Forse sarà per necessità d'aria. O forse perché, finalmente, sarebbe ora di uscire dai propri confini e sbarcare lontano. Forse, ma forse, semplicemente perché quando tutto il resto è difficile, la cosa più facile da fare è fidarsi di se stessi. Chi lo sa, direte voi…
Who Knows quindi. Album imperdibile (Ali Buma Ye Records) di Luca Sapio con la collaborazione della Capiozzo & Mecco band. Sapio (qui il suo sito) è "cantante e musicista italiano soul, blues e jazz" recita la voce su Wikipedia. Un concentrato di potenza e suono. Voce densa che viene da lontano: entra nel 1999 come cantante nell'ultima formazione degli Area (dell'indimenticabile Demetrio Stratos) voluta da Giulio Capiozzo; poi l'esperienza con gli Accelerators e l'album Oddville con la collaborazione del compositore cross-over jazz Eumir Deodato; dal 2009, con i Quintorigo – ex gruppo di quel grande talento che è John De Leo – con i quali registra un album che vede il feat. di Juliette Lewis; e infine l'album acustico Hard Times con il progetto Black Friday, che Sapio ha realizzato con Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion.
Un percorso importante, che lo ha portato fino a qui, oggi. A Who Knows. L'album dunque? Sonorità perfette, contaminate. La ricetta? Molto studio, talento, capacità di mettersi in gioco.
Guardate/ascoltate il clip della traccia How did we lose it (particolare attenzione su: attacco del pezzo, interni realizzati dallo stesso Sapio) video di Mezcla Prod, collettivo di lavoro di giovani talenti del quale parleremo a breve.
Who Knows è stato registrato dal vivo in una settimana a Brooklyn, prodotto da Thomas Brenneck leader della Menahan Street Band, veterano della musica black che ha contribuito a lanciare artisti come Mary J. Blige e Amy Winehouse. E gli echi visivi (evidenti dal clip) e sonori della Grande Musica si riverberano in ogni dettaglio del disco di Sapio. Persino la voce trascinata, i bassi rochi, l'andante con hammond (del duo organo hammond batteria C&M che accompagna il trombettista new yorkese Jimmy Owens). Talmente tanto che How Did We Lose It è stato inserito nella playlist del David Letterman Show.
In una dimensione iper-tecnologica che, a volte, scopre i propri limiti nel parlare sempre e solo di se stessa, la musica di Luca Sapio restituisce l'immagine di un percorso voluto, cercato, capace.
Intervista
1) Forma e contenuto, la voce è uno strumento che amplifica. Nella tua personale ricerca quale la forma oggi, quale il contenuto per domani.
LS: La forma che cerco è quella di un contenitore piuttosto essenziale e disadorno della mia musica. Negli anni ho capito l'importanza del "less is more" e di quanto fosse penalizzante, al fine dell'espressività, la ricerca dell'ornamento a tutti i costi. Mi esprimo attraverso il blues, "you can sing the blues unless you've lived the blues" diceva Memphis Slim ed è una grande verità. Questa forma di espressione infatti non può definirsi tale se oltre alle connotazioni stilistiche, precise, che la caratterizzano, non comunichi quella forza dirompente legata all'esternazione di un disagio, vero, tangibile, palpabile all'ascoltatore.
2) Vieni da esperienze importanti – Accelerators, Quintorigo, Usa, …- se è vero che l'uomo è anche ciò che guarda, cosa si stratifica nello sguardo di un musicista?
LS: Nello sguardo di un musicista si stratificano gli occhi delle persone, restano intappolate le emozioni, le sensazioni, i dettagli, tutto diventa archivio sensoriale e visivo dove pescare e rielaborare quando si scrive, quando si canta, quando si suona.
3) Se dovessi raccontare la tua carriera come tappe di un viaggio ipotetico, o ideale, quali sarebbero, e saresti in grado di narrarlo brevemente?
LS: Quando sono arrivato la prima volta negli Stati Uniti ero un ragazzo. Mi aspettavo un'America differente che non ho trovato. L'America dei quadri di Hopper e dei film di Cassavettes. La stessa America che europei illustri hanno cercato di far rivivere in maniera nostalgica attraverso le loro opere e penso a Wenders, Von Trier e a tantissimi altri. Una cosa che però è rimasta è il senso di "poter avere una possibilità". Quella sensazione di non avere addosso nessun pregiudizio e di poter essere ascoltato. Questa è una cosa che noi italiani non abbiamo mai avuto, sempre pronti a giudicare e a essere prevenuti nei confronti del prossimo.
Io a 37 anni ho avuto la mia. Mi hanno ascoltato senza lasciarsi influenzare dal fatto che ero un bianco e, soprattutto, italiano. Non hanno voluto sapere nulla della mia storia, chi fossi o da dove arrivassi. Hanno preferito semplicemente ascoltare e decidere se la mia musica suonasse autentica o meno. Così è stato.
Buon ascolto!
Alcune foto del backstage di How did… fornite da Mezcla (nella terza, al centro, Sapio con la giovane regista del collettivo, Alice Iammartino).