L’onda di Vollmann che sale e scende


Prima o poi ci prenderà tutti, l’onda di Vollmann. Che siano i cambiamenti climatici, l’inflazione, il gas, i prossimi combinati disposti tecnologici, la siccità, la politica, il populismo, la nera onda che riemerge, e si affaccia: “Il Male non scompare, attende”, come dice Lady Galadriel, la dama bianca del Signore degli Anelli – Gli anelli del potere nella serie più costosa di tutti i tempi (un film di 50 ore ndr), in questi giorni in streaming.
E così, questi Pensieri su violenza, libertà e misure di emergenza, non poteva avere sottotitolo più emblematico, edificante, torsivo, questo saggio di William T. Vollmann, nato a Santa Monica in California nel 1959, una delle figure più emblematiche della cultura ‘understatement’ americana degli ultimi trent’anni.
Un’opera monumentale che si prefigge di inchiodare la nostra razza, unica, umana, alla responsabilità delle scelte, le prossime, che porteranno l’umanità tutta in avanti o indietro nel tempo finale del Doomsday Clock, il tutto che accade mentre il Cile vota di nuovo la vergognosa Costituzione del dittatore Pinochet, i venti del populismo con le vene al collo soffiano sull’Italia e su Europa e la marea degli ultimi dinosauri pettinati – blondie – negli USA aizzano gli emarginati all’eversione contro i presidenti in carica, il potere, l’FBI, la grazia poetica del Novecento perisce sotto il secolo brevissimo dell’intelligenza artificiale.
In questa nuova edizione di Come un’onda che sale e che scende (minimum fax, 986 pagine, 25 euro, con una nuova introduzione dell’autore, traduzione Gianni Pannofino), Vollmann alza il velo sulla costituente dell’essere umano: la violenza.
Aletheia per gli antichi greci significava “svelamento”, verità lo tradurremmo oggi, semplificando il concetto, “dischiudimento” potrebbe essere una traduzione approssimata.
Vollmann cerca di schiudere il significato della sopraffazione, disvelare la lunga linea retta della violenza dell’uomo sull’altro uomo, in una monumentale rincorsa all’indietro e in avanti, anzi di rising up and rising down, Vollmann indaga il presente: la guerra russa e l’invasione dell’Ucraina, il narcisismo delle leadership, il pericolo e le derive neo-imperialistiche di ciò che un tempo furono le Nazioni, attraverso la lente di Socrate, e di Orwell, la critica e la distopia, l’autore ci accompagna in queste mille pagine sotto il pensiero ctonio del privilegio bianco, edificato sulla “morte inevitabile; e poi femori a schiere, ossa su ossa”, l’autore americano pronuncia l’unica parola impronunciabile della contemporaneità: osa l’utilizzo, e dichiara la banalità della Morte.

