Un grido accorato. La resa dei conti con il mondo, con gli altri, forse con sé.
ESCE DOMANI il libro di Kerri Arsenault, Mill town (Edizioni Black Coffee,€18, trad.it. Umberto Manuini), che proprio con “la resa dei conti” chiude il sottotitolo, rimandando al lettore una vaga idea di retro-catastrofe, la resa qui intesa non solo come linea definitiva piuttosto come abbandono, come quello cui assistiamo di certe periferie, (comprese quelle del cuore); e lo stesso i conti dei giorni, i conti che non tornano mai, le bollette da pagare e gli interessi emotivi con cui ci ripagano certe scelte, taluni ricordi, l’insipienza di ciò che siamo, facciamo, il dubbio il tarlo che rode, la vita che si dipana, un fiume.
Una ragazzina cresce: ormai donna, e trasferitasi altrove, si rende conto che la sua infanzia felice a Mexico, in Maine, è stata solo illusione.
La cartiera locale che ha dato da mangiare alla sua famiglia, e a tutta la piccola comunità di quella bambina infatti si rivela, nella nuova prospettiva, un mostro che ha mangiato il futuro: la “Valle del Cancro” ha divorato tutto, le anime della gente, il territorio circostante; al solo prezzo dell’impiego fisso nel presente (di allora) la cartiera si è rivelata, un colpo di scena degno di Shakespeare, una catastrofe silente che, a distanza di anni, rivela tutto il suo portato distruttivo.
Il libro di Arsenault – docente universitaria, critico letterario e book editor – è un viaggio nella domanda, Cosa saremmo disposti a sacrificare pur di sopravvivere?
Nella river valley, non c’è acqua senza argine, né ambiente senza uomini. Eppure al solito l’uomo declina, devia, rompe pur di trarre vantaggio: “Oltre l’ansa del fiume – scrive Arsenault nell’incipit – nella cittadina confinante di Rumford, le ciminiere infilzavano pennacchi di fumo bianco. Sono soldi quelli che escono da lì, dicevano i nostri padri quando cambiava il tempo e dal fiume si levavano zaffate d’aria nauseabonda.”
Infilzavano, usa proprio questa parola, l’autrice, termini a scortecciare verità, abradere le blande certezze con le quali abbiamo usato il mondo, ovviamente male.
Cosa rimane infine?, ci chiede. Cosa rimane di noi, delle nostre azioni, nel caso di Mill Town di una fabbrica che ha dato lavoro a chissà quante famiglie, ma poi il risultato è la malattia, l’abbandono delle terre, magari per 50-60 anni quei territori saranno ricchi, produrranno, movimenteranno merci e anime, che a volte sono la stessa cosa.
E’ vero allora che “raccogli ciò che semini?” oppure potremo in qualche modo intervenire, a posteriori, a sanare i circoli viziosi che siamo stati in grado di attivare?
Arsenault non fa sconti a nessuno, prima di tutto a se stessa, alla sua famiglia. Così la lettura scorre lungo le highway, tra i boschi canadesi, gli anni che si ripetevano sempre uguali, Sisifo lungo le statali, senza nemmeno i picchi montani: la Main Street di Mill Town, il Bowl-O-Drome, la tavola calda Chinah Dinah, Maddy’s Pizza. Possiamo vederli i volti nuovi di questi pseudo cittadini nel nulla della vacuità capitalistica. Ignari del futuro che stavano disegnando.
Ignari del cancro che avrebbe divorato le loro anime. Della cartiera che avrebbe distrutto boschi, inquinato il fiume, eroso gli argini sino a farli franare. Le nostre esistenze appese alle conseguenze delle nostre azioni.
Mill Town è un libro bellissimo, di quelli che ti si attaccano addosso. Arsenault è un novello Steinbeck sulla rotta degli operai, l’Eden qui a differenza di Furore non si trova fra i grappoli d’uva, piuttosto tra le pieghe di una piccola comunità felice costruita su un futuro di distruzione.
L’auto-fiction di Arsenault cementa i fantasmi e li fa cantare. Nel Golfo del Messico la piattaforma Deepwater Horizon in mezzo all’oceano esplose per un’eruzione di petrolio nelle condotte; il conseguente fireball provocò una colonna di fumo visibile da oltre 40 miglia, la fuoriuscita di petrolio durò 106 giorni: in totale riversando in mare l’equivalente di 5mila barili di greggio al giorno, la macchia nera alla fine arriverà a coprire 74mila km quadrati con una circonferenza di 970 km: dieci volte per entità quello della petroliera Exxon Valdez.
