fast4ward a colloquio con…carmen consoli

(si ringrazia Carmen Consoli per il tempo dedicato)
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Roma. Mattina, aria tiepida, sigarette nell’attesa. Alle dodici arriva. Carmen Consoli, cantautrice catanese (ultimo album Elettra, Universal, dal 2 febbraio inizia da Roma il suo live tour). Maglia nera, pantaloni, senza trucco. Eccola qui “la Cantantessa” che ha tirato su almeno un paio di generazioni, con la chitarra in mano e parole intrise di una sottile sensuale ironia.
Con Carmen Consoli parliamo dell’essere musicista, della Narciso records la sua etichetta discografica. Parliamo del “mercato”, di strumenti e tradizione popolare. Del Tempo che scorre, crea, distrugge. Della bellezza come valore (anche economico). Della creatività, di storie.
«La Narciso records si propone di scoprire e produrre i talenti siciliani, i “rumori del sud” della tradizione popolare jonico-mediterranea. Il pop nella musica contemporanea significa l’inglese “commerciale”; la musica “popolare” di cui parlo io invece è la musica tradizionale come la pesca, sono le tradizioni che si adeguano, mutano, sfumano: come la lingua che viene mutata dal tempo, in un rapporto di causa-effetto. Abbiamo iniziato anni fa con il progetto dei Lautari, un gruppo che suona strumenti dimenticati, un recupero filologico, un patrimonio musicale immenso». «Il tempo è un mezzo prezioso. Per Albert Einstein (fisico ebreo tedesco, ideatore della “Teoria della relatività” ndr) c’è un tempo limitato dai margini, dai secondi, dalle categorie, e poi c’è un tempo non frammentato che non ha inizio e non ha fine. Einstein ha mostrato la mancanza di spazialità, ed è quello che cerco di fare quando suono, quando creo musica. Un esercizio che estenda il tempo a orizzonti non limitati, alla stessa maniera nel mio lavoro da produttrice tento di recuperare i suoni che richiamano il tempo passato. Come artisti infatti tutti ci portiamo, biologicamente, dentro la cultura dei dialetti, degli strumenti, dei suoni del mondo prima di noi, di quel tempo che è passato ma che è arrivato a noi in un’altra forma: come le “corrispondenze” di cui scriveva Charles Baudelaire, anche gli strumenti sono informazioni codificate, quando sento alcuni strumenti tradizionali mi vengono in mente le terre alle pendici dell’Etna, sento gli odori della terra e della montagna, il vulcano attivo».

il video dell'intervista ha un "effetto interferenza" che tenteremo di eliminare al più presto, come si dice in questi casi – CI SCUSIAMO PER IL DISAGIO

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La musica recupera il territorio, e fa anche cucinare «qualche tempo fa, dopo aver suonato, ho sperimentato una ricetta che mi è venuta in mente da quegli odori».
Il mercato e l’industria musicale «è un bacino di utenza nel quale diffondere il prodotto musica. Con la mia casa discografica, sperimentandolo su me stessa, ci siamo serviti di vari mezzi di promozione: attività marketing, di comunicazione. Col tempo però, diciamo dall’album Mediamente isterica mi sono resa conto che se realizzi un disco con un timing, e una data di scadenza, diventa molto sottile il filo che distanzia il prodotto artistico dall’usa e getta. È una visione “supermercato”, se vuoi, mentre la musica un po’ come l’arte è una cosa complicata. Non puoi fare affidamento solo sui numeri o solo sull’economia e i piani di marketing. Bisogna tenere conto del cuore, di valori extrasociali. Anche nella musica, insomma, occorre progettare soluzioni che non tengano conto solo del PIL del micro-mondo “album”, si sa che i governi hanno soluzioni quantitative non qualitative. Nell’attuale mondo discografico molti prodotti vendono solo perché pompati ma creare canzoni, o opere d’arte, la creatività insomma, ha bisogno di tempo. L’industria si basa su una logica “macina-produci-confeziona l’idea”. La mia logica invece è più vicina alla lunga scadenza, credo che un artista, se ha qualcosa da dire, prima o poi arriva… Voglio dire, se vuoi mangiare gli spaghetti lo puoi fare subito perché esistono, se invece volessi fare una pasta a forma di fiore ci vorrebbe tempo».
