I cieli del mondo solcati da dirigibili.
Dirigibili sopra i cieli di Monrovia. Karthoum. Londra. Norfolk. Delhi. Milano.
Dirigibili sopra Berlino. Montreal. New York. Kinshasa. Parigi. Tokyo.
Balene bianche volanti nei cieli nuvolosi, grigi, fumanti, assolati.
Affusolate silhouette che facciano ombra tra i grattacieli e sotto, mentre i passanti, eleganti, se ne vanno in giro per città piene di vita, deliziose vie camminate da ragazze di nuovo in cappellini e gonna, sigarette col bocchino lungo e l’aria smaliziata.
Gli uomini in maniche di camicia e gilet, i baffi impomatati, le ghette, l’orologio da taschino, i modi gentili e premurosi e sotto i petti villosi pronti a sfoderare garbo ma contemporaneamente salda tenacia, coraggio.
Vedere dirigibili nei cieli delle città.
Weltanschauung, zeitgeist, occhio del ciclone del tempo, contemporaneamente fuori e nel tempo.
Sboccerebbero i giorni, al posto del rumore dei dinosauri estinti, sarebbe tutto pieno del silenzio poetico dei sogni dei trafficanti sopra le nuvole.
Zeppelin che ricomincerebbero a passare sopra le teste dei bimbi in bicicletta.
I musi allungati, in materiali sempre più innovativi, sofisticati, dai colori sgargianti, importati chissà da dove, e di nuovo il fiorire dei commerci, dello snodo aereo a traffico intenso ma mai più inquinante né rumoroso.
Ci sarebbero operai a lavoro in ogni dove, sarte che dovrebbero ricucire i lembi di un presente alternativo, e il nome di un nuovo paese, Ucronia.
Dateci di nuovo i dirigibili, Marlene Dietrich, il coraggio di dire no, Stephen Zweig, il doctor Strange, James Joyce mentre immaginava, costruiva, non identificava i segni e i tratti distintivi di un viaggio che sarebbe durato un giorno, un anno, un milione di anni nella coscienza di ognuno. Il viaggio, nelle sue infinite versioni, dal viaggio e l’eroe contemporaneo (marito, traditore, re, guerriero) al flusso di coscienza, dieci anni in un giorno.
La questione omerica e la forzatura dei limiti. La notte dei tempi, il primo e l’ultimo uomo.
Ballhaus, Berlino, odore di parquet nella sala da ballo, legno preso dai boschi di Goethe, sofisticati lampadari di cristallo, tartine a olive e maionese.
Ballare mentre tra poco arriverà il progresso, lo slancio nel credere che il domani sarà migliore, in qualche modo, non corrotto dalla grande dimensione, dalla deriva finanziaria dei modelli che premiano gli scaltri, i ladrocini in giacca e cravatta autorizzati con il placet di governi, agenzie delle entrate, istituzioni e burocrazie al posto di ingegneri dell’aria con i baffoni, italiani e folli: Giovanni Battista Caproni con le sue imprese di idrovolanti in acqua, mezzi anfibi, incroci di meraviglia e tecnica: il cuore nell’aria e il vento, come Paul Valéry, “il faut tenter de vivre”, gli occhi a mandorla di un futuro che nessuno ha saputo immaginare meglio del regista di anime Hayao Miyazaki, “le vent se lève”.
La poesia, di nuovo, i silenzi, la tecnica, il Novecento, le città a stantuffo e vapore.
L’uomo e la metafora del mantice della vita, non tradita da un progressismo svilito da forze motrici rudi e auto-lesioniste come la benzina, il motore a scoppio che all’inizio faceva ridere – gli occhialoni, la leva per azionarlo, i pantaloni da cavallerizzo – ma poi a un certo punto qualcuno se ne sarebbe pur dovuto accorgere, e così la produzione sarebbe stata interrotta, così come quella di chissà quanti altri progetti. E invece.
Sarebbe stato il tempo degli zeppelin, avrebbero solcato i cieli di tutto il mondo.
Lo spazio aereo sopra le città di metallo e soffi, spettacolo e transito.
“Attento al pinnacolo sopra quel tetto”, “Fai rotta lì”, “Occhio a babordo, muoviti con quell’àncora”, “Molla gli ormeggi sul tetto di quel condominio, sì proprio lì dove ci aspetta l’ingegner Caproni”.
Fuochi nella notte della congiura delle polveri a Londra sopra il Big Ben centinaia di zeppelin in transito.
Le luci accendono la notte quasi fosse d’oro.
Metropolis e la vanità di un popolo che credeva di essere invincibile, ora scintilla sotto il peso di una verità schiacciante. L’errore. Il post-colonialismo approdato ovunque, ora cede il passo alla paura di essere invasi, e allora quale miglior rimedio per il governo britannico di investire nella sua nuova flotta di aeronavi, Her Majesty.