Change The Channel, 2020 (c) Sam Heydt

Oltre Hannah Arendt e Sigmund Freud, in Come un’onda che sale e che scende Vollmann intuisce uno degli arcani superiori del genere umano, la immane documentata faticosa rimozione della fine.
Il nostro presente, noi stessi, tutti, non ci rendiamo conto della nostra finitezza, perché se lo facessimo dovremmo ammettere la perdita, la nostra cancellabilità, il fatto che la nostra presenza sul pianeta non è che un accidente, un caso, fortunato o caotico, un atto di superbia contro le divinità “un’altra croce di ossa”, l’assedio al comune pensiero l’autore lo compie in maniera caustica, eviscera, nuovo aruspice, neo-oracolo, Vollmann si riduce alla dimensione della nostra coscienza, un barlume prezioso e lontanissimo che crocifigge alle nostre responsabilità quotidiane, la smania di conquista, la sopraffazione, di nuovo il Kosovo, la Guerra Fredda 2.0 | 3.0| 4.0, evoluzioni di sistema di un unicum che non cambia mai, il Potere con la P maiuscola un nibelungo che ha plasmato la realtà senza mai neppure vederla, davvero: non vediamo mai il mondo, osserviamo solo un piccolo scorcio dal nostro piccolo pertugio, solo una parte del Tutto, uno spiraglio appena attraverso il quale pensiamo, tentiamo di ridurre allo spazio che ci serve per auto-assolverci.
Vollmann si sofferma sui calcoli morali, e il piacere della violenza, scardina i nostri pur miserevoli tentativi di giocare alla vita, senza blandire mai il lettore, si affaccia sulla carneficina operata ai danni dei popoli minori (Cristoforo Colombo, il fascismo, il pescatore che stupra la figlia, calciatori che prendono a martellate donne che non li amano più) tutto è rito, tutto è domanda: cos’è il giudizio?, ci chiede Vollmann il cecchino, cosa saremmo pronti a sacrificare? E ancora: cosa si intende, oggi, per rispetto? Mentre abbiamo sterminato, estinto, animali, piante, una caccia alle streghe continua: i miserabili, i migranti climatici con i quali il mondo cosiddetto “civilizzato” dovrà fare i conti ben presto, altro che difesa dei confini e America First, nessuno torna grande, ci dice il romanziere-saggista, al massimo muore bambino, sotto i proiettili sparati dalle armi vendute al supermercato (in Texas c’è una sparatoria ogni 10 giorni ndr), la neve bianca del nostro candore macchiata per sempre dal sangue degli innocenti: le religioni e la morte di Shinzō Abe, “è meglio morire inermi, senza reagire, da vittime piuttosto che da tiranni” la versione di Gandhi, il punto – asserisce Vollmann nella sua mastodontica macchina d’analisi – è la paura, da Platone ai mostri della deriva tecnocratica, stiamo praticando un seppuku (切腹) il suicidio appannaggio e privilegio dei samurai, esperito oramai in modo collettivo, coscienti del muro che abbiamo di fronte, e pure non riusciamo a fermarci: il Capitale, il denaro, l’accumulazione passata da ‘primitiva’ a eternata: nel nuovo dispiegato Mondo del Successo si concentra sempre più potere economico nelle mani di pochi, è il trionfo dell’oligarchia del brand, la seminale rinuncia all’eguaglianza, e la definitiva separazione dei mezzi dai fini: “Allora, piuttosto che questa lenta agonia, andiamo a schiantarci subito!”, avrebbe suggerito Mark Fisher, prima di suicidarsi a sua volta, con buona pace di chi non aveva capito il punk né gli accelerazionisti inglesi.

