Sveglia alle 6:30 del mattino. Cielo rosa cremisi. Andiamo a incontrare Tom L. Richard, Ph.D, Professor Emeritus alla Penn State University – ateneo, per meglio dire college diffuso, con tanto di eco-auditorium incluso che poi andremo a visitare – e Jonathan Geyer, Executive Director del Pennsylvania Hardwoods Development Council.
Si parla della possibile soluzione, la cosiddetta negative emission, prevista per il 2060. Mancano solo 37 anni. Niente: “Le persone non vogliono sentir parlare di sacrifici”, esordisce Richard, un approccio che appare cinico forse ma invece intercetta un sentire che va avanti da decenni.
Nelle aziende così come nei governi. Tutti a stabilire il progresso però senza pensare che c’è sempre un prezzo da pagare, e finora quel prezzo lo ha pagato la Natura. Fino ad adesso (mentre siamo qui leggo della scossa in Campania, arriva l’eco di notizie quando sei fuori casa, già ma cosa è davvero la parola “casa”?).
La visita alla Penn State dimostra ancora una volta come in tutto il mondo ormai si parli di come la tecnologia e la tecnica possano aiutarci a uscire dalla più grave crisi ambientale che l’umanità abbia mai affrontato nella sua storia.
Esiste davvero la possibilità di una carbon negative economy? Consumare meno energia, rendere più efficienti i processi. Dissipare l’entropia. Ed è vero che le biomasse saranno il futuro? Quali, ancora, saranno invece i carburanti non fossili? Tra 10 anni, 20, 30. Quando i miei figli avranno la mia età di adesso. Non so perché chiudo gli occhi e vedo davanti a me le meravigliose, incredibili, immagini del film Interstellar di Christopher Nolan: “Usare le foreste in chiave di attività multigenerazionale”, chiude il Professor Emeritus. E io penso a Spinoza, il sub specie aeternitatis, siamo tutti parte di un tempo più lungo, che ci sopravvive, e quello che facciamo ora ha già avuto ripercussioni nel passato, lo avrà nella costruzione del domani.
Nel pomeriggio, incontriamo il proprietario della Lewis Lumber Products che detiene circa 16.000 acri (circa 6.475 ettari, ovvero circa 65 km2) una delle più grandi proprietà della Pennsylvania, la storia è sempre la stessa: antenati che hanno tolto la terra ai nativi indiani, cumulato ricchezze, la previous accumulation tanto cara al capitalismo coloniale che ha fatto grande l’Occidente che conosciamo oggi.
Eppure, complice l’aria e il sole di traverso, che cade obliquo su queste immense foreste del nord America, non si può non pensare che esista da qualche parte una divinità, un Manitù, una forza panteistica che accolga lo spirito del mondo e lo infonda nei paesaggi spettacolari di queste valli. Mentre il sole scende a ovest, il freddo di ottobre taglia il viso, odori ed essenze di un mondo-foresta sconosciuto quanto inebriante.