Cosa è “solar punk”? (con un contributo della scrittrice sci-fi Nicoletta Vallorani)


Dopo la golden age della fantascienza, la stagione d’oro delle distopie, il 1984 di Orwell, gli anni Novanta e il cyberpunk, Matrix, oggi è il tempo dell’utopia, anzi del solar punk una “nuova” corrente di pensiero che – al netto delle etichette con cui noi esseri umani abbiamo deciso di suddividere il mondo in discutibili categorie – sta producendo libri, serie, film.

Le origini nascoste: se il futuro è Solar l’utopia è Punk
Famoso fu l’acronimo TINA-There Is No Alternative di Margaret Tatcher: non ci sono alternative allo status quo, diceva la Primo Ministro dai capelli d’acciaio, le cose vanno così dovranno andare. Una visione liberal, allo stesso tempo fatalista, del capitalismo targato anni Settanta, e Ottanta, ripresa dai Sex Pistols con la mitica Anarchy in The U.K. poi dagli accelerazionisti inglesi, che dicevano se proprio dobbiamo morire, facciamolo nel più breve tempo possibile (fra tutti il compianto Mark “k-punk” Fisher di Realismo capitalista).

Il solar punk segue il più ampio filone della sci-fi, la science fiction e del cli-fi, la climate fiction: sono i mondi immaginari di un futuro non troppo lontano in cui la fusione dei ghiacciai ha comportato l’innalzamento dei mari sommergendo città (Giacarta oggi, Los Angeles e Venezia domani?) oppure in cui l’aria del mondo “di sopra” è divenuta tossica, come avviene in Nausicaä della Valle del vento, anime ambientalista del regista giapponese Hayao Miyazaki; tormente di ghiaccio si abbattono invece su New York e la torcia della Statua della Libertà spunta sotto coltri di neve, oramai ridotta a simbolo delle rovine di una civiltà estinta, il bellissimo saggio di Alan Weisman, Il mondo senza di noi (Einaudi).
Ma se nella cli-fi lo storytelling è spostato, centrato, sulle catastrofi innescate dallo squilibrio climatico e le tragiche conseguenze “a caduta” sul genere umano, il tratto comune del solar punk è quello di considerare il futuro come un tempo e un luogo in cui l’uomo non verrà distrutto ma, anzi, insieme agli altri abitanti del pianeta troverà finalmente il modo di costruire, anzi di co-costruire, il domani che verrà.
Uno dei tratti nuovi del solar punk è la possibilità di un futuro possibile per il genere umano sul pianeta Terra e il pensiero che, non solo, riusciremo a sopravvivere ma, di più, troveremo un rinnovato e condiviso equilibrio con gli altri regni: animale, minerale, microorganismi, mari, fiumi, montagne e foreste, le oltre tremila miliardi di piante che, insieme a noi, popolano la superficie terrestre, sotto la quale si sviluppa il Wood Wide Web, il “cervello collettivo” degli alberi, la fitta “Rete” vegetale di radici e funghi che scambia informazioni su predatori e patogeni, funge da barriera naturale per gli smottamenti, o fa da muro verde che per esempio, a Hiroshima, salvò allievi e personale scolastico di un intero plesso circondato da un parco dagli effetti dell’atomica fino a, per venire ai giorni nostri, banalmente mitigare gli effetti insalubri dell’inquinamento sull’aria delle nostre città.

