Si avverte nell’aria il vento dal corno d’Africa, un pezzo di Mediterraneo, al terzo giorno a Lampedusa.
Siamo a sud dell’Italia, le Isole Pelagie che si studiano solo alla scuola elementare, poi da grandi perdiamo il senso dell’orientamento, la giusta misura, i punti di riferimento cardinali.
Questo posto è una metafora. Una lingua di terra emersa che svanisce e riappare.
La mattina a colazione nel giardino arabo dei Dammusi di Cala Creta di Ezio: poche persone, silenzio al vento di scirocco, marmellata di fichi e d’arancia, profumo d’Oriente che incontrerò poi, più tardi, nel primo pomeriggio.
Arriviamo alla Spiaggia dei Conigli gestito da Legambiente Sicilia (mattina 8.30-13.30, pomeriggio 14.30-19.30), per un numero massimo di 550 persone per turno) che il sole è alto, nell’aria il riflesso dello scirocco schiarisce il mare sotto costa, passa dall’acquamarina all’azzurrite, poi digrada al blu sino al fondo dell’orizzonte, dove sfilano le navi.
Corpi al sole, sotto le rocce, corpi che prendono il sale detta terra. In emersione e a nuoto. Mentre i gabbiani scrutano, vigili, dagli scogli. La lingua di terra che appare e scompare qui ha il colore del sale, così la sabbia che riflette i raggi solari, sulla spiaggia una piccola recinzione protegge la schiusa delle uova di tartaruga. E’ solo un anticipo di quello che vedremo più tardi.
La “missione” di oggi infatti è riportare Rory, una tartaruga femmina di 4/5 anni dal peso di 3 chili, di nuovo in mare.
Rory è arrivata al centro di Recupero Tartarughe Marine di Lampedusa a marzo con un amo piantato nello stomaco: gli ami piccoli sono i peggiori, i grandi anche se fanno impressione si tolgono prima, i piccoli invece di solito hanno lenze sottili che si aggrovigliano nello stomaco dell’animale. Rory però è stata operata e sta bene. Adesso, dopo la stagione del mare mosso, è ora di tornare “a casa”.
La liberiamo al largo della Tabaccara, una splendida zona a sud dell’isola, che si spera non conosca mai il turismo di massa. Falesie bianche, mare trasparente, un’area che – complice la presenza di Rory – sembra essere uscita da una fiaba marittima, dove però non ci sono mostri ma rispetto e silenzio per il Creato, il sacro che non è necessariamente religioso ma proprio a tutto ciò che incontriamo sulla Terra. La vita sul pianeta blu di cui parlava l’astrofisico Carl Sagan qualche decennio fa.
E’ con questo soffio dentro che arriviamo alla Porta di Lampedusa – Porta d’Europa, il monumento ai migranti caduti in mare di Mimmo Paladino. Un arco in mezzo alla sabbia, a significare i passi che compiamo sulla terra, distrattamente quasi, mentre il sole in alto picchia lo scirocco. Viaggiamo. Nel mondo. Per ragioni diverse. A Lampedusa lo si fa da secoli: per il commercio delle spugne prima, del pesce poi, il turismo e lo sbarco su un’isola che, da sola, in mezzo al Mediterraneo è un po’ l’archetipo di un unicum che ci unisce tutti. Dai lontani paralleli d’Africa alle coste del Nord Europa. Abitanti, tutti, di mare e terra.