Lago di Tiberiade. Fin dal risveglio percepisco che c’è qualcosa che si muove nell’aria. Un vago senso della magnificenza. Che non sta nelle parole dette né in quelle scritte. E forse è per questo che alcuni uomini e donne preferiscono il silenzio. Come diceva Pitagora: “Impara a tacere. lascia che la tua mente, quieta, ascolti e impari”.
A colazione le tracce si espandono. Davanti a me, ai due lati di uno stesso banco, due uomini scelgono il cibo. Quello a destra porta la kippah, il copricapo ebraico, dall’altra parte – sembrano ignari l’uno dell’altro, non per noi che li guardiamo – un uomo con la barba scura e la kefiah araba, e mediorientale.
Questo anche è l’uomo di fronte a ciò che mangia. C’è un po’ di Feuerbach che si consuma incosciente di fronte ai miei occhi. Ma sono loro. Io non faccio niente. Non voglio vedere per forza lo straordinario, eppure è lì sotto i miei occhi, penso “fratellanza” nonostante la guerra, le catastrofi ambientali, la mancanza di futuro, la solitudine che tutti ci attanaglia.
Mi incammino verso il mare. Passerelle di legno, canneti e giunchi si affacciano dalle polle. Qualche uccello migratore, un ibis pennellato diritto su un ramo.
I miti e le leggende nascono così. Dalla poesia di certi attimi assorti. Le mani di due pescatori che si stringono. In silenzio. Poco dopo l’alba, sotto un cielo velato.
Moshe arriva dopo la camminata, non sulle acque né dopo aver studiato le secche delle maree. Ha il volto rigato dal tempo, gli anni quando è così li vedi a strati, come pietre che per troppo tempo sono state lì per cadere e invece sono ancora tutte in piedi.
Nulla si sgretola nulla si distrugge tutto si scopre. E’ così che Moshe e suo fratello Yumi 40 anni fa, archeologi pescatori, hanno scoperto una nave seppellita dal tempo. Gli scavi hanno riportato alla luce la chiglia e il fasciame, 12 tipi di legno, dal sicomoro ai pini al cedro.
Era una delle navi degli apostoli di Gesù? Era una delle navi della parabola della moltiplicazione?
Le storie degli uomini sono così, creano mondi. E’ così nel pieno del kibbutz Ginosar sul Mar di Galilea, dopo l’arco benedicente c’è il museo dove è conservata la barca di Gesù.
Oggi è una giornata di salita, e discese. Saliamo verso Gerusalemme. Sfilano i paesi in territorio israeliano, sotto le alture del Golan vedi la Giordania, più su il confine con la Siria.
Torrette di controllo ovunque, presidiano i confini. Sfilano i paesi e i nomi collegati alle parabole, siamo già sotto il livello del mare. Andiamo verso il fiume Giordano, le acque sono calme sotto gli ulivi, ci sono poche persone in questa bassa stagione. Solo una donna si azzarda a entrare in acqua. Le iscrizioni sul fonte battesimale sono in tutte le lingue. E anche se non si è credenti, si avverte il sacro di cui pure parla Heidegger.
Andati via dal Giordano lungo le strade che portano in Samaria, ai territori occupati, città arabe e città ebraiche ai lati del deserto, che qui comincia ad affacciarsi. E pensare che al posto dei gate di controllo, delle divisioni tra gli uomini, che pure sono così facili, basterebbe la buona volontà dell’accettazione dell’altro. I musulmani a Gerusalemme ora sono il 40% della popolazione, la città amministrativa di Israele ha più di 800.000 abitanti. Svettano le tre torri sulle colline, si fa notte. Arrivati in albergo si sentono al vespero i canti dei muezzin.