La discesa nell’inferno dell’attività umana che descrive Arsenault è un atto di disvelamento: “Non nuocere diceva il giuramento ippocratico”, che fine ha fatto la nostra salute mentale?, ci chiede l’autrice.
Perché non siamo in grado di guardare alle conseguenze delle nostre azioni? Siamo davvero così ciechi di fronte al denaro: è davvero tutto qui? Stiamo andando a sbattere contro un muro solo per soldi?
Tutti scegliamo la via più facile per uscire dai guai. Ma cosa fai se il posto in cui vivi provoca il cancro? Alle persone che ti stanno intorno, ai familiari, e forse alla fine anche a te?
Domande scomode che nessuno vorrebbe sentire. Eppure Arsenault si cala con la corda nell’inferno. Lo fa per onestà intellettuale, in un momento storico (questo) in cui tutto è saltato, si perde il lavoro, i monopoli vincono ovunque, l’odio infiamma le piazze pubbliche e social.
Il refrain di Arsenault è in un cucciolo d’alce che esce dal bosco con la sua mamma. Indifferenti a ciò che accade nella città dell’autrice, Mexico, la natura indifferente ai problemi dell’uomo. Se tutto salterà, se il nostro pianeta in fiamme ci si rivolterà contro, gli uccelli nemmeno se ne accorgeranno. Pensiamo di essere immortali. Lo crediamo davvero. Noi con la nostra sicumera tecnologia, i nostri status, il vantaggio competitivo; mentre – sotto di noi – lavorano alacremente agenti patogeni, metalli pesanti, inquinanti organici che noi stessi immettiamo (!) e che come conseguenza scientifica abbassano le difese immunitarie, fanno proliferare lo smog, aumentano le PM nelle città.
Le nostre città inquinate, piegate, schiacciate da un pensiero tardo-imperiale (la Terra è mia): mura di cemento armato entro le quali, come in un eterno labirinto, ci siamo persi nella ricerca di mostri inesistenti. Poiché il labirinto siamo noi: dovremmo raccontarci la verità con le storie, allora. E la verità, chiosa Arsenault, è una: la nostra attività economica finora è stata un cancro per il pianeta. E dove vive l’uomo?
«Mill Town è il racconto di una vita intera – ha commentato Robert Macfarlane a proposito del libro di Kerri Arsenault -: la storia approfondita, avvincente e terribile di una famiglia della classe lavoratrice in una città operaia, che in fondo è anche la tipica storia americana di come spesso a rimetterci siano le persone che più di tutte amano questo Paese. Feroce ma dolce, questo memoir è scritto con una prosa limpida che spesso si eleva a poesia, ma che sa essere ruvida quando necessario. Nel mezzo scorre il fiume: un serpente antico e pericoloso che si porta appresso i peccati d’America. […] Mill Town resterà con me a lungo».
“Questo costante rimbalzare dello sguardo fra passato e presente ci culla come la marea. Ogni anno che passa, l’acqua nasconde i crimini più vergognosi, diluendoli fino a trasformarli in derivati di se stessi”.
E invece siamo stati noi, solo che ci auto-giustifichiamo “Non posso fare niente”, ci assolviamo rispetto a tragedie silenziose che noi stessi provochiamo, stiamo distruggendo i confini del nostro mondo, stiamo distruggendo tutto perché: “è sempre stato così”.
La favola non regge più: se violentiamo il paesaggio nel quale cresciamo i nostri bambini. Il trauma così si iscriverà nel corpo collettivo, nella memoria di ciò che non sapremo fare, braccia lungo un corpo abusato, corrotto: saremo in grado di riappropriarci del tempo? Saremo in grado di proteggere e salvaguardare l’ambiente – lo spazio circostante – anche per proteggere noi stessi (“I risultati evidenziarono che il novantasei per cento dell’inquinamento derivava da scarti industriali”, scrive Arsenault, il Maine come la valle del Seveso, e ancora: “Nel 1970, quando avevo tre anni, il livello di ossigeno disciolto nell’Androscoggin era pari a zero. Newsweek lo nominò trai dieci fiumi più inquinati degli Stati Uniti”).
«Kerri Arsenault va alla ricerca della verità in modo sensibile ma anche senza far sconti a nessuno. Il risultato, questo libro, è una storia amorevole, appassionante e, in fin dei conti, devastante», ha scritto Jonathan Lethem.
Mill Town di Kerri Arsenault è un romanzo potente, un libro-denuncia. E l’editore Black Coffee con la collana This Land continua a pubblicare libri rari, come preziose verità.