«Il mercato a volte è miope, io ho iniziato e sono cresciuta a poco a poco, fino a crearmi uno zoccolo duro che il mercato chiamerebbe “consumatori”. La logica della non miopia, fare mercato a tutti i costi, insomma crea anche mercato per le case discografiche. Gli artisti non creano solo un prodotto, come IKEA, riescono a generare redditi e, nel caso di produzioni con un “contenuto” – che non hanno bisogno di essere pompate – generano risparmio… In un disco c’è il cuore, e il cuore ha bisogno di tempo non ha necessità di fermare gli eventi, non è istantaneo perché non gli interessa vendere tutto e subito come il mercato, che a volte proprio per questo però si avvita su se stesso ripetendo modelli passati, reputati vincenti. Bisogna invece proiettare il presente nel futuro. Partendo da alcune domande, come tra venti anni cosa rimarrà (della musica, di me, di quest’arte)? E questo è un lavoro contrario all’arte della miopia delle logiche di mercato».
Negli ultimi testi di Carmen Consoli affiora la contemporaneità (in Elettra canta di “bottane e potenti” ndr) e l’involgarimento di un’Italia, ma non solo, sempre in bilico tra mercificazione e moralismo. Anche il pubblico musicale cerca storie in grado di decifrare la realtà  «Fin dai tempi della canzone Contessa miseria, insieme con il mio staff – una squadra collaudata dagli anni, mantenuta a forza di collaborazioni – ho scoperto quello che differenzia la musica popolare siciliana: noi veniamo dai pupi, dal ciclo carolingio. La musica siciliana è musica del sud, che racconta il quotidiano, bello o brutto, ce l’ha nel DNA. La canzone Mio zio (dell’album Elettra), per esempio, è la storia di una ragazza che subisce violenza sessuale dallo zio: è un testo che ho voluto riempire di forza e ironia, l’ho scritto pensando a quante violenze vengono compiute tra le mura domestiche, ma anche all’ipocrisia del sud e ai vincoli del perbenismo, alle convenzioni sociali come la reputazione… In generale, quando scrivo una storia non so dove questa mi porterà, come nei film di Pedro Almodóvar è la storia che si racconta, e giorno dopo giorno mi porta alla sua verità naturale. Ciò che cambia le mie parole è il ritorno del pubblico: io so quale è la storia per me, ma poi c’è il percepito di chi ascolta che ti fa rivedere, e rivivere, i testi». Rielaborazione in chiave di ascolto.
Gli studi nel liceo di San Giovanni La Punta, piccolo paesino vicino Catania. Il "mercato ru lune" nel centro di Catania, e ancora la Sicilia e la sua lingua del mare. La città ha modellato le parole e il lavoro dell’artista «il siciliano non conosce il concetto di futuro. Vive totalmente nel presente. Spesso gli uomini del sud sono stati artefici della ricchezza del nord. Il siciliano lavora molto ed è abituato a risolvere tutto… non può permettersi di aspettare che qualcun altro gli risolva le cose, e allora riesce a fare dieci cose, risparmiando tempo per fare quello che gli piace. Ha un senso globale delle cose. Nella mia terra non c‘è mai problema, tutto è risolvibile, te lo insegnano fin da piccolo: mi ricordo che, quando andavamo a mare, se mi si rompeva la paletta mio padre me la aggiustava».
Non c’è tempo da concedere al lavoro, perché il tempo risparmiato è tempo dedicato ad altro. Nella terra di Carmen Consoli produrre è importante ma con un occhio sempre alla qualità della vita  «da noi si dice “cunnuciri” ovvero “mi siedo sulla poltrona facendo rigorosamente niente”: essere siciliano è scegliere la qualità della vita all’affannosa ricerca di stato sociale, è mio papà che ha preferito fare l’impiegato piuttosto che il dirigente perché questo avrebbe significato rinunciare alle sue cose, al tempo con il suo territorio, all’ambiente artistico, a
lla pizza ad Acicastello e i picnic con gli arancini».
Carmen Consoli ha prestato il suo volto al cinema (Saturno contro , L’uomo che ama, L’ultimo bacio) perché musica e cinema in comune hanno la necessità di ideare storie «amo il cinema di Anna Magnani, nel 1948 Roberto Rossellini la chiamò per interpretare l'episodio La voce umana (tratto dall'atto unico di Jean Cocteau) del film L'amore. In quel film lei recitava il monologo di una donna che veniva lasciata da un uomo. Ecco, la Magnani era il talento a servizio della passione. Io sono di quella scuola di pensiero. È la passione che muove il mondo. In quegli anni non avevano molti mezzi, così molti dei più grandi registi pur di riuscire a fare il proprio film ipotecavano i propri beni. I più grandi sceneggiatori avevano a disposizione pochi mezzi, ma c’era un’eleganza incredibile nelle riprese, e poi la capacità di riuscire a creare una narrazione… Pensa alle descrizioni dei paesaggi del film Stromboli con Ingrid Bergman, quel cinema italiano non aveva il supporto della tecnologia, ma aveva le storie a renderlo grande! O Sunset Boulevard, (trad.Viale del tramonto, noir americano degli anni 50 scritto e diretto da Billy Wilder ndr) che iniziava con un lungo flashback del protagonista, Joe Gillis, giovane soggettista di Hollywood, il cui cadavere veniva trovato galleggiante in una piscina a Los Angeles» (il racconto in prima persona da parte di un morto fu il paradosso narrativo utilizzato da un film che si poneva come omaggio al cinema del passato ndr). E continua «sono un’amante dell’artigianato, certe cose possono sempre essere allestite. La cosa difficile è il contenuto, e questo vale per il regista alle prese con la pellicola, come per la musica. Il digitale e i pixel insomma non mi piacciono! Non possiedo neanche un PC…».
