la “tortuga” di evangelisti: pirati analogici e hacker digitali

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(c) Francesco Gattoni – ritratto

(versione estesa)
Rogério de Campos
pensò che la sua ora fosse venuta. Il ponte del Rey de Reyes somigliava al pavimento di un mattatoio. Il sangue
scorreva a rivoli o si espandeva a macchie, tra gli alberi abbattuti, i fasci
di vele e gli intrichi di sartiame reciso…
Inizia così Tortuga (Mondadori / Euro 16,50 / pp.316), il nuovo romanzo di
Valerio Evangelisti, in libreria dal 4 novembre.

Dal
creatore della celebre saga dell’inquisitore Eymerich, una storia di pirati,
vascelli e avventure sugli oceani. Un romanzo che va alle origini della
pirateria «analogica», ma che fornisce elementi per analizzare e comprendere
ciò che accade oggi nell’Era informatica.
Quella
che racconta Evangelisti è una grande storia di avventura «Volevo condensare
alcuni aspetti semrpe presenti nell’essere umano, nei suoi diversi periodi
storici: la strumentalizzazione della violenza operata dai potenti, gli interessi
commerciali che producono la guerra, la costante tendenza (incombente) alla
barbarie, la difficile divisione tra bene e male».
Nel
viaggio attraverso gli occhi di Rogério, sfila l’umanità senza regole dei
Fratelli della Costa, bucanieri che – nel XVII secolo – imperversavano sulle
loro velocissime navi nei mari di mezzo mondo, assaltando i vascelli che
incrociavano, per depredarne le stive e spesso affondarli.
«Tortuga
era un’isola dei Carabi (vicino Haiti ndr),
per molti decenni fu la capitale della Filibusta». I pirati del romanzo, al
servizio della corona francese, predano le navi nemiche (olandesi, spagnole,
inglesi) che trasportano merci e schiavi, rivenduti o sacrificati senza troppe
questioni. Evangelisti svela l’altro lato della pirateria, quella a servizio
dei governi, una comunità solo apparentemente libera, in realtà strumento dei
potenti «A Tortuga finivano i ribelli, gli emarginati, gli evasi, o i marinai
che rifiutavano il servizio militare. Una masnada di irregolari di tutta Europa
che, per qualche ragione, non si era adattata alle leggi, e che andava in quel
terreno franco, all’incrocio delle rotte di galeoni carichi di ricchezze».
I
pirati analogici «vivevano di
predazione e una sorta di forma repubblicana di auto-governo: eleggevano i
capi, i loro erano comandanti revocabili e, se non reputati all’altezza,
passibili di pena di morte, avevano una vita sessuale decisamente libertina. Ma
la loro libertà era un’apparenza concessa: i pirati furono ampiamente manovrati
dalla potenze, la comunità di Tortuga fu a servizio della Francia ma quando non
servì più al Re fu rasa a zero, lo stesso accadde ai pirati della Giamaica a
servizio dell’Inghilterra».