Dalla Weird Fiction alla Queer Ecology
Se all’inizio fu la weird, la narrativa strana, e il new weird, quindi la magia innestata con la tecnologia retro futurista, ora non sono più gli alieni o i cataclismi, gli asteroidi o le apocalissi, contro le quali tra l’altro nessuno di noi saprebbe fare alcunché, piuttosto il solar punk prevede che siano le azioni concrete, le scelte che vengono compiute, da ciascun personaggio nel suo quotidiano e in cui ognuno si può rispecchiare; di qui il racconto delle città-foresta di domani, di una tecnologia al servizio dell’uomo e non viceversa, dei linguaggi interspecifici: uomini e animali dalla stessa parte e non più, come è accaduto dal Novecento in poi, divisi, con gli uomini al vertice della gerarchia, e della catena alimentare, e tutte le altre specie sotto, soggiogate e in vendita, inscatolate, nelle apposite corsie non-luogo dei grandi centri commerciali, pronte a sfamare l’orda dei nuovi barbari, noi, la razza “umana”, che si trova così di fronte a scelte banali quanto etiche: rinnovabili o atomica? Vegetarianesimo o iperconsumismo, capitalismo compulsivo o neo-contadini?
Il solar punk ci permette di cambiare prospettiva. Fa un inception non di speranza ma di possibilità. Possiamo ancora fare in modo che le cose non vadano male, sembrano dirci le narrazioni solar punk. E possiamo farlo solo se comprendiamo che siamo parte di un insieme. Il mondo vivente.
Forse questa nuova corrente di pensiero sta attecchendo in molti generi perché in questa società liquida, così come la definì Zygmunt Bauman, in quest’epoca fluida di generi, orientamento sessuale, identità singole e plurali, siamo tutti più pronti a concepire il Tutto che, fino a poco tempo fa comprendeva, invece, prima l’io-umano e poi tutto il resto; e oggi invece riconosce prima il tempo singolo, individuale, ma anche di relazione con l’altro, gli altri, il diverso da me che, a sua volta, mi comprende e costituisce, in quanto complementare, specchio.
Abitiamo non più in un’epoca oppositiva – gli esseri umani qui, la Natura lì come nel mito dello sviluppo occidentale – viviamo in un’epoca e, di congiunzione, link e connessioni, siamo “collegamenti”, sottolinea il solar punk: oggi sappiamo che ogni taglio di foresta prevederà la scomparsa di un’infinità di micro-mondi, siamo pronti allora a vedere estinte intere filiere di vita? La preziosa biodiversità.
Per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto i 2°C – come ha sottolineato il 95enne Richard Attenborough alla Cop26 di Glasgow qui – dovremo abbandonare i combustibili fossili, il petrolio su tutti: una questione centrale, questa della fuoriuscita dal mondo di ieri, la geopolitica e l’oro nero, in questi giorni di guerra in Europa. La lenta agonia di un’epoca, anch’essa, fossile che va ancora avanti a carri armati e bombe, tiranni e falchi, e che invece, dopo 2 anni di pandemia, sentiremmo tutti il bisogno di voltare pagina, andarcene, forse persino senza meta: piuttosto camminare in alta montagna, sotto la penombra di alberi secolari, o scalare col parkour grattacieli delle nuove città-giardino, e noi abitanti di una rinnovata Babilonia.

