È notte e le luci brillano, rosse arancio verdi, provengono dalle case, restituiscono intersezioni di vite. V’è, nell’aria, un chiarore soffuso. Luminosità gialla, e crepitio di fiamme. Si parla di cose frivole a tavola d’arance candite e dolci di miele, e noci scrocchiate, aperte come preziose casseforti. S’accumula, pasto dopo pasto, la nenìa andante delle raccomandazioni. Scende la neve agli angoli delle strade del mondo. Gaza, Lettonia, Perù. Siamo sotto lo stesso numinoso presente, eppure.
Non c’è niente di tutto questo e pure lo racchiude tutto, il fortunato walkabout d’esordio della giornalista messinese Giuseppina Borghese, A Manchester con gli Smiths (Giulio Perrone Editore, 15 euro).
E che a guardarlo in controluce questo libro di viaggio-diario di bordo musicale- contenitore ci si trovino, appunto, mai per caso, ma per peripatèsi (quasi fosse una chissà che forma di magia), dichiarazioni d’amore, filtri del tempo.
Non è la prima volta che la non fiction riesce a restituirci alla finzione di vivere (come cacciatori di immagini, Valeria Luiselli e il suo Archivio dei bambini perduti).
Ti aspetteresti ne parlassero i giornali, la televisione, i grandi network, le aziende, finanche le banche o i decreti legge dell’ultimo minuto prima della fine dell’anno. E invece, al solito, a parlare delle cose più importanti ci si arriva quasi per caso, magari al tavolo di un pub, con davanti noccioline e una pinta di birra, e musica in sottofondo ovviamente inglese, ovviamente degli Smiths: “Questo libro parla così tanto di lavoro che la mia idea per la copertina era la statua ucraina di Engels” – racconta Borghese – “Manchester è una città che, per tutti, ha segnato l’inizio del sistema capitalistico, il sistema della fabbrica, il lavoro per gli operai, e ha mantenuto nel tempo quell’estetica, a distanza di anni pur se gentrificata l’anima resta quella”.
Andiamo lontano per sperare di sentir parlare seriamente di certi temi e poi, come sempre, ci pensa qualcuno che ha visto qualcosa che era, lì, davanti a noi, da sempre. Solo che bisognava alzare il velo, i residui di carbone: “Volevo che questo libro parlasse di temi seri, come il lavoro e Manchester, o che anche parlasse di quella certa aria “anti lavoro” che si è respirata qui, per molto tempo. Ho cercato di farlo con gli occhi di una persona che girava per la città, alla metà degli anni Ottanta, con gli Smiths” e che però allo stesso tempo, questo senso “sospeso”, questa vita mancuniana continua l’autrice: “Risuonasse con quella che era stata la mia vita milanese (uguale a quella di chissà quanti altri) fatta di mille lavori, mille traslochi, insomma che questo libro parlasse la lingua della precarietà della generazione che vive nella nostra società, per questo il tema del lavoro è centrale per comprendere certi aspetti del legame musica-società, come lo è il parallelismo tra il movimento punk e l’estetica di quella parte del Regno Unito, che odia il lavoro (e la società che abbiamo prodotto, forse ndr)”. Oggi: “Gli Smiths parlerebbero della fatica del lavoro intellettuale, lo stesso che provo io da quando ho iniziato a 19 anni, questa “precarietà degli affitti” che investe l’intera vita di ognuno di noi, le miserevoli bugie di cui il cantante Morrissey parlava in Miserable lie: siamo noi le persone che vivono negli scantinati della società, gli Smiths oggi parlerebbero a questa precarietà, ai lavori a cui sono costretti coloro i quali hanno scelto l’arte nella vita e si trovano oggi con risorse scarse, di cosa sia vivere una vita degna, scriverebbero di aspettative di vita, così come lo intendiamo noi occidentali, il nostro desiderio di viaggiare”.
Manchester, dopo Milano e Messina.
Il luogo dell’anima per Giuseppina Borghese, 37 anni, nata a Barcellona Pozzo di Gotto, Messina: “è proprio la periferia per antonomasia”, specifica: “La provincia di passaggio su un’isola (tra le ‘capitali’ Palermo e Catania), quando nasci alla periferia dell’impero questa visione ti si incolla addosso, ti costituisce, determina il tuo modo di vedere le cose: ricordo l’entusiasmo, quando arrivai a Milano, sotto il mio naso succedeva “tutto”: era quello il mio altrove, che iniziò a risuonare in me nelle canzoni degli Smiths, ascoltando “I’m not happy and not sad” – come cantava Morrissey nella canzone This Night Has Opened My Eyes – ecco ascoltando quelle canzoni, continua l’autrice, mi sentivo anch’io in quella Manchester, negli anni 80, con gli Smiths”.
Durante le presentazioni che sono seguìte alla pubblicazione del libro: “Ho trovato lettori e lettrici che, come me, agivano una sorta di riconoscimento in quella perifericità, è lì che riesco a scrivere, è lì che trovo la lucidità per guardarmi attorno. Per quel che mi riguarda solo chi viene dalla provincia, e da luoghi lontani dal ‘centro’, può guardare al mondo con sospensione“.
