“Dov’è andata a finire la vita?” inizia così il romanzo di Benjamin Myers All’orizzonte (Bollati Boringhieri, trad.it. Simona Garavelli,€16,50). Con la dissipazione e una domanda senza risposta.
Dov’è andata, un moto a luogo. Queste nostre esistenze in tempi di pandemie. Tutto plurale. Tutto estinto, finito, la grande illusione del progresso, il futuro come categoria.
Negli ultimi 50 anni abbiamo solo dissipato. Siamo entrati nella Grande Desolazione, l’uomo ai tempi dell’Antropocene.
E’ forse per questo che Myers parla di adolescenti e “cattivi maestri”.
Nato nel 1976a Durham, contea Nord Est dell’Inghilterra, collaboratore fra gli altri del Guardian, Myers ha scritto un libro che è metà zaino di viaggio metà precarietà, selvaggio, ritorno.
I binari e le strade asfaltate portano il protagonista – All’orizzonte è scritto tutto in prima persona singolare – Robert è un ragazzino appena “uscito” dalla Seconda guerra mondiale. Gli orizzonti di guerra hanno oscurato i cieli, le nubi nere del nazismo, e lo Yorkshire. A piedi a ritrovare scarpe e voglia di vivere.
E la domanda sempre la stessa che torna: dov’è andata a finire la vita? “un istante congelato che si dilatava come un eone”, Myers usa il tempo come sgretolio, un rintocco atomico identitario e costante, il filo spinato di Bergen-Belsen che d’improvviso diventa recinzione e campi di grano, di nuovo. La Natura che si riappropria delle esistenza degli uomini, la corteccia degli alberi dove Rob s’addormenta, sogna, impreca, cresce.
Quando incontra Dulcie Piper, un cottage disperso nelle campagne, è lì che si compie il destino del piccolo che diventerà uomo. E’ Dulcie che spiega a Robert come si prepari un perfetto infuso di ortiche e in realtà gli sta già spiegando le parole nuove con cui potrà guardare il mondo, chiamare le cose, gli oggetti, gli amori persino. La signora Piper il suo maestro, lo snodo di agnizione, le conoscenze che ci rendono uomini e donne migliori: “La vita è lunga quando sei giovane, e breve quando sei vecchio, ma inconsistente in qualunque momento”.
La banalità dichiarata, candidamente, sotto le ombre dei rami di quercia marina, mentre le erbe si piegano al vento come i capelli di Robert, polvere e datteri e lokum, gli insegnamenti di Dulcie per il ragazzino sono il mare che non ha mai visto prima e i topolini di campagna. Lo sgretolio del tempo che è la fisica classica che diviene quantistica e così Robert impara il tempo degli alberi e la noia degli umani, “Bastò la notte da sola a farmi ubriacare”, la dissipazione dell’adolescenza e l’ingresso al mondo adulto. Quanto valga quella soglia narrativa e di quanto i sogni che continuiamo a svolgere come nasse di pescatori, alla fine, non ci facciano restare in mano che poco più di un astice cotto vivo nella pentola.
Solo che, il più delle volte, nella vita, l’astice che bolle in pentola… siamo noi!
Foto di Tom Swinnen da Pexels
Tra pranzi e cene in giardino, mentre i gufi e i chiurli cantano, Robert impara da Dulcie il linguaggio segreto dell’accortezza, le passeggiate e le radici agli angoli dei prati, i “veri” contadini che danno forma al paesaggio, mentre noi umani cosa siamo di quel paysage/visage, il volto appunto, uno dei tanti, assieme alle fragole, ma non è solo il ragazzo che impara dalla veneranda maestra. Myers ci dice che impariamo anche noi dai sedici anni di Robert, la “terra straniera” che siamo stati, ognuno di noi, ogni e ciascuno.
All’orizzonte è un romanzo di formazione, come piaceva dire fino a qualche tempo fa, e un libro a suo modo omerico, poiché del romanzo epico sconta l’èpos, la dignità del lavoro che nel dopoguerra manca, le spigolature dei volti, la mancanza dei padri estinti da tutte le guerre, e la presenza costante della natura, madre e matrigna.
Non a caso, per The Daily Mail, il romanzo di Myers è: «Un suggestivo inno alla natura, profondamente sentita e osservata da vicino e alla sua capacità di pacificare l’essere umano», libro dell’anno 2019 per il «Times», per «l’Observer» e per la BBC, che lo ha serializzato per il programma Book at Bedtime. In Germania, è rimasto in classifica dei best-seller fin dalla pubblicazione nell’estate scorsa, è stato nominato Libro dell’anno 2020 dai Librai indipendenti.
Gocce di pioggia, si parla persino di sesso, e prosa turgida, Dulcie non teme confronti come “cattivo maestro”, anzi maestra, ai tempi del gender gap, ché il mondo del futuro avrà da essere delle ragazze, finalmente.
Molte descrizioni, pochi dialoghi che aumentano di quantità a metà libro, quando la prosa si distende e i contorni della storia, a tratti faulkneriana con meno gradiente di depressione e un drive maggiore di dissipazione, appunto, fa delle avventure di Robert – un tasso che lo sveglia di notte, il lavoro al capanno, tutte le volpi che si chiamano Reynard – e svela così anche il titolo del romanzo, “quel” All’orizzonte scorretto, scomodo, quel semplicemente vivere che ha a che fare con la nostra ricerca, per tutta la vita, di ciò che ci è mancato, il fantasmatico da cui siamo fuggiti, l’alcol, un padre assente, la primavera, la scrittura: “Se ho talento per una cosa, Robert, è vedere un potenziale e saperlo risvegliare. Alcuni creano, altri facilitano. Io appartengo alla seconda categoria”, dice Dulcie. E tu, noi?
Quando Robert scrive ai suoi genitori è quasi ora di salutarlo, il ragazzo sveglio è quasi fatto, e il compito dei maestri non è certo far riuscire quanto, piuttosto, portare per mano a provarci. Risvegliare la volontà, appunto. Forse acquisire quel poco di sicurezza che ci farà restare in piedi mentre tutto crolla, imparare infine dieci parole, ma tenerne sei per sé, per quando cadremo. Prima o poi.
Fortificata dalle risate
galvanizzata dall’amore,
sono per sempre
nei tuoi atomi.
E’ allora che la Filatrice-di-Miele scompare e appare la vita, di nuovo, davanti gli occhi non più sgretolati di Robert. Di tutti i Robert che siamo stati, e siamo, All’orizzonte.