«Mi piace la semplicità e l’immediatezza della musica, anche senza tecnologia. Quando sei in tour ora negli Usa e hai la possibilità di suonare solo con gli archi e poche altre cose, vai all’essenziale! È questo che mi interessa…».
«Ci sono film che hanno un cast incredibile, ma manca la storia! Ecco, per me nella musica questo è importante, che magari non ci siano grandi strumenti, ma che ci siano le storie. Come le canzoni di Joni Mitchell, eseguite chitarra e voce: una canzone, quando esiste, esiste!».
«Le rivoluzioni si fanno col cuore e con la conoscenza, solo questo ti permette di arrivare alla consapevolezza delle cose. Come sosteneva Peppino Impastato, se guardi e “impari” il tramonto non farai lo scippatore: è questo che devono capire i governi, l’arte produce ricchezza. Perché se metto un popolo nelle condizioni di generare felicità, questo farà schizzare il PIL verso l’alto perché tutti faranno le cose con passione. Allora, la bellezza è un “investimento sottile” omeopatico…me ne sono accorta un giorno camminando a Parigi, una città che ubriaca di bellezza, piena di atmosfera dove mentre cammini incontri continuamente gallerie d’arte…e un giorno ho visto una fila lunghissima di ragazzini che aspettavano soltanto di poter entrare a vedere le opere di Andy Warhol. Ecco, quello è un investimento da fare: insegnare alle “persone di domani” a guardare il bello, imparare quale deve essere il lavoro che permette di realizzarlo…
«La logica dei nostri governi è quella che in Sicilia definiamo con il detto “u pilo co’ rasoio”. È la logica dell’usa e getta. Il mondo attuale ha la sindrome del “pilo ca’ lametta”: produciamo per aumentare la produzione, e non importa se stiamo sballando… la mia musica allora vuole tornare indietro, noi abbiamo scelto di essere artigiani, di creare in analogico, di cercare la poesia nell’esecuzione dal vivo. Se registri in analogico hai dei tempi fisiologici nell’esecuzione, non hai tempo per essere di moda. Molti artisti si attengono al metronomo, senza pronuncia di stile. Io invece suono senza metronomo, quando canto la seconda battuta è ritardata… c’è un tempo non tangibile che incide sulla qualità. Io ho 80 bpm, ma se mi emoziono vado oltre…e poi lo trasporto in tutto quello che faccio».
Il team di lavoro. «Mi porto appresso le persone con le quali sono cresciuta, è una sorta di famiglia allargata, negli anni è stato difficile il confronto, ma direi che in 20 anni sono state poche le liti e le fratture. Quando ci sono state, ci sono state per cause di forza maggiore. È un incontro basato sull’affinità (elettiva): ogni progetto è un pretesto per sviluppare l’affinità umana. Anche perché non abbiamo mai voluto produrre reddito, quanto generare un’Economia della felicità (cfr.l’omonimo testo di Luca De Biase, Feltrinelli 2007).
La donna «Credo con passione in quello che dico. Ho la fortuna di campare con quello che faccio. Di fare ciò che sento, e poi di smettere quando finisco. Nel mio tempo libero mi piace circondarmi delle persone con cui sono cresciuta, gli amici di sempre. Poi studio, vado al cinema e a fare la spesa, lo sport, cucino marmellate. Viaggio, esco, anche se ho un po’ la sindrome da filippina e quindi mi capita di fare la lavatrice per i ragazzi della band – si avvicina con fare cospiratorio – sono pur sempre maschi siciliani…».
Carmen e la (sua) immagine «Non amo guardarmi, se faccio un concerto non mi rivedo in tivu: Carmen che guarda Carmen, lo trovo malsano… Io sono ora e qui».