A Manchester con gli Smiths è un inno alla delicatezza, una pausa dal rumore di fondo dei giorni. Dall’arroganza che urla e strepita, e fa a botte. Borghese riesce a delineare un tempo e un luogo di protezione: “Di esistenza e resistenza”.
Come quando scrive dello Star&Garter uno dei pub ‘autentici’, nonostante il nostro presente globalizzato: “Di chi vuole mantenere la propria dimensione identitaria, culturale”.
Per questo l’autrice scrive dell’esistenza (invisibile?) di tutte quelle persone ogni primo venerdì del mese si incontrano alle serate Smiths, una grande famiglia che si incontra in giro per l’Europa, succeda quel che succeda in questo pazzo pazzo mondo, per l’autrice di questo fortunato esordio: “La musica è apertura al mondo. Nel caso di A Manchester la chiave è stata proprio il viaggio, ed è il mio modo di – poter – fare letteratura: osservare la vita spontaneamente, raccontarla per emulazione e re-intrepretarla (non è da elaborazione)”, come nei testi delle canzoni qui: “Mi interessa di più la riflessione, proprio come accade nei live o se vai a una manifestazione, in cui incontri individui, ecco per me quello è fonte di grande ispirazione”. La presa diretta, il materiale umano, la mistica della materia. Il grado zero dell’ispirazione.
Tristezza violenta e Disallineamento, due concetti che affiorano dal testo.
“La tristezza è un sentimento che prova chi viene dalla provincia e per questo vive marginalizzato nella, e dalla, società: sperimenti allora la condizione di impossibilità a vivere come vuoi, la violenza in questo senso è la conseguenza di questa frustrazione”. E la Manchester degli Smiths in questo senso: “Era una città molto frustrata, che si impoveriva sempre più, dove la classe media perdeva via via spessore, nella quale erano all’ordine del giorno soprusi e perdite di diritti civili, come accadde durante il governo della Thatcher che abolì la clausola 28 (che tra il 1988 e il 2013 vietava la “promozione dell’omosessualità” in tutto il Regno Unito ndr).
Ecco allora che nel libro di Borghese, meglio che nei libri di Storia o sociologia, i temi cari alla band inglese e del suo cantante Morrissey in particolare con i suoi testi, emergevano la tristezza violenta dei marginalizzati, compresi gli auto-esclusi, un tema – il ‘tirarsi fuori’ – che spesso fa da fil rouge in chi ascolta gli Smiths.
Morrissey, che Borghese incontra a Roma un giorno per caso: “Rappresenta poi il disallineamento“, specifica l’autrice: “Nel suo essere un personaggio discutibile, perfino osteggiato, contro, se penso al suo recente sostegno alla Brexit, alle tesi di alcuni partiti di ultra destra, cosa c’entra con il distaccato giovane ventenne di allora? Per me invece è rimasto coerente, a se stesso, anche nei primi album solisti, come Bengali in Platform in cui dice ai bengalesi di ‘Starsene a casa loro’ e lo fa perché in fondo ha nostalgia della cara vecchia Inghilterra, lo stesso queste posizioni oggi gli costano la pubblicazione dei suoi ultimi lavori: i live di Morrissey sono tutti sold out eppure lui continua a essere fuori dalla società, da certi ambienti, è un disallineato appunto: il suo pubblico è invecchiato con lui, si potrebbero leggere alcune sue posizioni come populiste, e poi però c’è un altro pubblico che ne apprezza le qualità di paroliere della ‘Old England’ in grado di mettere in forma il Produci, Consuma, Krepa con una carica poetica che va a raccogliere ben più del politically correct, ma punta alla letterarietà, quell’essere romanticamente non politici verso il mondo”.
Guardare senza pregiudizi. Ascoltare la musica del mondo. I segreti del silenzio. Leggere A Manchester con gli Smiths di Giuseppina Borghese è attendere che si illuminino ancora le candele di Natale. Anche e soprattutto nei giorni dopo. Dopo una perdita, dopo un abbandono, una liberazione.
Please, Please, Please, Let Me Get What I Want cantava Morrissey, probabilmente, nella più famosa canzone degli Smiths. Come chiuderebbe oggi quella frase l’autrice: “La notte del 23 dicembre stavo ascoltando un concerto in chiesa, a un certo punto ho avvertito una sorta di malinconia, e mi sono chiesta perché? In fin dei conti ho avuto un’infanzia felice”, così prosegue Giuseppina Borghese: “Ho capito la ragione: in tutte queste canzoni si racconta di case calde e regali da scartare, mentre sappiamo che in altre parti del mondo c’è una realtà della vita diversa, penso alle bombe su Gaza di questi giorni, che sono una grande metafora del nostro tempo. Ecco allora che l’unica canzone che mi dà pace è Stille Nacht, scritta da un sacerdote di Salisburgo (Josef Franz Mohr), che parla invece di una notte di silenzio, e quiete. E del riuscire ad avere una tregua – dai problemi, dall’essere sotto pressione, dallo stare sotto i bombardamenti -. Ecco, questa è la parola che auguro a tutti”. Tregua come ripresa, suoni di vite agli angoli d’ogni strada.