent Records – Bertus).
Synth e progressioni di un velo squarciato. La verità questa utopia, questo continente disaffine alla massa che stiamo diventando chiusi dentro i filtri di un mondo in cui va tutto bene e siamo tutti vincenti e sorridenti.
Tusks invece prende fiato, al più, nessuno è salvo, così i testi si fondono come ghiacciai all’ambientazione definitiva di un mondo che guarda al proprio collasso sui maxi schermi. Notando la pettinatura dei concorrenti, dimenticando che non c’è posto per tutt3. Forse solo per i potenti. Ma per il momento possiamo ancora parlare del caro benzina e dei soldi che non ci sono, e delle pornostar portate in Tribunale da tycoon biondissimi, pronti di nuovo a dare l’assalto a Capitol Hill. Tra qualche settimana ci saranno le votazioni europee, poi a novembre le presidenziali Usa, in mezzo gli Europei di calcio, il pericolo nucleare e le dichiarazioni dei politici su, ancora, altre guerre imminenti. Che faranno debito di vite ovviamente tra la povera gente.
Come c’entra tutto questo con Tusks? Quanto un’artista è immersa nel flusso di suoni del presente? Ascoltando quest’altra Emily – come la Dickinson, come Brontë – “comin’down… don’t you” è così che si cade, e ci si fa male, e se si è capaci ci si rialza, senza dirlo a nessuno, senza per forza socializzarlo, to share, imperativo del presente: Siate felici, è un ordine!
Tusks affonda, scende nelle cadute che siamo, la track Strangers, entra nei processi della memoria (la traccia 6, Read the room), la dedica delle parole, il fiato dei filicorni, termini desueti per un mondo sgretolato. L’artista inglese ci porta di fronte alle porte schiuse di un vetro infranto, accordata al vento che sottile si insinua nelle fenditure. Siamo crepe, che non si riconoscono neppure allo specchio, come potremmo fare a riconoscere l’altro, gli altri, da noi? La condanna è l’isolamento, la vittoria dei muri, le dighe che contengono e noi a tirar fuori, se riusciamo, ossigeno da poche bolle subacquee.
C’è poesia eccome in questa artista, talento dell’elettro-indie britannico (paragonata spesso a Sigur Ros, Wolf Alice, My Bloody Valentine) musicista minimale, atmosferica, Tusks conosce gli strali del cuore e la dissolta percezione delle cose, gli oggetti che conosciamo, Gold l’oro in controluce dei giorni.
Il disco di debutto, ‘Dissolve’, prodotto con Brett Cox (Alt J) ha ottenuto un grande successo di critica mentre il successivo ‘Avalanche’ ha portato Tusks nel mondo del grunge e dello shoegaze. Con questo terzo disco Tusks si accredita dunque come uno dei suoni più riusciti attorno al nostro presente incauto, il futuro inespresso che attendiamo, annidato chissà dove dentro le maglie del prossimo tempo. Che starà a noi, nel bene o nel male, che sia il tempo dei nemici o delle risposte. Dentro la macchina del tecno-capitalismo finanziario, lo stesso, ci sentiremo un po’ meno soli. Sono appena canzoni, del resto.