Il senso di una nazione dedita all’arte della cavalleria, uomini e donne che hanno sfidato la sorte, cento e altre mille volte, con dedizione e competenza, poi passata la fuga e la fretta della Brexit, “Inghilterra domina”, le derive populiste immaginate dal figlio prediletto George Orwell, il Grande Fratello ha chiamato, ma Inghilterra sa, perché ha visto, e allora dopo V per Vendetta, dopo Watchmen – e i fumetti dei pirati dentro il fumetto, meta-narrazione di un popolo che si affidi di nuovo all’immaginario collettivo – H.G.Wells e lo scontro dei mondi. Solo che stavolta non c’è realtà o radio, stavolta è vita sulla Terra o niente più.
Investire in dirigibili. che immagini il continuo della nostra storia.
Mirabolanti avventure che non siamo più in grado di vedere dentro il nostro personale spazio visuale, prima ancora che nel concreto visivo.
È una questione di design di pensiero, prima che di realizzazione.
L’uomo del Novecento riusciva a spostarsi in avanti.
L’uomo contemporaneo guarda indietro, anche nelle serie: l’Ottocento con i cadaveri trafugati dai cimiteri per rivendere corpi alle Università quando i dottori volevano carpire l’anima, il funzionamento interno dell’uomo: Galvan e Frankenstein, Penny Dreadful, Peaky Blinders, Stranger Things, Dark.
La verità è che questo Tempo va troppo veloce e nessuno ha ancora capito come imprigionarlo, o spiegarlo, lambirlo, metaforizzarlo, renderlo tenue e idealizzato.
La risposta negli zeppelin.
I dirigibili il nuovo cavalierato dell’aria, un cielo scintillante.
Il nuovo vento del domani.
Il senso di una generazione recuperata da un’idea appena, un’intuizione.
Scrivere un’epica dei dirigibili. Una storia steampunk, un’ucronia con un bambino figlio di uno scienziato che si trovi a lottare contro un esercito di faccendieri senza scrupoli. Esempio classico della degenerazione finanziaria del capitalismo trasformato in accaparramento, previous accumulation che ha già estirpato risorse nei secoli. Ma oggi no.
Oggi-domani sono i dirigibili che solcano i cieli. Che governano l’aria. E la Banca di Scozia, la quinta più importante del mondo, inizia a produrre aeroflotte in serie, bellissimi cetacei urbani con cui ri-colonizzare il presente.
Togliere il presente alla cappa di polveri sottili e grigiume secolare, rivestirlo di eleganza e fiori d’arancio in porta-champagne d’argento a centro tavola, mentre coppie ben assortite, senza distinzione di razza, religione, censo, possano ballare alla musica dai grammofoni del nuovo corso.
Così l’uomo del futuro rientrerà in possesso delle sue facoltà di interazione con il resto del pianeta.
Questo, e molto altro, progettato nelle migliori scuole aero-spaziali.
Scuole di pietra e torri, ragazzi e ragazze divisi in dormitori, nuove George Heriot’s School e progettisti del domani. Spazi per sognatori che si sono ripromessi di non voler più distruggere ma solo costruire.
E allora gli zeppelin, quell’ombra nel cielo.
Salire in vetta al mondo, guardare tutto da lassù.
Mondi di tiranti e vetri, gondole prodiere in carbonio e cabine individuali, salotti per fumatori e ponti-passeggiata, in transito sopra le città.
Forme oblunghe, di passaggio sopra microcosmi: migliaia di vite in movimento, sotto.
Osservare dall’alto la decisione di vivere in una città, che sia d’acqua o di vento.
La costruzione di dirigibili come atto di rappresaglia nei confronti della società fossile nella quale si è incarnato il progresso.
Motori e combustibili primordiali per lo sviluppo del futuro. Un controsenso reso evidente dalle forme spettrali, allungate, sigari interstellari, futuribili, di una distanza commutata in viaggio.
Abbigliamento adeguato per l’occasione: Occhialoni da pilota e caschetto in simil-pelle; giubbe con interni caldi, mute in kevlar, stivaloni idrorepellenti; torce e cinturoni e sotto frac e tight, rose, garofani rossi nel taschino per lui; abito lungo, d’argento e coroncine, cipria per lei.
Vivremmo tutti, bellissimi, su mondi flottanti.
Eleganti e sospesi.
Sarebbe un mondo silenzioso, aereo, pulito.
Se insegnassimo ai nostri figli a costruire dirigibili. Riprenderemmo in mano il grande equivoco della contemporaneità.
Abbiamo invertito i mezzi con i fini.
Equivocato ciò che serve per arrivare a un risultato con il risultato stesso.
Rimettere in asse il fine della creazione. Non equivocare il metodo, l’oggetto. Ma spostare il senso sul soggetto.
Se i cieli delle città fossero solcati da grandi cetacei avremmo il mare sopra la testa.
Il cielo, il fondo cobalto di un mondo terracqueo e inverso.
Occorrerebbe solo capire i personaggi di questa nuova storia.
Sarebbe altro che ripensare noi.
Non servirebbe altro. Basterebbe solo re-imparare a usare – non i mezzi, ma – la fantasia.