La prima parte di Come un’onda che sale e che scende è teorica, filosofia al servizio di uno storydesign che sappia ridurre a poche, falcidianti, immagini che raccontino la nostra Storia con la “S” maiuscola: i re, il popolo, lo schema marxista e la suddivisione del lavoro, il tempo, la proprietà, il capitalismo, i campi di grano ridotti a laboratori per semi ibridi delle multinazionali, la dipendenza economica, proprietà e miseria, il capitalismo, il gioco degli scacchi sul quale siamo solo tutti quanti pedine, la rivoluzione russa, 1914, il primo round mondiale, chi sta dentro chi fuori, se la pensi come me sei dentro se la pensi in un altro modo sei fuori, out, meritevole d’essere cacciato, Siberia, lanciato da un aereo a schiantarsi sull’oceano che tra qualche anno sommergerà tutto, intensificare il terrore, mirare a costruire un nemico, Stalin, il secondo round, il capitalismo, la Russia, chi è l’ape regina, il lavoro il lavoro che compi ogni giorno il lavoro che compi a cosa è utile a chi?
Il registro computazionale di WTV pare inesauribile (Vollmann sta a Come un’onda come in letteratura 2666 sta al tentativo di romanzo definitivo di Roberto Bolaño), così è la spietata lucidità che ci vuole per ammettere il brutto, l’assunzione di quanto (poco) valiamo (rispetto al Tutto), al netto delle assoluzioni, l’onda che sale e che scende compie così un salto mortale: “Avete mai sparato in testa a una mucca? L’avete mai sgozzata, privata delle zampe, scuoiata, eviscerata e squartata per dar da mangiare a qualcuno?”, Vollmann rigira le soluzioni, mistifica, compie una tara delle illusioni: “Vi siete mai trovati come dottori a dover decidere quale tra dieci pazienti verrà attaccato all’unica macchina disponibile?”, la pandemia appena passata, di più WTV l’autore si scaglia contro l’autorità, de-costruisce mattone dopo mattone la giustificazione programmatica delle nostre culture, another brick in the wall, e si | e ci domanda: “Volevo distruggerli o salvarmi la vita?”: chi? Gli ‘altri’, gli immigrati, i poveri, la dispiegata fanteria del presente a caccia di un nemico qualsiasi, datemene uno che non sia me stesso, la vocina di Vollmann è mitraglia e perforazione, è la dottrina che ci siamo imposti per perseguire la nostra felicità a danno dell’altro: le altre specie, il pianeta, chi sta al di là della riva, l’aggredito deve stare muto e zitto mentre la marea cresce, l’onda nera dilaga, e l’assalto alla democrazia a baionette infilza le teste di chi c’era prima, siamo democrazie edificate su ‘tributi, inganni e incantesimi’.
Nella seconda parte, la neo-lingua del presente viene smascherata, Vollmann opera un’analisi semantica, mette in atto|in scena una scrittura a codice criptato, compilando una sequenza di stringhe che sistematizzano, brutalizzandole, tutte le pregiudiziali, i convincimenti, le scale di misura con cui i sapiens sapiens hanno, sinora, standardizzato il mondo, tentando di ridurre l’assurdità dell’essere vivi a una qualche funzione in grado di sintetizzare, passando al setaccio del rasoio di Occam il valore|vettore violenza, e lo applica come primus motor agli individui, alle comunità, le nazioni, i territori, compie una disamina cinica dei modi (anche, di produzione) con cui l’umanità si è evoluta: obbedienza, autodifesa, giustificazione con mezzi violenti dello status quo, reiterazione, definizione per classi sociali, autorità e rivoluzione, tutto è flusso nel volume-monstre dell’autore di Come un’onda che sale e che scende tutto è immaterialità, tentativo di comprensione di un mondo in fiamme, l’emergenza climatica: “Se le nostre pretese rispetto all’ambiente crescono senza limite, allora prima o poi si arriverà a un punto di urgenza scientifica (…) La capacità di tolleranza dell’ambiente dev’essere onestamente ed esplicitamente definita da tutte le parti che la invocano”.
Le parole di William T. Vollmann carta abrasiva, quand’è che vi svegliate?, quando chiederete il conto: tutto è ambiente, le scelte, la politica, le prossime elezioni, la fisiognomica dei prossimi potenti che decideranno per noi, il mondo, i nostri figli, l’unico orizzonte di speranza in un mondo cieco di fronte all’abisso. Colonna sonora dei Pink Floyd,

  • Mauro Garofalo |

    In effetti, ne parlava già Guy Debord, la deriva imposta dalla tecnologia degli ultimi vent’anni ha accelerato un processo derivato del capitalismo: lo spettro della comunicazione e del marketing, il brand al posto della verità nuda. “Istruirsi”, scrivi Carl, e forse sì il senso è quello, leggere sempre di più, tra moltissime ormai la voce di Vollmann ha il raro dono della non auto-assoluzione

  • carl |

    Non c’è da stupirsi…
    D’altronde ad un certo punto (specie dagli anni ’60) tutto è diventato spettacolo… dal rock ‘n roll alle “pietre rotolanti”,alla politica, fino al Vasco che suadentemente canticchia con l’aria da influencer…
    “..Il senso della vita…Quando la vita un senso non ce l’ha…”

    Insomma,il “bourgeois”, anzichè “s’épater” o lasciarsi “épater”, o semplicemente farsi prendere per il naso, non dovrebbe/avrebbe dovuto invece pensare, conoscere sè stesso, istruirsi/essere adeguatamente istruito, ecc. ecc. ..?

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