«I
rapporti fra pirati erano frutto di relazioni gerarchiche, non tutti godevano
degli stessi diritti (i mozzi erano le «donne di bordo»). Non bisogna farsi troppe
illusioni sulle isole autonome, e questo vale per tutte le comunità che
sembrano rette da democrazie…». È una evoluzione naturale «c’è stato un ‘68 anche
in Giappone, breve ma intenso, successivamente i leader del movimento vennero
cooptati dai governi, questo vale anche per la Rete: molti ribelli informatici sono cooptati dalle Corporation», è la logica
dei rapporti di forza che Evangelisti vede, come sempre con ciniscmo e lucidità
«un hacker moderno si ritiene libero e invece può essere funzionale alle
multinazionali». Evangelisti continua nel parallelo pirati analogici-digitali
«I pirati vivevano in un’area, il loro impiego andava a beneficio di uno e a
danno di altri, allo stesso modo nella pirateria informatica non si è garantiti
di essere liberi, perché il sistema fa parte di un’economia. Da quando esiste
l’Indice dei titoli informatici, non si possono fare troppe battaglie contro…».
La visione dell’autore rimanda quindi alle attuali questioni tra hacker, aperte
da Phrack (l’autorevole e-zine), in
cui la comunità dei Pirati informatici si interroga sull’attuale libertà della
propria etica, ormai spesso al servizio delle multinazionali. «Sono rari i casi
di hacker che riescono a violare siti governativi, o economici: l’ordinaria
pirateria non sconvolge né la società né la rete, e abbiamo visto che, quando
un governo vuole, riesce addirittura a bloccare il Web».
In
Tortuga, immagini crude e scene di
lotta senza pietà evocano le aspre guerre che, anche oggi, si combattono in
tutto il mondo, seppur con tecniche/tecnologie differenti. Nel romanzo, le navi
assaltate e gli equipaggi decimati non sono altro che emblemi colati a picco
delle altre potenze in gioco. La storia di Evangelisti intreccia nomi ed eventi
della grande Storia, attinge dati e simboli del periodo del Colonialismo, epoca
di vantaggi commerciali strappati a forza – in economia, noti come logica della
previous accumulation.
«La mia è una visione del mondo che parte dalla
concezione homo homini lupus: la
natura dell’uomo è l’animalità, il potere, o i personaggi con istinti
totalitari, devono giustificare la propria condotta e allora ci costruiscono
sopra un’ideologia», anch’essa da esportazione. «Gli –ismi servono a mantenere perenne ciò che è mutabile, è così che le
ideologie pensano di incarnare la fine della storia: nei secoli, ognuno ha ritenuto
di essere il coronamento di un’epoca, un’ideologia è automaticamente autoritaria,
anche il liberalismo lo è nella misura in cui si considera come punto finale
della contemporaneità. Invece il capitalismo di quest’anno è diverso da quello
di 10 anni fa».
Dal traffico marittimo all’informatico, quale
è il futuro del Web? «Una volta quasi tutto era gratuito, ora no, forse è un’evoluzione
indispensabile propria allo spirito di frontiera dell’uomo, ciò che succederà forse
sarà una nuova fase di Internet, una diversa sua modalità». Rischi e questioni
che, oggi, più che mai sono aperte, acque che aspettano di essere
regolamentate. «Le forze in campo oggi sono tante, ma non è venuta meno la
logica delle grandi potenze, rispetto al passato è più palese il rapporto
costi/benefici: si parte per una guerra predatoria ma ci si accorge che magari
è costata troppo e allora si va verso la sconfitta economica più che militare,
è successo all’Unione Sovietica con l’Afghanistan, accade ora agli Stati Uniti e
al mondo occidentale: nel tempo l’istinto predatorio è rimasto: ciò che può
trattenerlo è la fissazione di regole che viceversa, quando mancano, permettono
ad alcuni di non stare ai patti, come dopo l’11 settembre». La situazione può
cambiare attraverso un codice condiviso «gli -ismi non si sopprimono, si devono riequilibrare, a scala locale e
internazionale, nel Web con la Netiquette
(l’insieme delle regole di interazione tra utenti su Internet ndr)». Le Nazioni Unite «sono indebolite,
va ripristinato l’quilibrio infranto che anche se in modo imperfetto garantisce
un equilibrio in tutte le zone del mondo. Le battaglie si combattono con regole
precise, così nella rete andrebbe diffusa una cultura
dell’auto-regolamentazione».
Il senso ultimo dei pirati? «sono una forma
di guerra e un’espressione dell’idea di conflitto, un caso particolare che la
guerra, in generale, assume in un certo momento: la pirateria è una battaglia
combattuta, un concetto non applicabile tanto alla pirateria informatica di basso
livello quanto all’alto livello, che poi viene istituzionalizzato, o conviene a
qualcuno: si nota chiaramente come le forme conflittuali che si sviluppano
automaticamente nelle comunicazioni via rete scadano spesso nell’insulto: è una
sindrome da «Isola dei famosi» tipica delle comunità chiuse dove si esasperano
le concorrenze». Ciò accade perché «le community vaste si organizzano per tribù
e nella grande dimensione sfugge il controllo, per me internet è positivo, ma
ci sono dinamiche che vanno esplorate meglio: la psiche collettiva origina effetti
imprevisti, che nel Web si concretizza in vantaggi economici. Così spesso le
community fanno l’interesse di qualcuno che neanche si conosce». Per contro «i
pirati erano consapevoli di fare gli interessi dei governi ed era un
atteggiamento senza inutili infingimenti: festeggiavano il compleanno del re di
Francia, combattevano una guerra per conto terzi, con una vita breve e
trasgressiva, senza proporsi una ribellione aperta», ciò che li differenziava «era
il cinismo estremo, più che la sola crudeltà: per loro tutto era denaro, una
posizione paradossalmente più onesta», la posizione dell’autore prende così, in
ultima analisi, anche il rapporto dell’uomo con l’autorità «Richelieu non era
un cinico ma un uomo del Potere; anche Eymerich (il domenicano, personaggio
della saga forse più conosciuta di Evangelisti ndr) è un idealista ma è comunque un uomo di potere, si ribella per
imporre regole sue». Così è la coscienza delle regole e la loro
conoscenza-applicabilità a fare la differenza «il mio rapporto con l’autorità è
di insofferenza ma credo non si possa contestare un sistema da fuori: un
eretico difficilmente può sfidare l’autorità, Eymerich agisce per conto e nome
della Chiesa, ma ci riesce proprio perché si oppone all’interno di regole forti
della stessa istituzione che le impone».
Tortuga di Valerio Evangelisti svela poi alcuni piccoli importanti dettagli
della storia della Canaglia: anche La
Bamba
, che Ritchie Valens fece appena in tempo a rendere celebre negli anni
‘60, è una canzone pirata che viene da Veracruz, Messico: «i pirati la
cantavano in modo lento (à la «Quindici
uomini…e una cassa di rhum»). Si è scordato il lato musicale della pirateria,
in cui si andava all’attacco facendo musica, suonando i tamburi e le spade, in
modo rumoroso, anche quella era una forma di lotta trasgressiva». Tutte forme
di guerriglia non convenzionale, «la bandiera pirata, la Jolie rouge, la Bella rossa, che poi diventò nera – il Jolly Roger – che serviva a mettere
paura: il teschio con le tibie incrociate che ogni capitano adattava a sé, segno
e simbolo del messaggio ai nemici (i Fratelli della Costa avevano il teschio con
la clessidra, diceva: «il vostro Tempo è finito»).

Evangelisti