Amazonia, Perù – reportage blogdiary parte seconda, o prima e mezza o


Il tempo (atmosferico) non esiste. Te ne accorgi quando da 34°C umidità al 90%, vicino alla selva amazzonica, polvere sulle strade, ti sposti ancora e sali di altitudine, e però scendi, nella geografia che compone il mondo. Dal centro del Perù ora sono sceso a sud, in direzione della Bolivia.

Prima di andare via da Pucallpa però ho fatto un giro nei ‘barrio’, i quartieri poveri accanto all’aeroporto, nella zona grigia che divide i popoli indigeni che sono ancora prossimi alla foresta e tutti gli altri, che invece hanno scelto la città: studenti, vecchi che camminano o aspettano agli angoli delle strade, molti cani in giro, spelacchiati rovistano nella spazzatura che, prima o poi, verrà incendiata in uno spiazzo. Ma anche molte ragazze, e donne, che guidano le motokar – specie di tuk tuk – rispetto alle macchine, sono il 90% dei mezzi di trasporto (insieme a moto di piccola cilindrata).

Le tortillas qui sono frittate con le verdure chiuse come se fossero piadine, con dentro il riso bianco, e una salsina piccante, con dentro anche il limone, di cui non ricordo il nome, sebbene rammento avesse molte “s”. Il succo di papaya invece sa di vaniglia, un po’ stucchevole in effetti.
Prima di andare via ho voluto vedere i colori dei murales che gira tutto attorno all’Istituto d’arte della città, forse ho trovato il volto per la mia eroina indigena, o forse ho solo iniziato a pensare a un “noi” collettivo che comprende tutto.

Solo questo ho pensato da 10.000 chilometri dall’Italia, dopo aver letto dell’uccisione dell’orso M90. Siamo una specie ottusa, che pensa solo al proprio benessere, e non ci accorgiamo che siamo ospiti, e che uccidere non è mai stato un passatempo in natura, ha uno scopo preciso, è la matematica della sopravvivenza.

Nel pomeriggio di ieri sono arrivato a Cusco, ex capitale del Paese, mitica città dell’Impero Inca che noi europei, bianchi, occidentali abbiamo sterminato in nome dell’appropriazione indebita, previous accumulation, la chiamano così gli economisti, la “ricchezza primitiva” che ha permesso l’attuale scenario geo-politico mondiale.
Cusco oggi conta quasi un milione e 300mila abitanti, mi dice Ilario, mentre con il suo taxi mi porta in un piccolo ostello, Casa Inkas, a due passi dalla centrale Placa de Armas, gestito da sua figlia piccola, Angi, che quest’anno si iscriverà all’Università (a 18 anni, la secondaria infatti in Perù finisce ai 17 anni).

Cusco appare placida, tranquillamente posata su un pianoro circondato da catene montuose, siamo a 3.000 metri di altitudine e la temperatura oscilla tra gli 8°-18°C, senza umidità, ma la pressione dell’altitudine la senti già alle tempie, per questo a colazione mi danno focaccine e caffè americano, burro e marmellata, e accanto allo zucchero c’è il cestino con dentro le foglie di coca, le quali se masticate tolgono la sensazione di vertigine data l’altezza.

Ho visto la città solo di notte, scivolando tra le fisarmoniche sotto i portici spagnoli, i bow window e l’ampiezza di una città per niente ostile (a parte alcune vie, presenti in ogni dove) ma, al solito, per vedere il bello basta salire. Le luci attorno alla città infatti sembrano lucciole nella notte.
A cena il Pucara Café, tavoli di legno, fuori dal giro turistico, pochi avventori, due tavoli con una ragazza giapponese e una coppia, un signore anziano che arriverà dopo di me. Ho assaggiato la bistecca di alpaca, lo confesso, i chicchi di mais grandi come una pallina di vetro, patatine e succo di limone.

Ho capito che, seppure la Maremma rema contraria, non voglio più pensare di essere onnivoro, pertanto la scelta (l’alpaca “dovevo”, essendo qui, dura ma gustosa) la scelta sarà di prevalenza vegetariano. Ma non importa. Ora è mattino, e sebbene per oggi sia prevista pioggia, la prima tappa è il Templo del Sol Coricancha, chiamato Inti Kancha il tempio più importante dell’Impero Inca, dedicato a Inti, il Dio Sole.