Le radici del Solar
Tutto questo confluisce nel solar punk, del resto è un processo che viene da lontano: i greci prima, Lucrezio poi col de rerum natura, passando per l’ipotesi Gaia e i Limiti dello sviluppo del 1974, oggi abbiamo – forse – capito che siamo una parte del Tutto. E così l’Ambiente è diventato uno dei temi centrali della contemporaneità: per le aziende che si scoprono green, le scuole che cambiano programmi, le notizie ambientali in prima pagina sui giornali.
Ciò che è cambiato è che oggi siamo, finalmente, consapevoli che il nostro stile di vita non è più sostenibile: stiamo consumando, distruggendo foreste, inquinando troppo. E questo ha delle conseguenze dirette, prima sul nostro habitat, di conseguenza su noi stessi!
Il pianeta è “l’unica casa che abbiamo”, come la definì Carl Sagan nello storico discorso a pale blue dot in occasione della prima immagine della Terra vista dallo spazio scattata dal Voyager I nel 1977. E si salverà da sé. Siamo noi che ci dobbiamo salvare. Non la Terra, la Terra andrà avanti probabilmente per almeno altri 4,5 miliardi di anni. La durata del nostro Sole.
Stiamo però cominciando a raccontare quel che ci sta intorno in un altro modo.
Negli ultimi 2-3 anni soprattutto proliferano gli storytelling ambientali, la necessità di avere metropoli meno inquinate, viaggi più sostenibili, le grandi dimensioni del turbo capitalismo lasciano il posto a un nuovo piccolo globale, un collettivo allargato dai social, la tecnologia mobile che ci segue ovunque, pericolosamente pervasiva e necessaria.
Non valgono più, o non solo, le narrazioni della post-Apocalisse, Hollywood in testa: La guerra dei mondi e Brazil, Mad Max, Blade Runner, Waterworld, Indipendence Day, venendo ai giorni nostri The Road tratto dal libro di Cormac McCarthy e Interstellar di Christopher Nolan, fino all’ultimo Don’t Look Up di Leonardo Di Caprio. Perché c’è un che di definitivo, di auto-assolutorio “mi dispiace è così”.
E invece, pare dirci il solar punk, finito l’incubo di una visione del nostro mondo distrutto, oscuro e senza speranza, è arrivato il tempo di guardare a un futuro possibile, in cui uomo e Natura non siano più divisi ma dalla stessa parte.

Per anni abbiamo pensato che gli scienziati stessero esagerando. Oggi sappiamo, vediamo, che non è così. Le nuove generazioni lo sanno. E forse è a loro che sa parlare meglio il solar punk, la generazione Greta che sa che bisogna agire ora, nel presente, poiché il futuro si costruisce adesso! Lo sanno bene i ragazzi, che vedranno il mondo nel 2030-50, nel 2074 molti di loro scavalleranno il 2100. Quali saranno le questioni principali, se già si prevede che il 70% del pianeta vivrà nelle metropoli entro il 2050. Ci sarà cibo per i 10 miliardi che si prevedono allora? E l’acqua dolce sarà, davvero, causa di altre guerre? Il rapporto tra uomo e Natura e le sue implicazioni è cosa vecchia (Il Signore degli Anelli). Bisogni infiniti da un lato, quello degli umani: lavoro e servizi delle metropoli (Blade Runner, Akira), le macchine (Matrix, Tron), e pianeta Terra. È tempo di vedere un altro futuro. Perché solo se si vede un futuro diverso allora si può cominciare a costruirlo. Adesso.

Per cominciare
Abbiamo chiesto alla scrittrice di fantascienza premio Urania Nicoletta Vallorani alcuni nomi del genere solar punk internazionale: «Marge Piercy con le sue poesie e i romanzi, Elvia Wilk e Nnedi Okorafor entrambe edite in Italia da Zona42, quindi la capostipite Ursula Le Guin che, con i suoi fantasy e i suoi racconti di fantascienza, è riuscita a saldare oriente e occidente, passato e futuro; in Italia invece, tra i nomi si segnalano Romina Braggion con le sue Memorie di una ragazza interrotta e l’antologia Assalto al sole», a ogni modo continua Vallorani, che è professore ordinario di Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università degli Studi di Milano La Statale: «L’etichetta solar punk, come tale, è soggetta a slittamenti semantici. Bisognerà capire cosa diventerà, nel suo continuo rimando circolare con la realtà».

Se da un lato, infatti, le narrazioni generano il mondo dall’altra, se tutti cercheranno di apparire non più solo punk – con il relativo portato di no future – ma solar, dunque propositivi rispetto al rapporto uomo-Natura, starà all’evoluzione del genere dare riferimenti non solo letterari, ma di più al genere umano che verrà, rispetto all’habitat e le “altre” specie. Quel noi collettivo che abita il pianeta, di cui pure noi facciamo parte, direbbe il vero appassionato di solar punk. Per ulteriori approfondimenti, il sito italiano di riferimento è https://solarpunk.it, in inglese invece vero cult https://www.thejaymo.net di Jay Springett.

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