(versione doppia ed estesa, con recensione)
si ringrazia per la traduzione Davide Bocelli
Il vento è ciò che chiamiamo progresso, diceva Walter Benjamin. Ci sono persone che anticipano i tempi, altre che costruiscono il Futuro. Brian Eno – polistrumentista, scultore, pittore, videoartista inglese – negli anni è stato quasi multiple name. La sua è musica casuale, densa, di «suono puro», sintesi dell’interazione uomo/ambiente che, attraverso meccanismi, si ri-forma. Nello spazio, nel tempo.
Il percorso di Eno è un insieme di collaborazioni/condivisione: dai Roxy Music di Bryan Ferry a John Cale; da Robert Fripp a David Bowie; dai Talking Heads alle colonne sonore; dagli U2 ai Coldplay, fino al Sistema generativo di musiche per gli ambienti di Spore, il «co-creative game» di Will Wright.
Brian Eno è uno degli uomini che, nell’epoca del dominio dei network ad alto turnover (il Web) e della tecnologia in accelerazione, ha fatto del Futuro il suo tempo.
Nel 1996, ha co-fondato la Long Now Foundation – di seguito LNF ndr – insieme a Daniel Hillis (inventore dei supercomputer Connection Machine), Kevin Kelly (editore esecutivo di Wired, autore di Out of Control) e Stewart Brand (autore de Il lungo presente Mattioli 1885, € 16,00) scrittore che, per primo, nel 01974 utilizzò i termini “personal computer” e “computer hackers” (nel libro Two Cybernetic Frontier ndr).
Dal sito, longnow.org: «La LNF vuole promuovere creativamente la responsabilità nel quadro dei prossimi 10.000 anni. Per sottolineare questo orizzonte, il gruppo scrive gli anni utilizzando cinque cifre invece di quattro: 02009 invece di 2009».
Incontriamo Eno a Roma in occasione di Presentism, l’istallazione audiovisiva realizzata per Futuroma, la rassegna che celebra il centenario della pubblicazione del primo manifesto futurista. Futuri e futurismi, dunque, perché chi anticipa il presente costruirà il futuro. Nella hall dell’albergo, prendiamo tè liscio davanti al camino «La prima volta che ho pensato al be here and long now vivevo a New York, una città che ha una filosofia small here and short now, dove le persone spendono 2 milioni di dollari per il design di interni del loro appartamento mentre fuori dalla porta di casa ci sono rifiuti e homeless people. Ma siccome vivono dentro quelle quattro mura, ogni altra cosa è fuori dalla loro responsabilità, non li interessa. Questo è lo small here: quando dici «abito qui» e intendi lo spazio che puoi controllare».
«Normalmente, in Europa quando diciamo Vivo qui intendiamo in questo «quartiere», abbiamo rapporti con le persone. Lo short now di N.Y. prevede invece abitanti temporanei della città: tutti passano attraverso lo spazio urbano, non lo vivono: (un nonluogo ndr) dove sei arrivato da appena tre mesi e dal quale dopo tre mesi riparti. Così, le persone non sentono un legame col proprio tempo. Questi due problemi, il localismo nel tempo e nello spazio, sono problemi di civiltà che infettano la civilizzazione. Quando abbiamo iniziato con la LNF volevamo incoraggiare la gente a pensare in modo più lungo: tutto nella nostra società, o quasi, ci incoraggia a pensare in termini brevi. Noi vogliamo controbilanciare».
Una funzione della tecnologia è stabilire legami inter-generazionali, così il Long now diviene Long Us: «Daniel Hillis ha un modo di dire, La chiami tecnologia quando ancora non funziona! Questa invece (indica la teiera fumante ndr) non lo è più… Tecnologia è ciò che ha ancora dei problemi». Problema in divenire e Storia, performance singola e tempi «tutte le tecnologie sono state ideate per ragioni storiche: il recording è stato inventato per catturare le performance, poi è stato inventato il modo di registrare il teatro/le immagini su pellicola. Quando c’è una tecnologia la gente riesce a fare cose che non aveva mai fatto prima: in questo senso, hai un’arte nuova (che si è chiamata Cinema, e musica registrata). Con i cellulari, i social network,… oggi abbiamo modi multipli di creare comunità umane. Credo che i nostri bambini ne sappiano molto più di noi, ed è naturale. Nascono in questo Tempo. Ci sarà un’enorme differenza fra comunità nate prima della Rete e (community) post-networking».
Nei media digitali, esiste il doppio problema compatibilità dei linguaggi/conservazione dei dati: «Se vuoi conservare qualcosa, la cosa migliore è che ti assicuri che si auto-conservi: un grande successo si conserva da solo. Non ti devi preoccupare, molta gente conserverà l’informazione per te! Potrò così fare sharing o comprare canzoni di Elvis: tutto ciò che è hit, di qualunque tipo, si auto-replica. Come la Bibbia: non c’è bisogno di creare una società per proteggerla, così come non c’è bisogno di salvare Elvis. Poi c’è la strategia opposta, rendere qualcosa così raro e prezioso che qualcuno vorrà proteggerlo per sempre. La prima è la strategia di Elvis, la seconda è la strategia Da Vinci: la Monna Lisa ha una bi-strategia in questo senso. I media digitali tendono alla strategia di Elvis. L’arte alla s.Da Vinci, anzi alla Raffaello strategy, o Rembrandt s.»… Tutto è movimento, ogni cosa è replicabile. Anche se «uno dei più grandi problemi con i software è che le possibilità si moltiplicano più densamente della rapidità d’apprendimento».
Hai detto «all’accumulo (del Web) preferisco la selezione libera». Dove è oggi la creatività? «è ovunque, e sempre buona. Ma non produce sempre buoni risultati: l’attuale crisi finanziaria è un grande esempio di creatività che ha avuto un pessimo risultato. E mi piacerebbe ci fosse meno creatività nella progettazione di armi. In Inghilterra il 40% degli scienziati lavora nel settore della Difesa: una grande Industria che produce denaro».
Se l’errore è un’intenzione nascosta, nel libro Il lungo presente si parla di hill climbing: un sistema con una logica a breve produce «errori a cascata»; un’ottica di lungo termine, invece, permette all’errore di permeare il Sistema. Cos’è l’errore, e quale è il tuo errore più bello degli ultimi due giorni?
«Questa è una domanda interessante. Non ho fatto errori, sono stato perfetto nell’eseguire tutto quello che dovevo (ha troppi impegni, sente che il suo Sistema è troppo adeguato/sbilanciato su interessi minori: si sta distraendo dalla sua arte, si inizia a irrigidire ndr). Credo di averne fatti così tanti da non ricordarmeli, tipo non mangiare a colazione. Sono andato a teatro ad assistere a uno spettacolo in siciliano. Non ho capito niente, ma è stato fantastico…».
In un altro punto del libro, si parla di The Clock Of The Long Now, ovvero il pensiero a breve termine ci sta uccidendo… Laurie Anderson in un suo album, si chiede Il tempo è lungo o largo? Ti giro invece la domanda fatta a William Gibson, quando un Sistema (quello che in base alle strutture inter-tecnologiche può essere definito Legacy system) è alla fine? «Dovremmo parlare per molto più di un’ora», risponde. Ma il tempo del tè insieme è finito. Mr. Eno ha ragione, temi così complessi richiedono momenti di riflessione lunghi. Long Now!