Blogdiary foreste del nord America 4


Stamattina ho visto un pezzo dell’America della provincia. Ne avevo già avuto prova ieri sera al Diner, un locale perso negli anni Cinquanta con le cameriere – che sembravano – appena uscite dall’album dei Supertramp, Breakfast in America.
Un luogo piuttosto incredibile, ancora di più in questi giorni in cui ci si approssima ad Halloween, in maniche corte.

Per strada molti cadaveri di animali: un cervo, una marmotta, forse un altro paio non identificati.

Arriviamo in quello che fu il laboratorio di George Nakashima, immerso nel verde, casine di legno colorato, erba bassa, un pick up parcheggiato fuori, sabba di streghe e alberi, alberi ovunque, per questo anche il maestro giapponese venne folgorato sulla via della Pennsylvania. Ora il laboratorio è diventato, col tempo, una fondazione e un exibition centre, padiglioni che si alternano a ciliegi, e migliaia di pezzi di alberi tagliati, alcuni vecchissimi.

L’essere umano è incredibile dà un valore alle cose solo quando muoiono. Vale per i ricordi così come per gli alberi.
Una foresta è solo una foresta ma se tagli un albero, per qualsiasi ragione (sta per cadere, è troppo vecchio, marcio) dopo il taglio diventa legname e questo, soprattutto se l’albero in questione è “antico” si trasforma in valore. Qui nella casa di Nakashima, ora gestita anche economicamente, da Mira Nakashima, figlia di George.

Un tavolo può arrivare a costare anche 180.000 dollari statunitensi, ci possono volere 3 anni per la consegna, a ogni modo è Mira che tratta il prezzo e tutto quel che ruota attorno al prodotto.

George si era laureato a Washington negli anni Trenta di quel ‘900 che avrebbe dovuto portare progresso e invece, due guerre mondiali.
In uno degli anfratti delle sue piccole pertinenze, spuntano una pickelhaube e un elmo, una statua dall’elegante profilo orientale e un bagno bellissimo, quasi come quello che trovano le bambine con il loro papà quando vanno a prendere possesso della loro casa nell’anime Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki.

Guardando però le mani del falegname artista Nakashima non si può non pensare che, forse, sarebbe meglio tornare lì.

La sera verso Philadelphia, e sarà la ora tarda, o le chiacchiere in un mio improbabile spagnolo con Mike di Ahec Europa, mi viene in mente la struggente canzone di Bruce Springsteen, Streets of Philadelphia, o “Phila”, come si legge qui nella cartellonistica stradale.